Verso una nuova fase di spoil system?
"Vogliamo le banche del Nord"
Spetta al Ministro dell’economia tutelare l’autonomia delle banche rispetto alle pulsioni partitiche lottizzatricidi Angelo De Mattia - 15 aprile 2010
Sembra un “heri dicebamus”, due decenni dopo il crepuscolo della spartizione partitica delle banche.“ La gente ci dice: prendetevi le banche, e noi lo faremo”, ha affermato ieri Umberto Bossi, concludendo una dichiarazione che parte dalla possibilità di eleggere un premier espresso dalla Lega nel 2013 per poi approdare all’annuncio-impegno secondo il quale “E’ chiaro che le banche più grosse del nord avranno uomini nostri a ogni livello”. Visto il tono, si potrebbe osservare che si tratti di una delle "sparate” del capo della Lega, mai però pronunciate a caso, sempre con l’intento di atterrare su negoziati all’interno della maggioranza su questo o quel tema o di ottenere, comunque, impliciti o espliciti riconoscimenti.
Dunque, considerato il peso politico del dichiarante, è bene astenersi dal prendere sotto gamba queste dichiarazioni, anche se le si volesse vedere soltanto come una mossa per poi giungere a più miti consigli e mediazioni. Del resto, vogliono pur dire qualcosa la gioia del neo-governatore del Veneto, Luca Zaia, perché nel consiglio di amministrazione dell’Unicredit vi sarebbero molti veneti e le dichiarazioni del sindaco di Verona, il leghista Flavio Tosi, che si è riservato di verificare gli effetti della riorganizzazione di questo stesso Istituto per esprimere un giudizio definitivo, mentre un esponente designato dalla partecipante Fondazione Cariverona, che avrebbe un ruolo politico nel Pdl (il vice presidente della Banca, Luigi Castelletti) non ha preso parte alla riunione dell’organo deliberante che ha varato il riassetto. Per non citare altri episodi del genere, meno rilevanti.
Quindi, prendendo per impegnativa la dichiarazione bossiana, non si può che osservare che, se essa avrà un seguito, si aprirà straordinariamente una nuova fase di spoil system con annesso infeudamento partitico degli istituti di credito, a distanza di circa venti anni dalla fine della lottizzazione delle cariche di vertice nelle banche pubbliche ad opera dei partiti di governo, favorita dal fatto che le relative nomine erano allora demandate per legge al Comitato interministeriale per il credito e il risparmio. In sostanza, attraverso la conquista degli enti territoriali e le designazioni che a questi spettano per la formazione dei vertici delle fondazioni che, a loro volta, esprimono alcuni dei componenti degli organi di aziende di credito e attraverso il potere o l’influenza comunque esercitati sugli altri soggetti che, del pari, sono abilitati a effettuare designazioni della specie, coloro che governano gli enti locali si ripropongono di raggiungere gli stessi scopi di spartizione che nel 2002 si era pensato, in particolare dalla Lega, di conseguire con la nota normativa sulle fondazioni, voluta dal Ministro Tremonti, ma poi bocciata dalla Corte costituzionale.
Ci sono di mezzo, tuttavia, il tempo trascorso – evidentemente, a questo fine inutilmente – e la decisa internazionalizzazione delle principali banche, quelle che Bossi definisce “ le più grosse del nord”, e , prima ancora, la inequivocabile attribuzione agli istituti di credito della natura di impresa, come stabilito dalle direttive comunitarie, presupposto della quale non può non essere l’autonomia dai partiti e dai poteri economici. Presentare un"immagine da “ amarcord” spartitorio di grandi banche significa non rendersi conto di quali non esaltanti conseguenze si potrebbero avere nei mercati e, in generale, nei rapporti con i risparmiatori e i prenditori di credito.
Una ondata di municipalismo bancario sarebbe sommamente deleteria. L’esaltazione diffusa postelettorale del territorio non significa affatto che ormai si è scoperta la parola magica in nome della quale tutto si può fare e tutto acquista un pregio. A meno che non ci si voglia incamminare verso una sorta di “gosplan”, appena appena riveduto, con tutte le non brillanti conseguenze. Vale la pena ricordare che la nostra Costituzione esclude tassativamente la tutela del risparmio e i mercati finanziari dalle competenze regionali ( art.117 ).
Capacità, competenza, generale professionalità, esperienza, correttezza sono i requisiti che debbono essere valutati per l’accesso a cariche bancarie. Essi concretizzano l’idoneità del designando; l’appartenenza a partiti di maggioranza o di minoranza non deve assolutamente rilevare, essendo fondamentale l’autonomia decisionale del banchiere. Se si lottizzano le nomine, si crea un cordone ombelicale tra lottizzatori e nominati e questi ultimi si sentono di rispondere non solo agli interessi aziendali , ma anche a chi ne ha propiziato la nomina. Si immaginino le conseguenze sul piano della selezione del merito di credito, sulle opere da finanziare, sulle scelte da compiere. La storia delle lottizzazioni degli anni ’70 e ’80 in particolare sta lì a ricordarcelo, con le notti dei lunghi coltelli tra partiti di governo per accaparrarsi le migliori quote di nomine. Altro che attività imprenditoriale, altro che capacità di gestire il rischio di impresa.
Sarebbe cosa saggia abbandonare una strategia politica “entrista” di questo tipo, che a fatica nasconde una volontà dirigistica, la quale nulla ha a che vedere con la sacrosanta valorizzazione del territorio o con una sana dialettica che le istituzioni della politica e i partiti possono sviluppare con le banche e con gli organi rappresentativi del sistema. Una dialettica, si potrebbe dire, necessaria. Non si deve, di certo, tacere, su tutto ciò che non va nel settore bancario. Tutt’altro. Ma, attenzione al populismo: visti i problemi che sono nati nei rapporti con le banche e considerato che il popolo lo chiede, entriamo noi nelle banche e metteremo tutto a posto, così sembra suonare la carica di demagogia presente in posizioni come quella espressa da Bossi. Nello stesso tempo, si pensa di insediarsi così in un punto nevralgico dell’economia, dal quale potranno scaturire ritorni elettorali. All’opposto, sarebbe, invece, una apprezzabile decisione quella di stabilire specifici criteri di valorizzazione del merito professionale e delle capacità da osservare per le designazioni in questione.
Naturalmente, se è necessario prevenire il dilagare della spartizione partitica, anche le fondazioni e le banche, dal canto loro, debbono fare la propria parte per preservare l’autonomia: eventuali iniziative, ad opera di esponenti bancari, per essere sponsorizzati da questa o quella corrente partitica, o comunque per salire sul carro dei vincitori, sarebbero più dannose delle stesse autonome ingerenze della politica. I banchieri si debbono far apprezzare per la loro condotta , per i risultati della loro attività, per l’immagine e la reputazione della banca, per i rapporti con la clientela, non per la vicinanza al partito X o a quello Z. Non ci sarebbe certo bisogno di banchieri di governo ( o di opposizione ) o, in ogni caso, di esponenti bancari invertebrati. Non ci sono garanzie partitiche per ben meritare nell’esercizio dell’arte del banchiere.
Spetta al Ministro dell’economia tutelare l’autonomia delle banche rispetto alle pulsioni partitiche lottizzatrici. Con l’attenzione che egli ha nei confronti delle posizioni europee e internazionali, è difficile che possa trascurare questa esigenza.
Dunque, considerato il peso politico del dichiarante, è bene astenersi dal prendere sotto gamba queste dichiarazioni, anche se le si volesse vedere soltanto come una mossa per poi giungere a più miti consigli e mediazioni. Del resto, vogliono pur dire qualcosa la gioia del neo-governatore del Veneto, Luca Zaia, perché nel consiglio di amministrazione dell’Unicredit vi sarebbero molti veneti e le dichiarazioni del sindaco di Verona, il leghista Flavio Tosi, che si è riservato di verificare gli effetti della riorganizzazione di questo stesso Istituto per esprimere un giudizio definitivo, mentre un esponente designato dalla partecipante Fondazione Cariverona, che avrebbe un ruolo politico nel Pdl (il vice presidente della Banca, Luigi Castelletti) non ha preso parte alla riunione dell’organo deliberante che ha varato il riassetto. Per non citare altri episodi del genere, meno rilevanti.
Quindi, prendendo per impegnativa la dichiarazione bossiana, non si può che osservare che, se essa avrà un seguito, si aprirà straordinariamente una nuova fase di spoil system con annesso infeudamento partitico degli istituti di credito, a distanza di circa venti anni dalla fine della lottizzazione delle cariche di vertice nelle banche pubbliche ad opera dei partiti di governo, favorita dal fatto che le relative nomine erano allora demandate per legge al Comitato interministeriale per il credito e il risparmio. In sostanza, attraverso la conquista degli enti territoriali e le designazioni che a questi spettano per la formazione dei vertici delle fondazioni che, a loro volta, esprimono alcuni dei componenti degli organi di aziende di credito e attraverso il potere o l’influenza comunque esercitati sugli altri soggetti che, del pari, sono abilitati a effettuare designazioni della specie, coloro che governano gli enti locali si ripropongono di raggiungere gli stessi scopi di spartizione che nel 2002 si era pensato, in particolare dalla Lega, di conseguire con la nota normativa sulle fondazioni, voluta dal Ministro Tremonti, ma poi bocciata dalla Corte costituzionale.
Ci sono di mezzo, tuttavia, il tempo trascorso – evidentemente, a questo fine inutilmente – e la decisa internazionalizzazione delle principali banche, quelle che Bossi definisce “ le più grosse del nord”, e , prima ancora, la inequivocabile attribuzione agli istituti di credito della natura di impresa, come stabilito dalle direttive comunitarie, presupposto della quale non può non essere l’autonomia dai partiti e dai poteri economici. Presentare un"immagine da “ amarcord” spartitorio di grandi banche significa non rendersi conto di quali non esaltanti conseguenze si potrebbero avere nei mercati e, in generale, nei rapporti con i risparmiatori e i prenditori di credito.
Una ondata di municipalismo bancario sarebbe sommamente deleteria. L’esaltazione diffusa postelettorale del territorio non significa affatto che ormai si è scoperta la parola magica in nome della quale tutto si può fare e tutto acquista un pregio. A meno che non ci si voglia incamminare verso una sorta di “gosplan”, appena appena riveduto, con tutte le non brillanti conseguenze. Vale la pena ricordare che la nostra Costituzione esclude tassativamente la tutela del risparmio e i mercati finanziari dalle competenze regionali ( art.117 ).
Capacità, competenza, generale professionalità, esperienza, correttezza sono i requisiti che debbono essere valutati per l’accesso a cariche bancarie. Essi concretizzano l’idoneità del designando; l’appartenenza a partiti di maggioranza o di minoranza non deve assolutamente rilevare, essendo fondamentale l’autonomia decisionale del banchiere. Se si lottizzano le nomine, si crea un cordone ombelicale tra lottizzatori e nominati e questi ultimi si sentono di rispondere non solo agli interessi aziendali , ma anche a chi ne ha propiziato la nomina. Si immaginino le conseguenze sul piano della selezione del merito di credito, sulle opere da finanziare, sulle scelte da compiere. La storia delle lottizzazioni degli anni ’70 e ’80 in particolare sta lì a ricordarcelo, con le notti dei lunghi coltelli tra partiti di governo per accaparrarsi le migliori quote di nomine. Altro che attività imprenditoriale, altro che capacità di gestire il rischio di impresa.
Sarebbe cosa saggia abbandonare una strategia politica “entrista” di questo tipo, che a fatica nasconde una volontà dirigistica, la quale nulla ha a che vedere con la sacrosanta valorizzazione del territorio o con una sana dialettica che le istituzioni della politica e i partiti possono sviluppare con le banche e con gli organi rappresentativi del sistema. Una dialettica, si potrebbe dire, necessaria. Non si deve, di certo, tacere, su tutto ciò che non va nel settore bancario. Tutt’altro. Ma, attenzione al populismo: visti i problemi che sono nati nei rapporti con le banche e considerato che il popolo lo chiede, entriamo noi nelle banche e metteremo tutto a posto, così sembra suonare la carica di demagogia presente in posizioni come quella espressa da Bossi. Nello stesso tempo, si pensa di insediarsi così in un punto nevralgico dell’economia, dal quale potranno scaturire ritorni elettorali. All’opposto, sarebbe, invece, una apprezzabile decisione quella di stabilire specifici criteri di valorizzazione del merito professionale e delle capacità da osservare per le designazioni in questione.
Naturalmente, se è necessario prevenire il dilagare della spartizione partitica, anche le fondazioni e le banche, dal canto loro, debbono fare la propria parte per preservare l’autonomia: eventuali iniziative, ad opera di esponenti bancari, per essere sponsorizzati da questa o quella corrente partitica, o comunque per salire sul carro dei vincitori, sarebbero più dannose delle stesse autonome ingerenze della politica. I banchieri si debbono far apprezzare per la loro condotta , per i risultati della loro attività, per l’immagine e la reputazione della banca, per i rapporti con la clientela, non per la vicinanza al partito X o a quello Z. Non ci sarebbe certo bisogno di banchieri di governo ( o di opposizione ) o, in ogni caso, di esponenti bancari invertebrati. Non ci sono garanzie partitiche per ben meritare nell’esercizio dell’arte del banchiere.
Spetta al Ministro dell’economia tutelare l’autonomia delle banche rispetto alle pulsioni partitiche lottizzatrici. Con l’attenzione che egli ha nei confronti delle posizioni europee e internazionali, è difficile che possa trascurare questa esigenza.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.