Bisogna metterci la testa
Se Bagdad diventa la Saigon di Obama il prezzo rischia di pagarlo l'Europa
di Flavio Pasotti - 07 ottobre 2014
Bagdad potrebbe diventare la Saigon di Obama se Isis continuasse ad avanzare e l’esercito iracheno a dissolversi. La strategia degli attacchi aerei semplicemente non e' una strategia: 5-6 incursioni al giorno da parte della coalizione tutta sono meno di zero. Obama non vuole mandare le truppe ma forse, e dico forse, neppure può. Proviamo a capire.
Il primo fronte di attacco di Isis rimane ancora la Siria, in particolare i confini con la Turchia dove Kobane sta diventando la nuova Serajevo. L’Isis avanza rumorosamente con tutte le armi sottratte agli iracheni e con quelle comprate dalle tribù siriane che le avevano ricevute dagli occidentali e dai cinesi. I turchi (che hanno aderito solo un paio di giorni fa alla coalizione) non intervengono sebbene la battaglia sia sul confine e soprattutto non permettono ai curdi turchi di passare il confine e soccorrere la città assediata da tre lati (unico lato libero quello appunto verso la Turchia). Non lo fanno per due possibili ragioni. La prima e più evidente: perché non hanno ancora stretto una vera alleanza con gli storici nemici curdi: i turchi vogliono che Pkk non si accresca e che il Pyk accetti di schierarsi anche contro Assad, la cui cacciata è nella testa del sunnita aspirante califfo Erdogan. Gli analisti occidentali concordano su questo, io temo invece che Erdogan sappia che Isis, foraggiata dai fratelli musulmani (alla faccia di Obama che pensava fossero arabi moderati) è un alleato più sicuro e preparato per scacciare Assad e che lui possa poi controllare il nuovo Stato in via di formazione tra Bagdad e Damasco. La trattativa tra turchi e ribelli Isis si è dipanata in parallelo con la liberazione di 43 membri del corpo diplomatico e militare turco distaccati nel passato in Siria e catturati dai terroristi islamici. Manco una testa gli hanno mozzato, vorrà pur dire qualcosa... D’altra parte, Obama non può fare a meno dei turchi e quindi abbozza.
La seconda ragione riguarda la “guerra di religione”. I curdi iracheni stanno tentando di riconquistare Mosul, seconda città irachena caduta nelle mani di Isis: avvicinamento molto lento, chissà perché, mentre marciano molto più spediti verso il confine siriano dove hanno conquistato un importante valico: L’idea è di formare uno Stato curdo che vada da Kobane in Siria fino ai sobborghi di Tikrit; non sembrano invece minimamente interessati a ciò che accade a sud, verso Bagdad, lasciata ormai sotto il tiro dei cannoni di Isis. Della serie: è un affare tra sunniti e sciiti e non roba nostra, si scordino gli alleati che noi si metta anche solo un uomo sul campo.
Detto questo, anche l'Arabia Saudita ha i suoi problemi: nei giorni scorsi sono stati segnalati ammutinamenti e conseguenti arresti di piloti sauditi (tutti imparentati con la famiglia Saud, per essere chiari) che si sono rifiutati di bombardare i confratelli. Il Qatar tiene un atteggiamento defilato, la Giordania si è chiamata fuori, e quel discutibile personaggio di Netanyau, dati i pessimi rapporti con Obama, pare non passi nemmeno le informazioni sigint che copiosamente raccolgono tra il Golan e nel territorio giordano. Anche perché spera che questa storia non finisca più perché sta logorando pesantemente i barbuti di Hezbollah impiegati dagli iraniani controlli eredi sbiaditi di Al Qaida.
L’Iran freme ma è fermo: sa bene che se ufficialmente entrasse a fianco dei non carissimi amici sciiti iracheni partirebbe un domino di reazioni non controllabili. E poi, come i turchi, gli iraniani vorrebbero guadagnare qualcosa, per esempio annettersi da Bassora (terminale petrolifero sul Golfo Persico, quel golfo che vorrebbero chiamare “mare nostrum”) fino a sud di Bagdad: gli sciiti iracheni accetterebbero solo se l’Isis entrasse a Bagdad, quindi perché aiutarli?
Questo per sommi capi. E veniamo agli europei. I francesi rilasciano fotografie che mostrano quanto è bello il Rafale che vola di notte sopra Bagdad e fa rifornimento in volo: souvenir de Paris, perché' le bombe costano e magari qualche caccia lo si può ancora vendere in gior per il mondo. I tedeschi addestrano e armano i curdi perché quelli che non sono a combattere sono emigrati da tempo in Germania. Gli inglesi mandano i tornado in gita da Akrotiri, non risulta facciano rifornimento in volo, sorvegliano con attenzione inutile le coste siriane e lanciano manifestini dalle pagine dei giornali dicendo che questi sunniti sono dei veri barbari.
Tornando agli Stati Uniti, Obama non ha nulla da giocarsi e manco vuole: il prezzo del barile non risente minimamente dei conflitti, e gli Usa da fine di quest’anno diventeranno i primi produttori di greggio al mondo superando l’Arabia Saudita. I russi stanno zittissimi perché il prezzo del petrolio basso non li aiuta, dato che i loro costi di estrazione sono i più alti di tutti. Insomma, per Obama non va malaccio, deve solo trovare il modo di non far ripartire in elicottero il generale Allen dalla base americana presso l’aeroporto internazionale di Bagdad come accadde dal tetto dell’ambasciata di Saigon. Morale: l’accordo Sykes Piqot sparisce dalla carta geografica e nuovi stati sono in formazione in una area che fu culla di civiltà e di inenarrabili disastri. Noi stiamo a guardare, sperando di riuscire a liberare i quattro ostaggi italiani che l’Isis ha nelle sue buche sabbiose e ardentemente speriamo che il Califfo non voglia far dimenticare la guerra di religione contro altri musulmani tirando giù qualche aereo nel cielo sopra le nostre teste.
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