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  • 20150130 - Il Presidente che sarà

Renzi sceglie Mattarella

Il Presidente che sarà

Come cambia il ruolo del Colle, da Napolitano a Mattarella

di Enrico Cisnetto - 30 gennaio 2015

Vedremo se per il Quirinale i conti tornano. Per la verità, lo scenario di forte convergenza che si è manifestato nelle ultime ore – il modo unanime con cui il Pd ha presentato la candidatura di Sergio Mattarella e la disponibilità che su quel nome si è profilata da parte di altre forze, anche di opposizione come Sel – fa un po’ a pugni con la scelta, a questo punto incomprensibile, di “andare in bianco” nelle prime tre votazioni. Ma ciò non toglie che alla quarta votazione, i numeri che sembrano esserci sulla carta si manifestino effettivamente. Comunque vada a finire, però, ci sono due considerazioni che fin d’ora si possono fare. La prima è di natura politica in senso stretto: se il successore di Napolitano sarà davvero Mattarella, il Pd ritrova (momentaneamente) l’unità, ma il governo perde il contesto politico nel quale si è mosso. Perché delle due l’una: o Berlusconi, come ha detto, non vota Mattarella, e allora il patto del Nazareno – che è la vera architrave su cui si regge Renzi – si svuota, o al contrario lo vota o comunque usa la scheda bianca come forma di “non opposizione”, e allora i problemi di tenuta del Pd si riproporranno, visto che quella virata di Renzi verso sinistra si rivelerà strumentale alla sola elezione del Capo dello Stato, per il quale è del tutto evidente che Mattarella in partenza non era affatto il candidato del presidente del Consiglio. Inoltre, in questo secondo caso, è tutta da vedere la tenuta di Forza Italia (vedi le dichiarazioni di Fitto di ieri sera).

 

Ma mentre per mettere meglio a fuoco questa valutazione occorre attendere che la giostra del Quirinale finisca di girare, la seconda è invece un dato acquisito, comunque vada. E riguarda la clamorosa contraddizione, che balza agli occhi, tra le modalità con cui si è proceduto alla scelta del nuovo inquilino del Quirinale e la cifra non solo delle riforme istituzionali in itinere (bicameralismo, legge elettorale) ma anche dell’impostazione culturale con cui la politica oggi si pone nei confronti della società e dei singoli cittadini. Da un lato i riti tipici della Prima Repubblica: consultazioni – rese ancora più stridenti dal fatto che erano condotte dal segretario del partito di maggioranza che però è anche presidente del Consiglio – incontri più o meno segreti, telefonate, conciliaboli. Nessuna candidatura esplicita, voto segreto, mille grandi elettori che sono dei nominati perché i cittadini non li hanno scelti. Cose normali e lecite, sia chiaro, che personalmente non demonizzo affatto, anzi. Compreso il fatto che il candidato Mattarella, visto il suo basso livello di popolarità (nel senso che è poco conosciuto), non supererebbe lo scoglio di un’elezione diretta da parte dei cittadini: d’altra parte, se così non fosse non avremmo avuto, nel passato, ottimi presidenti che erano espressione di minoranze politiche e culturali. Ma si tratta, dobbiamo dircelo, di metodi e scelte che fanno a pugni con un modo di intendere la politica di tipo iper-maggioritario e plebiscitario, dove i partiti lasciano spazio alle persone e gli strumenti più usati sono le primarie, le consultazioni on-line, i sondaggi. Guardate che questa è una contraddizione che rischia di cortocircuitare qualsiasi assetto politico che non sapesse leggerla e affrontarla. Cosa che non si vede all’orizzonte, se è vero che nessuna riforma costituzionale sul tappeto prevede l’elezione diretta del Presidente della Repubblica e di conseguenza un sistema di tipo presidenziale o semi-presidenziale.

 

Non sto dicendo che quella dovrebbe essere la strada da imboccare. Se potessi scegliere, userei il sistema tedesco nella sua interezza, che prevede un cancelliere forte, un parlamento rappresentativo perché selezionato con metodo proporzionale (salvo l’uso dello sbarramento come strumento per evitare la frammentazione) e un presidente della Repubblica di pura rappresentanza e garanzia. Quello che non si può fare, però, è rimanere a metà del guado, con la Costituzione formale e la prassi istituzionale che dicono una cosa e la cosiddetta Costituzione materiale che prevede l’esatto contrario. A Napolitano abbiamo rinfacciato (ingiustamente) di essere andato oltre i confini del ruolo, senza capire che le circostanze lo richiedevano proprio perché la politica aveva prodotto quella divaricazione tra forma e sostanza senza saperci porre rimedio. Ora corriamo il rischio che Mattarella – che sarà (se lo sarà) un ottimo Capo dello Stato – venga accusato dell’esatto contrario: di non essere sufficientemente forte in un contesto che richiede capacità di chiudere, facendosi proattivi, la fase di transizione che viviamo dopo la fine del bipolarismo della Seconda Repubblica. E spesso sbagliare per difetto è peggio che sbagliare per eccesso.

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