Voltiamo pagina sull'Unione Europea
Riscriviamo i trattati europei per condividere sovranità e debiti pubblici in un sistema federale
di Enrico Cisnetto - 04 gennaio 2015
Se il governatore della Bce arriva a chiedere, come ha fatto Mario Draghi nelle ultime ore, una nuova costituente per l’euro, vuol dire che è davvero scaduto il tempo per l’Unione europea di diventare un’altra cosa. Se è sufficiente che in Grecia ci siano le elezioni perché tornino a tremare le fondamenta stesse dell’architettura europea, è evidente che le crepe sono talmente tante e profonde che l’unica soluzione è riscrivere – subito – i Trattati, in modo che sovranità e debiti pubblici vengano condivisi in un sistema federale. Come? Trasferendo alle istituzioni comunitarie nuovi poteri su bilanci pubblici, fisco, mercato del lavoro, welfare e burocrazia. Costituendo una vera e propria unione energetica, attrezzando una difesa comune. Ma soprattutto, predisponendo una road map di decisioni che spingano nella direzione di una vera integrazione politica e istituzionale. Il tutto in cambio della mutualizzazione, almeno parziale, dei debiti sovrani, e la contestuale rivisitazione del Fiscal Compact. Lo stesso presidente della Commissione, Jean Claude Junker, continua a ripetere, seppure solo in privato, che abbiamo solo “un’ultima occasione” per salvare l’euro. E persino Jens Weidmann, governatore della Bundesbank e rigorista dal piglio maniacale, ha aperto a possibili compromessi. Anche perché quando i debiti sono (o appaiono) insostenibili, i mercati spingono al rialzo i tassi per metterne alla prova la tenuta, e la risposta, non potendo essere la svalutazione forzosa di una moneta al cui interno sono contenuti debiti assai diversi, inevitabilmente diventa quella di un drammatico taglio del tenore di vita e della messa in mora dei governi attraverso l’uso di strumenti non democratici (la troika). E per quanto tale svalutazione e tale commissariamento possano essere legittimati dalla pregressa dissolutezza dei paesi a rischio default, la toppa rischia di rivelarsi peggio del buco. Nel 2015, oltre che in Grecia, si vota in altri sette paesi dell’Unione, tra cui la Spagna, dove avanza l’evoluzione degli “indignados” Podemos, e nel Regno Unito, con gli euroscettici che sembrano in maggioranza: saranno queste altrettante cartine di tornasole del grado di reazione dei cittadini all’incompiutezza europea.
Noi dovremmo essere i primi a farci paladini della riscrittura dei Trattati prima che sia troppo tardi (peccato aver perso l’occasione del semestre a nostra guida). Anche perché, dopo Atene, la tempesta rischia di virare su Roma, visto che con la Grecia condividiamo sia il peso di un enorme debito pubblico (anche se il nostro è assai più sostenibile del loro) che l’instabilità del sistema politico, mentre il trend della nostra economia è addirittura peggiore (nel 2014, +0,6% loro, -0,4% noi). Molti si stupiscono della relativa calma finanziaria di fronte alla possibilità che la vittoria di Tsipras implichi una rinegoziazione del debito ellenico, con il peso che ne verrebbe scaricato sull’eurosistema, mettendolo in crisi. In realtà, è la diga Bce, con il programma di acquisti di titoli dei paesi in difficoltà per 500 miliardi, che sta frenando l’assalto dei mercati. Ma fino a quando?
Al feroce attacco speculativo dei mercati del 2011 l’Italia è sopravvissuta grazie alle misure di austerità (soprattutto la riforma delle pensioni del governo Monti) sommate all’impegno di Draghi a “fare tutto il necessario per salvare l’euro”. Oggi, però, non avremmo scampo. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
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