La riscossa industriale italiana
Per trasformare la ripresa in crescita stabile serve una politica industriale ben definita
di Enrico Cisnetto - 13 settembre 2015
L’aumento dei consumi e della produzione industriale a luglio? Segnali di un minimo di ripresa, non certo di crescita stabile. Non ancora, almeno. Perché lo diventi bisogna lavorare sì sulla domanda – accrescere quella interna e intercettare maggiormente quella estera – ma anche e soprattutto sull’offerta. Riqualificandola. I campioni ci sono, manca la squadra. I fuoriclasse sono le eccellenze industriali italiane, spesso a guida pubblica, che avrebbero però bisogno del sostegno di una politica industriale ben definita da parte del governo, capace di rimuovere la ritrosia del mondo imprenditoriale privato agli investimenti e allo sviluppo e di consolidare il fenomeno del reshoring, cioè il ritorno in patria di importanti segmenti del manifatturiero.
Il quotidiano francese Les Echos ci conforta: parla di “rinascita industriale italiana” in riferimento ad Ansaldo Energia, pronta a beneficiare della decisione dell’Antitrust europea che, per impedire il monopolio degli americani sul mercato, ha condizionato la fusione tra la francese Alstom e la statunitense General Electric al trasferimento delle attività su turbine a gas ad alta potenza appunto alla società genovese guidata da Giuseppe Zampini. Se l’accordo sarà perfezionato, oltre a conquistare con un lustro di anticipo tecnologie che sarebbero state raggiunte intorno al 2020 in collaborazione con la coreana Doosan, e a portare parte della produzione a Genova, l’ex controllata Finmeccanica (ora per il 44,84% in mano al Fondo Strategico e per il 40% a Shangai Electric) diventerebbe uno dei primi tre protagonisti mondiali delle turbine a gas, che complessivamente produce 189 mila megawatt in 90 paesi. Ma perché Ansaldo Energia non rimanga una ciliegina senza la torta, occorre partire da questi successi per costruirle intorno una robusta filiera di settore. Aggregando le imprese private secondo piani industriali che non possono che nascere dentro “strategic room” incaricate di coordinare le attività dei nostri “campioni”, rendendoli avanguardie delle varie filiere nazionali.
Anche perché quello di Ansaldo non è l’unico caso. Penso a Fincantieri, colosso da 2,5 miliardi di fatturato, che oltre a diversi progetti all’estero (a Parigi stanno provando a impedirle l’acquisto della concorrente Stx France) e ad acquistare alcuni cantieri nell’Adriatico, sta ora lavorando con Msc Crociere su almeno sei navi e con la Marina Militare su una commessa da oltre un miliardo. C’è un mondo che le sta intorno, da mettere a sistema. E la Sogin? A dispetto del populismo pregiudiziale sul deposito unico nucleare, negli ultimi anni ha ottenuto almeno dieci incarichi di decommissioning in giro per il mondo, in un settore che vale centinaia di miliardi. Perché non spogliarla definitivamente degli abiti di “ente preposto” (se del caso separando alcune funzioni) e farla diventare un player industriale a tutto tondo, capace non solo di aggregare l’indotto esistente ma anche di generare competenze e realtà nuove? E ancora: le aziende del comparto aerospaziale che gravitano attorno a Finmeccanica e che hanno resistito con successo agli urti della crisi, oppure la Sogei, società in house del Tesoro, impegnata nell’impresa di rendere la pubblica amministrazione meno ostile all’information technology. E l’Enel, che ha invertito la strategia industriale, puntando più a nuovi progetti che alle vecchie attività di manutenzione. Certo che se ora Cdp… (twitter @ecisnetto)
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DI TERZA REPUBBLICA
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