Forze e debolezze del governo Monti
Viva Monti ma...
La percezione dell'Italia è migliorata, ma la crisi non è stata ancora sconfittadi Enrico Cisnetto - 17 febbraio 2012
Sono passati appena 95 giorni da quel 13 novembre in cui Mario Monti fu convocato al Quirinale per conferirgli l’incarico di formare non solo un nuovo governo ma anche e soprattutto un “governo nuovo”. Quattordici settimane scarse ed è cambiato tutto. Per magia il bipolarismo armato e truculento ha smesso di esistere, la sobrietà ha spodestato gli eccessi, l’Italia si è riseduta al tavolo europeo che conta, Obama ha speso parole di sincero entusiasmo per Monti, cui il Time ha dedicato una copertina eloquente. Non solo. Lo spread, alla cui corda il governo Berlusconi era stato impiccato, in questo breve arco di tempo è sceso per ben due volte del 35% rispetto al picco di 575 punti toccato in quel maledetto 9 novembre in cui sembrava che l’Italia avesse raggiunto la Grecia nel girone infernale dei morti di default, pur essendo tornato in tre momenti successivi sopra quota 500.
Ora, dopo aver varcato all’ingiù il primo febbraio la soglia psicologica dei 400 punti, viaggia tra i 340 e i 380 punti, e le risalite sono tutte attribuibili al permanere di una pesante incertezza sulla Grecia, non a problemi riferibili all’Italia. Tant’è vero che persino i declassamenti che le società di rating ci hanno affibbiato – facendoci per la prima volta perdere la “A” – hanno lasciato indifferenti i mercati. Se poi a questo si aggiunge che, come dimostra da ultimo la decisione sulle Olimpiadi, il premier non è affatto un “professore” politicamente sprovveduto, ma al contrario un politico dall’ottimo fiuto, che combinando un profilo personale adeguato ai tempi con un piglio nella dimensione pubblica che rassicura (understatement nei modi e decisionismo nella sostanza) non fa certo rimpiangere i suoi predecessori (tutti), si capisce quale solco il governo Monti abbia scavato tra presente e passato in un paese che non vedeva l’ora di voltare pagina. Insomma, in tre mesi si è compiuta una vera e propria rivoluzione – che conferma, e ciò personalmente mi conforta, la fondatezza della denuncia del livello di perniciosità raggiunto dal sistema politico chiamato Seconda Repubblica – grazie alla quale è stata ribaltata sia la percezione che si aveva dell’Italia da fuori, sia quella che avevano gli italiani rispetto a chi li governa. Tuttavia, dopo aver dato a Mario ciò che è di Mario, sarebbe sbagliato – e anche controproducente – sottacere l’esistenza di un’altra faccia della medaglia. Anzi di due. La prima riguarda lo stato di salute del Paese, che rimane grave. La seconda la possibilità di dare continuità all’azione di questo governo, o per meglio dire di questo tipo di governo, al di là della scadenza della legislatura.
Partiamo dal decorso della crisi. Ci sono due fronti aperti: quello del risanamento e quello della recessione. Sul primo punto, è bene non farsi trarre in inganno dal comportamento del mercato, la speculazione è ancora pronta all’agguato. Di fronte ai risultati ottenuti dalla reazione messa in campo dalla Bce di Draghi, chi ha scommesso sulla fine dell’euro ha preferito ripiegare sui paesi più piccoli, Grecia e Portogallo, da cui era partita questa lunga guerra degli spread. Tuttavia, i differenziali spagnolo e italiano rimangono alti, e purtroppo le possibilità che possano tornare a schizzare verso l’alto sono ancora molte. Dunque, vietato abbassare la guardia. Nello stesso tempo, il percorso verso la ripresa e il recupero di una crescita non inferiore al 2%, livello che ci consentirebbe di cominciare a sistemare molte cose, è ancora lungo e accidentato. Tanto più ora, che sappiamo anche formalmente che il Paese è tornato in recessione dopo soli due anni, nei quali abbiamo complessivamente recuperato solo un punto e otto decimi dei sei punti e mezzo di pil che avevamo perso nel biennio 2008-2009. Quanta ricchezza perderemo ulteriormente non sappiamo, ma è già certa l’eredità che ci lascia la seconda parte dello scorso anno, condizionata dalla contrazione di consumi e produzione industriale: il 2012 parte con un -0,6% ed è destinato a chiudere con una perdita di pil tra il 2% e il 3%, quindi maggiore del +1,8% conseguito con la ripresina del 2010-2011.
Tutto questo ci dice come sia ben più lungo dei 13 mesi che il governo ha di fronte il tempo che occorre per cominciare a rimettere in linea di galleggiamento la “nave Italia”, evitando che faccia la tragica fine della Costa Concordia. Il ministro Passera ha ragione a notare come l’Italia sia entrata “in forte recessione” dopo “dieci anni di crescita insufficiente e molto inferiore al resto d’Europa”, e che per questo occorre trovare “il coraggio di attuare riforme profonde”. Ma proprio per questo ci vuole tempo, bisogna avere davanti almeno una legislatura intera (se non due). E qui casca l’asino, perché il “dopo” è ancora tutto da inventare. Non si tratta solo dell’incertezza che avvolge la riforma della legge elettorale, in mano a partiti ancora troppo frastornati (si pensi al “caso Genova” in casa Pd), ma della definizione di un sistema politico nuovo, che metta a frutto la discontinuità – assolutamente straordinaria, e della quale occorre essergli grati – prodotta dal governo Monti. Coraggio, parliamo di come dovrà essere la Terza Repubblica.
Ora, dopo aver varcato all’ingiù il primo febbraio la soglia psicologica dei 400 punti, viaggia tra i 340 e i 380 punti, e le risalite sono tutte attribuibili al permanere di una pesante incertezza sulla Grecia, non a problemi riferibili all’Italia. Tant’è vero che persino i declassamenti che le società di rating ci hanno affibbiato – facendoci per la prima volta perdere la “A” – hanno lasciato indifferenti i mercati. Se poi a questo si aggiunge che, come dimostra da ultimo la decisione sulle Olimpiadi, il premier non è affatto un “professore” politicamente sprovveduto, ma al contrario un politico dall’ottimo fiuto, che combinando un profilo personale adeguato ai tempi con un piglio nella dimensione pubblica che rassicura (understatement nei modi e decisionismo nella sostanza) non fa certo rimpiangere i suoi predecessori (tutti), si capisce quale solco il governo Monti abbia scavato tra presente e passato in un paese che non vedeva l’ora di voltare pagina. Insomma, in tre mesi si è compiuta una vera e propria rivoluzione – che conferma, e ciò personalmente mi conforta, la fondatezza della denuncia del livello di perniciosità raggiunto dal sistema politico chiamato Seconda Repubblica – grazie alla quale è stata ribaltata sia la percezione che si aveva dell’Italia da fuori, sia quella che avevano gli italiani rispetto a chi li governa. Tuttavia, dopo aver dato a Mario ciò che è di Mario, sarebbe sbagliato – e anche controproducente – sottacere l’esistenza di un’altra faccia della medaglia. Anzi di due. La prima riguarda lo stato di salute del Paese, che rimane grave. La seconda la possibilità di dare continuità all’azione di questo governo, o per meglio dire di questo tipo di governo, al di là della scadenza della legislatura.
Partiamo dal decorso della crisi. Ci sono due fronti aperti: quello del risanamento e quello della recessione. Sul primo punto, è bene non farsi trarre in inganno dal comportamento del mercato, la speculazione è ancora pronta all’agguato. Di fronte ai risultati ottenuti dalla reazione messa in campo dalla Bce di Draghi, chi ha scommesso sulla fine dell’euro ha preferito ripiegare sui paesi più piccoli, Grecia e Portogallo, da cui era partita questa lunga guerra degli spread. Tuttavia, i differenziali spagnolo e italiano rimangono alti, e purtroppo le possibilità che possano tornare a schizzare verso l’alto sono ancora molte. Dunque, vietato abbassare la guardia. Nello stesso tempo, il percorso verso la ripresa e il recupero di una crescita non inferiore al 2%, livello che ci consentirebbe di cominciare a sistemare molte cose, è ancora lungo e accidentato. Tanto più ora, che sappiamo anche formalmente che il Paese è tornato in recessione dopo soli due anni, nei quali abbiamo complessivamente recuperato solo un punto e otto decimi dei sei punti e mezzo di pil che avevamo perso nel biennio 2008-2009. Quanta ricchezza perderemo ulteriormente non sappiamo, ma è già certa l’eredità che ci lascia la seconda parte dello scorso anno, condizionata dalla contrazione di consumi e produzione industriale: il 2012 parte con un -0,6% ed è destinato a chiudere con una perdita di pil tra il 2% e il 3%, quindi maggiore del +1,8% conseguito con la ripresina del 2010-2011.
Tutto questo ci dice come sia ben più lungo dei 13 mesi che il governo ha di fronte il tempo che occorre per cominciare a rimettere in linea di galleggiamento la “nave Italia”, evitando che faccia la tragica fine della Costa Concordia. Il ministro Passera ha ragione a notare come l’Italia sia entrata “in forte recessione” dopo “dieci anni di crescita insufficiente e molto inferiore al resto d’Europa”, e che per questo occorre trovare “il coraggio di attuare riforme profonde”. Ma proprio per questo ci vuole tempo, bisogna avere davanti almeno una legislatura intera (se non due). E qui casca l’asino, perché il “dopo” è ancora tutto da inventare. Non si tratta solo dell’incertezza che avvolge la riforma della legge elettorale, in mano a partiti ancora troppo frastornati (si pensi al “caso Genova” in casa Pd), ma della definizione di un sistema politico nuovo, che metta a frutto la discontinuità – assolutamente straordinaria, e della quale occorre essergli grati – prodotta dal governo Monti. Coraggio, parliamo di come dovrà essere la Terza Repubblica.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.