Il disastro delle urne
I risultati delle regionali sono il segnale di una profonda crisi del nostro sistema sociale
di Umberto Malusà - 25 novembre 2014
Questa tornata elettorale è stata un disastro! Dobbiamo avere il coraggio di dirlo senza se e senza ma. Sarà stata pur limitata nelle dimensioni ma rappresenta un inequivocabile segnale di una tendenza della popolazione italiana che deve far riflettere in modo approfondito e non con le solite e stucchevoli dichiarazioni o, ancor peggio , con questi tweet assolutamente inadatti ad esprime alcun ragionamento compiuto.
Iniziamo a rifuggire dalle banalità scontate: disagio, mancanza di leadership, preoccupazioni, ma confrontiamo questo dato con quelli delle tornate precedenti. Non siamo di fronte a singoli episodi isolati ma ad una deriva ben precisa che descrive lo stato di salute di una società in crisi strutturale, senza visioni valoriali, senza punti di riferimento, svuotata di contenuti che non siano la paura di perdere qualcosa: privilegi considerati diritti acquisiti, livelli di vita sopra le righe, ricchezza e stili di vita conseguenti diffusi. E soprattutto senza voglia o capacità di reagire. Se non approfondiamo quanto sopra in termini d’analisi sociologica continueremo a ritenere i singoli episodi, in questo caso le performance elettorali, come dati assoluti su cui innescare visioni – meglio illusioni – di tendenze consolidate.
Penseremo, ad esempio, che la Lega stia consolidandosi sul 20% dell’elettorato, o che il PD valga quel 40% che il Premier ha sbandierato a lungo in tutte le sedi per giustificare la sua tendenza al potere assoluto. Non è così, siamo semplicemente di fronte ad una popolazione, rappresentata in gran parte dal ceto medio produttivo, in preda ad una crisi di orientamento quasi disperata. Deluso dall’esperienza del centro destra, preoccupato dall’incapacità di affrontare i problemi del Paese, ha pensato di trovare nel decisionismo di Renzi una possibilità. Ma se il Premier è convinto che sia un orientamento acquisito fa un grande errore .
In termini di consenso questa infatuazione si sta già involvendo minata da una esteriorità esasperata, dai proclami, dalle enfasi sulle donne e sui giovani, dalla incapacità di far seguire agli atteggiamenti risoluti un risultato percepibile concretamente. Errori d’analisi: non è che la presenza graziosa femminile dia consenso in ogni caso, ed il fastidio verso l’età dei politici o dei manager non è un fatto anagrafico ma di mancanza di doti e professionalità. Sostituendoli con giovani e donne, carine ma poco capaci, ottieni un consenso immediato seguito da una delusione che diventa sempre più rabbiosa per l’accumulo di frustrazione e di cui fa paura pensare l’evoluzione.
Lo stesso vale per la Lega: il segretario Salvini intelligentemente ha cambiato registro ma non è vero che parla alla pancia della gente impaurita, semplicemente dice cose di buon senso che rappresentano per il cittadino una possibilità nella disperata ricerca di un senso elettorale. Nulla oggi può essere considerato consolidato. Tra l’altro riflettiamo: con il tasso di astensionismo attuale il 50% dei voti vale il 20% della base elettorale.
Con questi dati, in una società quale la nostra (italiana) che deve intraprendere un percorso di ridimensionamento della spesa in tutti i sensi, come può si pensare di affidarsi ad un sistema politico che si basa esclusivamente sul consenso a breve termine guidato dai sondaggi? E’ impossibile. Sarebbe percorribile solo in presenza di sentimenti solidi abbinati a obiettivi, prospettive, valori quali quelli che hanno guidato il nostro Paese nella ricostruzione post bellica e nello sviluppo degli anni 60. Quindi dovremo avere il coraggio di iniziare una riflessione ben più dura: questi risultati sono il segnale di una profonda crisi del nostro sistema sociale, di una democrazia burocratizzata i cui valori di riferimento, in grado di condizionarla, sono solo emotività mediatiche ed in cui si è persa la memoria delle ideologie o del pensiero politico che davano energia ed orientavano la voglia di impegno, di fare, di reagire.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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