Flessibilità e debito
Bene la flessibilità sul deficit ma ora abbattiamo il debito con il patrimonio pubblico
di Enrico Cisnetto - 23 maggio 2016
La buona notizia è che la Commissione europea ha dato il via libera alla legge di Stabilità per il 2016, concedendo lo 0,85% di flessibilità, pari a circa 13,5 miliardi. La cattiva notizia non è una notizia: il debito italiano è sempre troppo alto. Allora, da domani: più deficit, meno debito. In pochi avevano scommesso – e io tra questi, lo confesso – sulla “vittoria” dell’Italia in questa partita cominciata nell’autunno del 2014, quando l’Europa concesse il primo “sconto”, dimezzando il target di riduzione del deficit strutturale. Oggi, in una situazione di crescita debole e prospettive incerte, viene garantito il massimo di flessibilità possibile (0,5% per le riforme, 0,25% per gli investimenti e lo 0,1% per i migranti e la sicurezza), con la speranza che questo possa rianimare l’anemica fase economica. In pratica, c’è un anno di tregua, con la correzione strutturale che invece dello 0,5%, potrà essere tra 0,15% e 0,2%. Il risultato, più che con la voce grossa che il governo ha tenuto fino a qualche tempo fa, è arrivato per la successiva opera di mediazione diplomatica e politica, forse anche con il contributo di Carlo Calenda.
In ogni caso, bisogna stare attenti, perché la concessione non è un regalo, ma è condizionata ad alcuni impegni formali assunti dal governo italiano. Dallo scambio di lettere ufficiali tra Roma e Bruxelles che suggellano l’accordo emerge, infatti, sia la promessa dell’Italia a non avanzare nuove richieste, sia l’impegno a portare nel 2017 il deficit all’1,8%, dal 2,3% di quest’anno. Soprattutto, viene imposto che il debito pubblico cali di almeno mezzo punto ogni anno, invece di essere in costante crescita, tanto che a novembre è previsto un nuovo esame. Anche perché ogni anno paghiamo quasi 90 miliardi di interessi che, oltre ad essere una delle principali voci di bilancio (il 5,5% del pil), portano in negativo i nostri conti, visto che da vent’anni (tranne il 2009) siamo sempre stati in avanzo primario. Anzi, se ora respiriamo è solo perché, con i tassi praticamente a zero, gli interessi si sono ridotti. Insomma, non è sufficiente la crescita, nemmeno se sostenuta – e la nostra, a metà della media europea, non lo è affatto – perché diminuisca il rapporto debito-pil.
Allora, per quanto sia importante sterilizzare le clausole di salvaguardia, cercando risorse non con la spending review ma con riforme strutturali che abbiano come corollario la riduzione della spesa corrente, la vera politica che andrebbe messa in atto è un’operazione straordinaria di riduzione del debito pubblico. Si potrebbe andare a Bruxelles e dire: abbiamo la necessità di spingere la crescita attraverso ingenti investimenti in conto capitale e dunque dobbiamo sforare il deficit, ma in cambio eccovi un piano di abbattimento del debito sotto il 100% del pil attraverso l’uso del patrimonio pubblico. Si taglierebbe il debito e si finanzierebbe la crescita: sarebbe una situazione win-win che accontenterebbe tutti. E non è vero che non ci sarebbero vantaggi immediati. Per esempio, con il conferimento del patrimonio pubblico – stimato dal Tesoro in almeno 600 miliardi per la parte più facilmente valorizzabile – ad una società ad hoc da quotare in Borsa, si potrebbero emettere subito dei bond con cui fare cassa.
Se poi qualcuno in Europa dovesse arricciare il naso, beh allora sì che in quel caso varrebbe la pena di litigare. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
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