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Il referendum in Irlanda a favore dei matrimoni gay

Famolo all'irlandese

Esiste ancora bigotta che il sesso sia peccato fuori dal matrimonio e dalla monogamia

di Davide Giacalone - 25 maggio 2015

Come è possibile che un Paese cattolico, come l’Irlanda, voti massicciamente a favore del matrimonio fra omosessuali? Risposta: lo fa proprio perché è un Paese cattolico. Succederebbe la stessa cosa in Italia. Ed è frutto di un cortocircuito logico, propiziato da una profonda confusione culturale e da un’abbondante dose di conformismo falso-progressista.

 

Le tre religioni monoteiste coltivano un’idea peccaminosa del sesso. Hanno un’impronta sessista, che si riflette variamente nella preclusione del sacerdozio, nella selezione delle platee nei luoghi di preghiera, nel separare o interdire l’accesso ai luoghi sacri, nel differenziare le coperture corporali. Restiamo a casa nostra, per non allargare troppo il discorso: il sesso cessa d’essere peccaminoso, perde la tinteggiatura lussuriosa e assume la luce procreativa, quando esercitato all’interno del matrimonio. La forza di tale principio, o, se preferite, di tale tabù, è così pervasiva da essersi tradotta in molte leggi civili, che imponevano l’indissolubilità del vincolo e la condanna dell’adulterio. C’è voluto del tempo, per scalfirle. E la leva grazie alla quale s’è divelto quel totem è consistita e consiste nell’uguaglianza di tutti davanti alla legge, oltre che nella tutela dei diritti individuali. Ma il tabù resta, pur mescolandosi con un malinteso modernismo.

 

Se, quindi, restiamo convinti che il sesso sia benedetto solo all’interno del matrimonio, e se abbiamo imparato che il matrimonio stesso non deve più essere il contenitore esclusivo, impermeabile e inviolabile, di un tempo, perché mai negarlo agli omosessuali? Non c’è ragione. Ecco perché, proprio in quanto cristiani (i cattolici sono una parte di questa più grande famiglia), si ritiene opportuno non impedire ad altri quel che si consideragiusto per sé. L’equivoco deriva dall’opposizione delle gerarchie, specificatamente di quelle cattoliche. Ma, se è per questo, le istituzioni ecclesiastiche sono contrarie anche al matrimonio civile, considerandolo (giustamente, dal loro punto di vista) solo una formalità giuridica, aventevalore inferiore al sacramento. L’allargamento delle forme di matrimonio, per i ministri del culto, equivale alla perdita, erosione e poi quasi vaporizzazione di un monopolio. Tanto da avere abbassato tutti gli ostacoli per l’accesso ai sacramenti, con il risultato di trasformarli in riti e feste. Moltissimi dei ragazzi che accedono, a quelli precedenti il matrimonio, non è che non abbiano idea delle scritture sacre, è che ignorano anche il catechismo.

 

Però si portano dietro il tabù, che generosamente allargano agli omosessuali. Se non fosse per quello sarebbe chiaro che il problema, senza distinzione di sesso e sessualità, non è quello di legiferare aumentando le tipologie dei vincoli di coppia, ma di farlo allargando i diritti individuali. Esempio: devo potere lasciare i miei beni, farmi assistere, delegare decisioni che mi riguardano, anche a persone con cui non necessariamente debba accoppiarmi. Il rapporto sessuale dovrebbe essere affare privato, mentre diventa pubblico ciò che vincola terzi, ma che è saggio regolare sulla base della libertà individuale, non di coppia. Con una granitica eccezione, naturalmente: quando nascono figli, che vanno tutelati con la legge.

 

L’idea bigotta che il sesso, per non essere peccato, comporti una scelta monogamica e matrimoniale (salvo poi violarla in tutti i modi possibili e immaginabili), frullata con l’idea falso-progressista che a quell’altare debbano potere accedere tutti, ha generato il tabù post moderno delle nozze gay. Dissentire da questo conformismo, che attira superficialità di destra e sinistra, sopra e sotto, espone al rischio d’essere accusati di sessismo e servilità vaticana. Più o meno l’opposto cui conduce il ragionare. Che comporta un impegno, però, sconosciuto al festeggiare.

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