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Benessere e progresso

Viva gli OGM e la globalizzazione

Abbiamo già modificato molto, quindi sta al legislatore decidere, stando attento al futuro della ricerca italiana

di Davide Giacalone - 17 marzo 2012

Sono favorevole agli ogm, così come sono favorevole alla globalizzazione. E lo sono perché sono contrario a quanti pretendono di proteggere la natura senza conoscerla e di difendere la propria ricchezza condannando gli altri alla morte per fame. Ogm e globalizzazione sono il progresso, mentre chi li condanna è alfiere del regresso. Non sempre il progresso è positivo in sé, ed è questa la ragione per cui la ricerca scientifica e il mercato economico non devono divorziare dall’etica. Non sempre il sol dell’avvenire sorge sul bene, ma è sicuro che le tenebre dell’oscurantismo portano il male. Il ministro dell’ambiente, Corrado Clini, s’è permesso di non chinare il capo innanzi alle frasi fatte e ai pensieri non pensati, scatenando reazioni a sproposito e la presa di distanza del ministro dell’agricoltura, Mario Catania.

Cerchiamo di non distanziarci troppo dalla realtà, perdendoci nelle selve del dogma e del partito preso: sulle nostre tavole non arriva un solo prodotto agricolo che non sia geneticamente modificato. Tutto quello che mangiamo, e che beviamo (nel caso del vico come della birra) è frutto di un lungo lavoro di selezione e modifica. Quando camminiamo per terre non coltivate c’imbattiamo in mele o bacche che definiamo “selvatiche”, tentando di morderle e precipitare nell’estasi del “naturale”, salvo sputarle schifati. Le mele che mangiamo a tavola stanno alla natura quanto le labbra al botox e le tette al silicone. In tutti i casi aumenta la standardizzazione, spesso lascia a desiderare la soddisfazione. Le fragole, ad esempio, non sanno più di fragola, in compenso non occorre la primavera. Anche il mio cane, orgogliosa rappresentante della natura, che sa essere solidale o feroce, è geneticamente modificato, tanto che porta il nome del suo creatore: Jack Russel. Che era un reverendo, ma non una divinità.

E’ appena il caso di aggiungere che i prodotti del lavoro umano sono fragili, innanzi alla natura. Come sa chiunque abbia trascurato un orto o lasciato il cucciolo scorrazzare indisturbato, perché il primo si riempie di rovi e il secondo finisce sventrato da un cinghiale, o da un pastore maremmano. Quindi evitiamo di dir fesserie circa la pretesa del “naturale”. Per ogm, però, s’intende un organismo modificato con ingegneria genetica, vale a dire non innestando una vite sull’altra, ma intervenendo direttamente nel dna. La gran differenza sta nei tempi: con l’ingegneria si fa prima. Non è mai stato dimostrato alcun danno alla salute umana. E’ dimostrato, invece, il giovamento, che si contabilizza in meno morti per fame. Già, perché questa coppia che disturba la quiete mentale dei viziati benestanti, vale a dire ogm e globalizzazione, ha salvato tanti derelitti dalla sicura fine. Al mio paese si festeggia, mentre nel borgo degli intellettuali che si ritengono tali perché scrissero una cartolina e lessero un telegramma, invece, s’atterrisce.

La tecnica ogm va tenuta sotto controllo, così come la globalizzazione non deve essere un trionfo orwelliano. Ma quanti lamentano l’invasione della chimica nella loro pretesa natura farebbero bene a ricordare l’utilità degli anticrittogamici, a constatare che la polvere bianca che il villico distribuisce sui pomodori non è forfora e che i lauri dei miei vasi diverrebbero ogni estate un ammasso gelatinoso e appiccicoso, se non li irrorassi con olio bianco, che è un derivato del petrolio. E non ditemi che, in natura, esisteva l’uso del greggio per la protezione dell’eden. O che dalla natura fossero stati radiati insetti e parassiti. Il punto, dunque, è uno solo: posto che all’umanità fanno bene gli ogm, e posto che la globalizzazione diffonde il benessere, nella nostra agricoltura nazionale è conveniente inserirli? Molti sostengono di no, ed è ragionevolissimo che abbiano ragione.

Ripeto: abbiamo già modificato quasi tutto, adattandolo a quel che ci serve. Ma la scelta la si lascia al mercato, salvo il dovere di informare. Il compito del legislatore è, in questo caso, consentire senza obbligare. Il compito del governante consiste nel non lasciare che la ricerca italiana perda colpi e mercato. Il resto lasciamolo pure a quelli che comprano prodotti biologici, congratulandoci con il marketing di quanti sono riusciti a far credere che siano “naturali”.

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