I tre punti europei di Renzi
Renzi in Europa deve essere ambizioso: un patto con Draghi, aumento del bilancio Ue e poi si dica alla Merkel che l'euro non è il Marco
di Enrico Cisnetto - 07 luglio 2014
“L’Europa non può diventare la patria delle banche, dobbiamo difenderla dall’assalto della tecnocrazia”. Con evidente ingratitudine nei confronti di Mario Draghi, il presidente Renzi, forte del 40% ottenuto alle europee e grazie all’assenza di concorrenti seri, cerca di assumere il ruolo di guida della Ue proprio mentre l’eurozona deve decidere se continuare a rinchiudersi in uno status quo paralizzante o rompere gli schemi e reinventarsi. Ma Renzi se vuole cimentarsi, dovrà mettere sul tavolo proposte ben più ambiziose di quelle contenute nel documento presentato per l’apertura del semestre a presidenza italiana. Proposte per far uscire l’Ue dalla crisi politico-istituzionale ed economico-finanziaria in cui versa da troppo tempo, non per mendicare questa o quella concessione dalla Germania. E per poter dare credibilità alle proposte dovrà dimostrare che l’Italia è in grado di fare la sua parte. Per esempio, potrà chiedere la non contabilizzazione di alcune voci di spesa pubblica ai fini dei “tetti di deficit”, che comporta ulteriore debito, solo a due condizioni: che le maggiori spese (o le minori entrate fiscali) accrescano significativamente la competitività del paese, e dunque consentano una crescita del pil superiore agli ulteriori oneri di debito; che si abbia un piano credibile di rientro del debito, affidato non solo agli avanzi primari.
Sistemata la propria coscienza, ecco tre cose decisive da fare. La prima: un patto con Draghi – altro che calci nel sedere alle tecnocrazie bancarie – per ottenere un qualche salutare deprezzamento dell’euro. Non si tratta di chiedere esplicitamente alla Bce di svalutare, ma è ovvio che se la Bce accetta politiche più aggressive in termini di “quantitative easing”, tese a riattivare il circuito del credito alle imprese, e di perseguire un obbiettivo di inflazione al 2% come programmato (o ancor meglio lievemente sopra), con tassi di interesse che restano a zero, un cambio più ragionevole arriva da solo. Il tedesco Weidmann voterà contro, ma resterà in minoranza.
In secondo luogo, Renzi deve chiedere un’effettiva europeizzazione degli stabilizzatori sociali – il che significa aumentare il bilancio Ue e ridurre quelli degli stati membri – per evitare che l’austerità giustamente imposta ai paesi con finanze pubbliche e private fuori controllo provochi loro una spirale recessiva senza fine. S’imbatterà nell’obiezione tedesca alla “transfer union”, ma potrà replicare con ragione che una unione economica vera comporta inevitabilmente strumenti redistributivi e di bilanciamento, come peraltro già prevedeva il Trattato di Roma del 1957. Tuttavia, per rendersi credibile il richiedente dovrà mostrarsi capace di utilizzare i fondi comunitari, al contrario di quanto è avvenuto finora. Magari proponendo che gli aiuti vadano direttamente a cittadini e imprese, tagliando fuori istituzioni statali ed autonomie locali inefficienti. Infine, Renzi può sostenere che le modifiche costituzionali richieste dal “patto di stabilità” ai paesi indebitati debbano essere accompagnate da speculari modifiche costituzionali in Germania, per sancire che l’euro non è il Marco, ma la moneta comune europea, e che la competenza in materia è della Bce e della Corte di giustizia europea, non di Karlshrue.
Trattasi di programma realistico. Ma per reggerlo occorre dimostrare di saper governare meglio degli altri. (twitter @ecisnetto)
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