Apriamo le porte alla Terza Repubblica
È giunta l’ora del fare
Senza una presa di coscienza da parte della “borghesia” il declino sarà inarrestabiledi Enrico Cisnetto - 11 settembre 2009
Ricordo che nel periodo 1992-1994 una delle frasi più gettonate, ed appropriate al momento, era “quando si mette in funzione il ventilatore.…non si salva più nessuno”. Ora è ritornata di moda, e vengono i brividi a pensare se gli stessi effetti si dovessero riprodurre.
Certo, il contesto è cambiato: esposti al pubblico ludibrio non ci sono più i leader della Prima Repubblica – che, pur con tutti i loro difetti, il principale dei quali è stato aver lasciato che giustizialismo e populismo trionfassero, rimangono molte spanne sopra quelli della Seconda Repubblica raggiunti ora dagli “schizzi” – bensì una classe dirigente che in 15 anni non ha mai avuto un sussulto di dignità.
Ma, soprattutto, non sono più – o solo – le Procure a “orientare il ventilatore”: ora a “spandere guano” sono in prevalenza i giornali, che allora furono comprimari, cui la politica – come ha detto bene ieri il presidente Pera su questo giornale – ha colpevolmente dato piena delega.
In questo quadro, cercare le primogeniture significa semplicemente trovare altri pretesti per alimentare il “ventilatore”. Qui la colpa – diretta per chi ha partecipato al gioco al massacro, indiretta per chi è stato a guardare o, peggio, si è girato dall’altra parte – è di tutti, nessuno escluso, ma soprattutto è di chi d’ora in poi non farà niente per mettere fine a questo terribile imbarbarimento della vita politica e civile del Paese.
Penso, in primo luogo, alla grande borghesia (sic: grande per volume di patrimonio, s’intende!), che in questi anni non ha voluto prendere atto dello scadimento progressivo del sistema politico, imbevuta com’era di quell’ideologia liberista che predicava lo “Stato minimo” salvo continuare a succhiare la ruota della spesa pubblica, e illusa com’era che la favola dello schema bipolare – dove chi vince prende tutto e decide e chi perde aspetta il turno successivo facendo il cane da guardia di un parlamento svuotato di poteri e di funzionalità – pagasse sempre e comunque.
Sì, per carità, la Confindustria ha lanciato ammonimenti in mille convegni, che regolarmente hanno lasciato il tempo che avevano trovato. E i cosiddetti “poteri forti” (magari ci fossero) sono indicati ogni giorno come costruttori di scenari alternativi – dal “grande centro” al “governassimo” – di cui però finora si è visto solo il gossip.
Belati, in realtà. Quando si è trattato di provarci davvero, quando è stato il momento di “scendere in campo”, tutti “tenevano famiglia”. La vasta “borghesia del fare”, che va dalla Fiat fino al popolo delle partite Iva, ha saputo solo lamentarsi del declino dell’Italia, in qualche caso ha persino chiuso gli occhi per evitare di guardare in faccia la realtà di un paese sempre più vecchio, chiuso e marginale, ma di prendere un impegno diretto neanche a parlarne.
Meglio il trinomio “delegare, pietire, mugugnare”. Persino le banche, considerate onnipotenti e imputate dei peggiori delitti, pur essendo esposte al disprezzo dell’opinione pubblica, hanno subito e subiscono senza reagire, senza un sussulto d’orgoglio, lasciando al solo governatore Draghi l’onere di difendere il sistema.
Ora tutti sono un po’ spaventati. Vedono la macchina dello sputtanamento girare a pieno regime, ma rispetto al 1992 non coltivano neppure l’illusione che buttare giù una “casta” possa voler dire far spazio a qualcosa di meglio. Sentono dire che la crisi economica è finita e che comunque gli altri stanno peggio, ma poi leggono che nel secondo trimestre il nostro pil ha perso il 6% contro il 4,7% di quello di Eurolandia (peggior dato dal 1980, e solo perché da quell’anno cominciano le rilevazioni trimestrali dell’Istat), che l’industria ha lasciato sul campo il 17,7% del valore aggiunto e il 25% della produzione.
Così ti telefonano con l’ansia di sapere cosa succede: Berlusconi e le escort, Fini che va per conto suo, il “tutti contro tutti” che vige persino in Vaticano, le voci di elezioni politiche abbinate alle regionali di marzo. Insomma, il redde rationem. Verso il quale non si capisce se è bene avere un senso di repulsione, di paura, o al contrario di liberazione.
Ma siamo, sempre e comunque, nel campo dell’impotenza. La borghesia non riesce ad avere piena coscienza della situazione del Paese e tantomeno piena coscienza del proprio ruolo. Chi è in difficoltà impreca contro le banche – nella maggior parte dei casi impropriamente – chi può cerca sostegni e sgravi, chi ha già fatto il turnaround se ne fotte, e quasi tutti si consolano distinguendo le (s)fortune aziendali dal patrimonio personale fin qui accumulato.
Latitano i progetti d’investimento, grandi e piccoli, figuriamoci i disegni più generali sulle sorti dell’Italia. Sia chiara però una cosa: che il Paese galleggi, trascinandosi faticosamente, o che arrivi davvero allo show down aprendo le porta ad una Terza Repubblica, senza una presa di coscienza e un’assunzione di responsabilità da parte della “borghesia”, il declino sarà comunque inarrestabile.
Certo, il contesto è cambiato: esposti al pubblico ludibrio non ci sono più i leader della Prima Repubblica – che, pur con tutti i loro difetti, il principale dei quali è stato aver lasciato che giustizialismo e populismo trionfassero, rimangono molte spanne sopra quelli della Seconda Repubblica raggiunti ora dagli “schizzi” – bensì una classe dirigente che in 15 anni non ha mai avuto un sussulto di dignità.
Ma, soprattutto, non sono più – o solo – le Procure a “orientare il ventilatore”: ora a “spandere guano” sono in prevalenza i giornali, che allora furono comprimari, cui la politica – come ha detto bene ieri il presidente Pera su questo giornale – ha colpevolmente dato piena delega.
In questo quadro, cercare le primogeniture significa semplicemente trovare altri pretesti per alimentare il “ventilatore”. Qui la colpa – diretta per chi ha partecipato al gioco al massacro, indiretta per chi è stato a guardare o, peggio, si è girato dall’altra parte – è di tutti, nessuno escluso, ma soprattutto è di chi d’ora in poi non farà niente per mettere fine a questo terribile imbarbarimento della vita politica e civile del Paese.
Penso, in primo luogo, alla grande borghesia (sic: grande per volume di patrimonio, s’intende!), che in questi anni non ha voluto prendere atto dello scadimento progressivo del sistema politico, imbevuta com’era di quell’ideologia liberista che predicava lo “Stato minimo” salvo continuare a succhiare la ruota della spesa pubblica, e illusa com’era che la favola dello schema bipolare – dove chi vince prende tutto e decide e chi perde aspetta il turno successivo facendo il cane da guardia di un parlamento svuotato di poteri e di funzionalità – pagasse sempre e comunque.
Sì, per carità, la Confindustria ha lanciato ammonimenti in mille convegni, che regolarmente hanno lasciato il tempo che avevano trovato. E i cosiddetti “poteri forti” (magari ci fossero) sono indicati ogni giorno come costruttori di scenari alternativi – dal “grande centro” al “governassimo” – di cui però finora si è visto solo il gossip.
Belati, in realtà. Quando si è trattato di provarci davvero, quando è stato il momento di “scendere in campo”, tutti “tenevano famiglia”. La vasta “borghesia del fare”, che va dalla Fiat fino al popolo delle partite Iva, ha saputo solo lamentarsi del declino dell’Italia, in qualche caso ha persino chiuso gli occhi per evitare di guardare in faccia la realtà di un paese sempre più vecchio, chiuso e marginale, ma di prendere un impegno diretto neanche a parlarne.
Meglio il trinomio “delegare, pietire, mugugnare”. Persino le banche, considerate onnipotenti e imputate dei peggiori delitti, pur essendo esposte al disprezzo dell’opinione pubblica, hanno subito e subiscono senza reagire, senza un sussulto d’orgoglio, lasciando al solo governatore Draghi l’onere di difendere il sistema.
Ora tutti sono un po’ spaventati. Vedono la macchina dello sputtanamento girare a pieno regime, ma rispetto al 1992 non coltivano neppure l’illusione che buttare giù una “casta” possa voler dire far spazio a qualcosa di meglio. Sentono dire che la crisi economica è finita e che comunque gli altri stanno peggio, ma poi leggono che nel secondo trimestre il nostro pil ha perso il 6% contro il 4,7% di quello di Eurolandia (peggior dato dal 1980, e solo perché da quell’anno cominciano le rilevazioni trimestrali dell’Istat), che l’industria ha lasciato sul campo il 17,7% del valore aggiunto e il 25% della produzione.
Così ti telefonano con l’ansia di sapere cosa succede: Berlusconi e le escort, Fini che va per conto suo, il “tutti contro tutti” che vige persino in Vaticano, le voci di elezioni politiche abbinate alle regionali di marzo. Insomma, il redde rationem. Verso il quale non si capisce se è bene avere un senso di repulsione, di paura, o al contrario di liberazione.
Ma siamo, sempre e comunque, nel campo dell’impotenza. La borghesia non riesce ad avere piena coscienza della situazione del Paese e tantomeno piena coscienza del proprio ruolo. Chi è in difficoltà impreca contro le banche – nella maggior parte dei casi impropriamente – chi può cerca sostegni e sgravi, chi ha già fatto il turnaround se ne fotte, e quasi tutti si consolano distinguendo le (s)fortune aziendali dal patrimonio personale fin qui accumulato.
Latitano i progetti d’investimento, grandi e piccoli, figuriamoci i disegni più generali sulle sorti dell’Italia. Sia chiara però una cosa: che il Paese galleggi, trascinandosi faticosamente, o che arrivi davvero allo show down aprendo le porta ad una Terza Repubblica, senza una presa di coscienza e un’assunzione di responsabilità da parte della “borghesia”, il declino sarà comunque inarrestabile.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.