Alla Corte di Napolitano
Il Quirinale lancia un monito per l'elezione dei due membri della Consulta. Ma in Parlamento si continua a litigare
di Davide Giacalone - 18 settembre 2014
Altra cilecca. La Corte costituzionale dovrebbe essere guardiana della costituzionalità delle leggi. A guardarla, invece, si ha la misura del disfacimento costituzionale. Sarebbe potuta e dovuta andare diversamente, se solo la classe dirigente nel suo insieme, non solo la politica, non fosse divenuta l’incarnazione dell’Italia furbacchiona e demente, galleggiante e affondante.
Ieri le Camere riunite in seduta congiunta, non riuscendo a eleggere i due giudici costituzionali mancanti, hanno votato sotto la pressione di un comunicato quirinalizio. No, non era un “monito”. Questa volta ci sarebbe potuto stare, perché una delle cause che può indurre, e anche costringere, il presidente della Repubblica a sciogliere il Parlamento e convocare le elezioni anticipate, consiste proprio nell’incapacità di adempiere agli obblighi costituzionali, inibendo o menomando il lavoro di altri organi dello Stato. Avesse monitato, Napolitano ne avrebbe avuto ragione. Ma ha fatto una cosa diversa: ha mosso il Colle e con quello ha sfondato il Monte (Citorio). E’ partito in tema, considerando gravi i ritardi nell’elezione di due giudici costituzionali. Poi ne è uscito, parlando di “immotivate preclusioni”, il che non solo sponsorizza eccessivamente due candidati che non dovrebbero riguardarlo (e che un giorno potrebbero giudicarlo), ma introduce la distinzione fra preclusioni immotivate e motivate. Chi decide quali sono le une e quali le altre? Non poteva farlo il re, quando risiedeva in quello stesso palazzo. Forse poteva farlo il papa, altro inquilino, che anche per quello fu sfrattato.
Non basta. Perché Napolitano ha anche sostenuto che sarà maggioritario il sistema elettorale che questo Parlamento è chiamato ad approvare. E chi lo ha detto? Non è maggioritario quello frutto di una sentenza costituzionale. Non lo era quello abrogato (che prevedeva un premio di maggioranza, cosa assai diversa). In ogni caso non tocca al Colle dirlo. Tifo per un maggioritario, ma dispongo di rudimenti costituzionali a sufficienza per sapere che i sistemi elettorali devono essere coerenti con gli assetti istituzionali, altrimenti non funzionano. Nel nostro non è previsto che il Quirinale legiferi, né indirizzi il legislatore. Non basta ancora, perché Napolitano è entrato nel vivo del dibattito sulla riforma costituzionale che modifica il bicameralismo, avvertendo che alzare i quorum per le nomine è un errore, se poi non si sanno fare gli accordi. Presenterà un emendamento? Quelle parole saranno usate nel corso della discussione, per indebolire chi vorrebbe rafforzare le garanzie costituzionali. Possiamo, nel frattempo, buttare il testo della Costituzione (non) vigente.
I candidati alla Corte, del resto, sono essi stessi, con tutto il rispetto per le persone, dimostrazione di un decadimento. Tutte le nomine fatte dal Parlamento sono, per loro natura, politiche. Ma qui si nominano due politici. L’incarico di giudice costituzionale porta con sé la rappresentanza di una scuola di pensiero, ma qui si delegano i rappresentanti delle scuole di partito. Non è affatto la stessa cosa e non sono i primi.
Luciano Violante, uomo di grande e raffinata preparazione, è raffigurato, dagli antipatizzanti, come l’ex capo del partito delle toghe. Dissento. Egli ha incarnato la supremazia del partito sulle toghe. Tanto che lasciò la seconda per guidare il primo. Non fu mai giustizialista o garantista, fu ed è teorizzatore e praticante della convenienza politica. Poco rileva se ciò porta all’incoerenza scolastica, perché si regge sulla più nitida coerenza pratica: la supremazia del partito. Succo di leninismo. Portarlo alla Corte significa portarci non la politicizzazione, ma la subordinazione del resto alla politica. Il centro destra, dal canto suo, cambiava i candidati senza potere cambiare impostazione politica, perché non c’era.
La stazione di destinazione, il palazzo della Consulta, del resto, è già il tempio del diroccamento costituzionale. Abitata da soggetti incapaci di quel minimo d’orrore verso se stessi, di quel minimo di pudore che impedisca e tronchi lo scempio costituzionale consistente nell’eleggere presidenti barzelletta, Fregoli della boria, praticanti della sveltina costituzionale, tutti complici del solare stupro della Costituzione. Tale putrefazione dura da tanti, troppi anni. E per tanti, troppi, siamo anche stati gli unici a dirlo. Il che segna un fallimento che non si limita a pochi palazzi, ma coinvolge le cattedre e le redazioni.
Per metterci una pezza s’è convocato il Nazareno. Inteso come patto. Avverso il quale non si mossero solo avversari politici, ma anche nominati tremuli e incapaci di farsi valere nella sede propria. Questo è il dramma: oppositori che non valgono nulla e patto che non produce nulla di quel che serve. Con il tempo che corre inutilmente e l’economia che arranca disperatamente.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.