La scossa per l'economia
Jobs Act e 80 euro non servono ad un Paese in crisi permanente
di Enrico Cisnetto - 28 dicembre 2014
Il primo anno dell’era Renzi finisce con il Jobs Act che è diventato legge. Con qualche compromesso di troppo – si doveva evitare l’eccesso di discrezionalità in capo ai giudici – ma segna comunque un punto a favore del governo. Anche pesante, considerato che sull’articolo 18 si è rotto un tabù anacronistico che durava da decenni. Ma è un punto conquistato sul terreno della politica, non dell’economia. L’intervento su mercato del lavoro, così come gli 80 euro per i consumi, non sono la politica economica che serve ad un paese in crisi permanente. Ci vuole altro, per invertire la marcia. Lo so, così rischio di iscrivermi al partito di quelli che “si arrenderanno all'improvviso, quando non potranno più negare la realtà”, la nuova definizione che ieri Renzi ha dato del “partito dei gufi”. Ma, cari lettori, nel nostro ultimo appuntamento del 2014 in questo spazio, non possiamo non dirci che abbiamo buttato via un altro anno. Non c’è altro modo, purtroppo, per archiviare questo inutile 2014, settimo anno di crisi recessiva e 23mo di quel maledetto declino iniziato quando, nel 1992 abbiamo maldestramente dato il benservito alla Prima Repubblica – che pure la storia costringeva a superare – senza avere idea di come sostituirla. Già, stiamo per consuntivare il 2014 con un calo del pil di mezzo punto – il che porta a oltre il 10% la perdita di ricchezza nei 28 trimestri trascorsi da inizio 2008, di cui 17 con il segno meno – con un quarto della capacità produttiva andata distrutta e con la disoccupazione (se si considera anche la cassa integrazione) al 14,2%, pari a 8,6 milioni di persone a cui manca totalmente o parzialmente il lavoro. Non solo. Non abbiamo affatto sistemato i conti pubblici – nonostante i vincoli europei – visto che il debito pubblico, nostra vera palla al piede, è aumentato sia in valore assoluto (a ottobre era a 2.157,5 miliardi, oltre 11 sotto il record storico di 2.168,75 miliardi toccato a giugno ma ben 90 in più di dicembre 2013 e 168 in più di fine 2012) che in rapporto al pil (oggi è al 133%, un anno fa era al 128%). Un mare che certo non si svuota con il cucchiaino degli avanzi primari.
Si dirà: ma un po’ tutti, a cominciare da Confindustria, pronosticano che già nel primo trimestre del nuovo anno registreremo una ripresina, che poi si consoliderà in un +0,5% a fine 2015, per arrivare a fine 2016 a +1,1%. E non c’è previsione per l’anno che si sta per aprire che non sia positiva: Fmi +0,8%, Ocse +0,2%, Ue +0,6%, Moody’s +0,5%, Ficht +0,6% (la media è 0,53%). Già, ma a Capodanno ci viene sempre raccontato che l’anno successivo sarà quello della svolta. Non ci siamo fatti mancare niente, in quanto a litanie illusorie, dai “ristoranti pieni” di Berlusconi a “l’Italia sta meglio degli altri” di Tremonti, da “l’anno prossimo arriverà la crescita” vaticinato da Monti a dicembre 2012 a Letta che vedeva “la luce in fondo al tunnel”. Renzi ha twittato e ri-twittato #lasvoltabuona. Peccato, però, che la ripresa sia sempre rimasta dietro l’ennesimo angolo. E che, a furia di bugie, oltre alla ricchezza, abbiamo bruciato anche la fiducia.
Dunque, per una volta, possiamo evitare di annunciare rose che non fioriranno? Oltre tutto porta rogna. E ci si preclude quella generale presa di coscienza indispensabile per riuscire a cogliere le occasioni che, sono sicuro, non mancherebbero nell’anno che sta per nascere. Tanti auguri e arrivederci al 2015. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.