A proposito di concorrenza
Le misure del governo sono un approccio omeopatico in cui la politica è ben attenta a non sfiorare le radici dell’impianto corporativo
di Riccardo Cappello - 27 maggio 2015
Il Disegno di legge sulla concorrenza, in discussione alla Camera, non prospetta una riforma epocale e neppure l’inizio di un’opera di semplificazione visto che si tratta di un testo infarcito di rimandi che rendono inevitabile un lavoro ad incastro nella fase applicativa. Ma può essere un segnale. Dal testo iniziale, le categorie sono riuscite a cancellare la vendita dei giornali fuori dalle edicole, le norme sul trasporto pubblico locale e quelle relative al sistema aeroportuale, ancor prima che approdasse in Consiglio dei Ministri (20 febbraio 2015). Il quale ha ulteriormente indebolito il provvedimento, cancellando la parificazione tra taxi ed auto a noleggio con conducente e l’estensione alle parafarmacie della possibilità di vendere i farmaci di fascia “C” quelli, cioè, a totale carico del cliente.
Sotto le forche caudine parlamentari passerà un Ddl fortemente ridimensionato che sottrae lavoro ai notai per affidarlo agli avvocati, in ragione del numero di elettori che ciascuna delle due categorie è in grado di portare al seggio (5.000 notai contro 250.000 avvocati) ma senza alcun vantaggio per cittadini e imprese costretti, comunque, a corrispondere un compenso. Infatti, per i passaggi di proprietà immobiliari, ad uso non abitativo, fino a 100mila euro e per la costituzione di Srl entro 20mila euro cade l’obbligo dell’atto notarile per cui gli avvocati vedranno incrementarsi gli introiti grazie alla logica del pallottoliere. In Parlamento, e più ancora nei corridoi, si consumerà lo scontro tra i notai per nulla rassegnati a rinunciare ad una consistente rendita, gli avvocati in cerca di pascoli e le altre categorie contigue (commercialisti, consulenti del lavoro, revisori) che si mobiliteranno per bagnarsi il becco nel mare di spese che i cittadini sono costretti ad affrontare per mantenere le categorie.
Come risulta evidente si procede senza un piano organico, con un approccio omeopatico e stando ben attenti a non sfiorare le radici dell’impianto corporativo: la pianta organica, il monopolio nei rispettivi settori economici e l’obbligatorietà dell’iscrizione. Per i farmacisti si prospetta la caduta del divieto del numero massimo di cui un unico soggetto può essere titolare che potrebbe tradursi in una maggiore concentrazione nel mercato dei farmaci. Non si tratta dell’immissione di quelle massicce dosi di competitività di cui il nostro asfittico mercato dei servizi professionali avrebbe bisogno ma, la proposta soppressione del vincolo di appartenenza a un’unica associazione professionale, l’obbligo di presentare il preventivo, l’apertura alle società multiprofessionali ed alle società di capitali con l’ingresso di soci non professionisti potrebbero cambiare il volto della professione forense e dare qualche stimolo all’economia. Ma, il disegno deve ancora diventare legge e, la pregressa esperienza insegna che ogni proposta che entra in Parlamento per ridurre il potere degli ordini ne esce ampliandone le prerogative. Peraltro, trasferendo da un ordine all’altro il diritto di prelievo il risultato non cambia. Così la concorrenza che, nei paesi ad economia avanzata, è concepita in ragione dei benefici che produce per l’utenza, in Italia si riduce nel cambio del destinatario cui è sempre obbligatorio corrispondere un compenso.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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