Meno male che Draghi c'è
Nella desolante scena internazionale, le mosse del governatore della Bce fanno la differenza
di Enrico Cisnetto - 13 marzo 2016
Meno male che Draghi c’è. Nella desolante mancanza di protagonisti dotati di attribuiti che la scena internazionale, ed europea in particolare, ci consegna, le mosse sempre più audaci dell’unico italiano che oggi conta nel mondo, hanno un valore in sé, a prescindere dalla loro reale efficacia. Le decisioni di giovedì della Bce sono arrivate inaspettate nella tempistica e nei contenuti, smentendo chi ipotizzava che le frecce a disposizione di Francoforte fossero in via di esaurimento, e hanno travolto buona parte dei tradizionali paletti che delimitano la politica monetaria. “Vi sembra ci manchino idee e risorse?”, ha chiesto provocatoriamente il Governatore, utilizzando tutta l’autorevolezza conquistata in questi anni dall’Eurotower, l’unica istituzione europea veramente federale, finora in grado di evitare la disgregazione dell’euro. Già solo in questo c’è tale grandiosità che verrebbe voglia di fermarsi qui nel commento, di dire “ok, trovatemi qualcun altro dotato di attributi così prima di criticare, e poi ne parliamo”.
Tuttavia, di questi tempi grami, non è detto che basti. Potrebbe non bastare perché la deflazione, contro cui si combatte, dipende da un’evidente eccedenza di domanda di risparmio, generata dai livelli patologici raggiunti dall’incertezza, che i tassi a zero o addirittura sottozero non consentono di mitigare. E contro il combinato disposto di troppo risparmio e tassi incomprimibili, la Bce può fare poco, se i governi non orientano le loro politiche economiche in modo complementare alla politica monetaria. In particolare, la Draghinomic potrebbe non bastare perché se non si trova il giusto punto di equilibrio tra politiche contenitive di bilancio e politiche espansionistiche di rilancio, la crescita del pil rimane sotto il 2% e la liquidità resta una potenzialità inespressa.
Ma, soprattutto, Draghi potrebbe non bastare perché se c’è una Bce da dieci lode, quella della politica monetaria, ce n’è un’altra che fatica a prendere la sufficienza, ed è quella che governa l’unione bancaria e sorveglia gli istituti di credito. Sappiamo che formalmente c’è una sola banca centrale, ma che nella sostanza sono ormai due, perché SuperMario per poter avere mano libera sui tassi e sul Quantitative Easing – e che libertà – ha dovuto mollare sulla vigilanza bancaria. Ma tutto questo ha creato una clamorosa contraddizione nell’agire complessivo della Bce, perché Francoforte con una mano elargisce liquidità usando le banche come veicoli per distribuirla all’economia reale, e con l’altra impone alle banche stesse vincoli su vincoli – accompagnati da una dose di insopportabile discrezionalità nella loro applicazione – creando così impedimenti operativi tali da rendere impossibile il funzionamento virtuoso di quella cinghia di trasmissione. I banchieri non ne parlano pubblicamente, perché basta vedere una partita di calcio per sapere cosa succede se si manda a quel paese l’arbitro, ma in privato ti raccontano una tale quantità di episodi da rimanere sbalorditi.
Insomma, il nuovo T-ltro (Targeted long term rifinancing operation), cioè i quattro nuovi round di operazioni di finanziamento ad hoc delle banche, che potranno ricevere dalla Bce fino al 30% degli impieghi che hanno in bilancio al 31 gennaio 2016 a -0,4% di tasso di interesse, è cosa buona e giusta. Ma se poi l’altra Bce impone aumenti di capitale ogni piè sospinto, tutto si vanifica. Dunque, di SuperMario ce ne vogliono due. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
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