Forma e sostanza
Usa e getta
L’ingerenza statunitense sarebbe preziosa, se solo non si facesse guidare da chi mostra di non avere capito nulla, del nostro Paese, della sua storia e della sua realtà.di Davide Giacalone - 18 febbraio 2013
Non prendiamoci in giro e non raccontiamoci che i guai arrivano dagli
Stati Uniti. La radice del disfacimento è tutta italo-italiana. Il
problema non è l’ingerenza statunitense nelle cose di casa nostra, tante
volte benedetta e la cui assenza, quella sì, sarebbe preoccupante assai
(Giorgio Napolitano prova a smentirla in maniera goffa e con il rossore
che dal cuore gli ha invaso le gote, come un amante che smentisce il bacio
che ancora ha stampato sulle labbra). Il problema è l’impudenza che
consiste nel far finta di credere che il presidente della Repubblica sia,
nel nostro sistema istituzionale, una specie di capo dell’Italia, così
com’è un problema l’imprudenza di credere che Mario Monti sia un moderato
stabilizzatore. Il mio cuore a stelle e strisce s’intenerisce all’idea che
americani altolocati s’occupino di noi, ma temo molto che commettano un
grave errore di valutazione. Stiano attenti a chi li considera: Usa e
getta.
Sgomberiamo il campo dalle scene di gelosia: non mi disturba che sia un fu comunista a ricevere la palma di migliore amico della Casa Bianca. Da questo punto di vista non sono gli statunitensi che sbagliano, ma gli italiani: se al posto di Napolitano ci fosse stato un coerente sostenitore delle ragioni occidentali, un giusto combattente negli anni della guerra fredda e un saggio cultore della sovranità nazionale, state certi che quello stesso incontro di Washington sarebbe stato catalogato alla voce: servo va a prendere ordini. L’orrore non è oltre oceano, ma nella conformistica viltà di quella che suppone d’essere la nostra classe pensante.
Stefano Folli, su Il Sole 24 Ore, lo ha sintetizzato in modo impareggiabile: “gli Stati Uniti, negli ultimi due anni, si sono abituati a guardare l’Italia con gli occhi di Napolitano, prima; e attraverso l’asse Quirinale-Monti, poi”. Vero, ma anche pericolosamente lontano dal dettato costituzionale. Non solo la nostra Costituzione non riconosce alcun ruolo del Quirinale nella politica estera, a parte ricevere le credenziali dei nuovi ambasciatori stranieri, ma, in passato si sollevò un duro scontro istituzionale perché il governo negò al presidente della Repubblica anche solo la possibilità di mandare una lettera al presidente americano (Gronchi a Nixon, e figuratevi se fosse andato alla Casa Bianca per condannare quanti volevano far cadere il governo Tambroni!). La spuntò il governo, sostenendo che i due presidenti non sono affatto omologhi, dato che quello statunitense è un potere esecutivo. La Costituzione, sul punto, non è cambiata. I tanti che la considerano sacra e inviolabile, si sveglino.
Ma non è solo questione di (rilevante) forma, bensì anche di sostanza. Al contrario del Quirinale, che si è opposto in ogni modo, gli americani hanno incoraggiato l’operazione politica delle liste-Monti. La loro logica è impeccabile: non basta la serietà, occorre anche un mandato popolare. Così funzionano le democrazie. Bene, si preparino al risultato: il candidato che non si candida capeggia un raggruppamento che arriverà quarto. A quel punto possono recuperarlo in un solo modo, e mi pare questo il succo delle assicurazioni rilasciate da Napolitano, mediante un’alleanza con chi arriva primo. Ragionevolmente, quindi, con il Pd. Ed è appena il caso di rammentare che già solo quell’assicurazione testimonia sia del giudizio d’inadeguatezza, che il vecchio dirigente comunista indirizza al meno vecchio figliuolo dell’apparato emiliano, sia dell’intima consapevolezza che un fu comunista, da solo, non può andare. Anche per Massimo D’Alema, ricordate? ci volle un Francesco Cossiga. La cosa è tanto seria che Pier Luigi Bersani deglutisce continuamente caramelle chiodate, tornando a dire che governerebbe volentieri con Monti. Peccato che ci sia un dettaglio: per poterci riuscire deve perdere al Senato.
Se la sinistra fosse autosufficiente, difatti, voglio vedere come si potrebbe spiegare non a Vendola, che lo capisce benissimo, ma a quella parte dell’elettorato che crede in quel che sente la necessità di cedere i posti che contano, a cominciare da economia ed esteri. Quindi, stringendo, seguendo questa sciocca dottrina, il modo migliore per perseguire la stabilità italiana consiste nel puntare all’instabilità parlamentare. Capisco che lo pensi qualche rudere del professionismo politico, così galleggia ancora un po’, ma fatemi guardare in faccia quelli che credono di essere intelligenti e accedono ad una simile teoria. Alternativa? C’è: gli interpreti di venti anni di bipolarismo tarocco e non funzionante devono convergere nel cambio della Costituzione e nel superamento del consociativismo. Altrimenti parte l’orgia trasformistica. L’ingerenza statunitense sarebbe preziosa, se solo non si facesse guidare da chi mostra di non avere capito nulla, del nostro Paese, della sua storia e della sua realtà. Se poi, invece, il solo obiettivo è quello di far saltare il bipolarismo, seguendo i suggerimenti degli stessi che lo hanno interpretato, allora sappiano che c’è in giro un protagonista in tal senso imbattibile: Beppe Grillo. Ed è toccante vedere come tutti, in questi ultimi giorni di strazio, si stiano industriando per fargli la campagna elettorale. Si rilassino: è già bravo di suo.
Sgomberiamo il campo dalle scene di gelosia: non mi disturba che sia un fu comunista a ricevere la palma di migliore amico della Casa Bianca. Da questo punto di vista non sono gli statunitensi che sbagliano, ma gli italiani: se al posto di Napolitano ci fosse stato un coerente sostenitore delle ragioni occidentali, un giusto combattente negli anni della guerra fredda e un saggio cultore della sovranità nazionale, state certi che quello stesso incontro di Washington sarebbe stato catalogato alla voce: servo va a prendere ordini. L’orrore non è oltre oceano, ma nella conformistica viltà di quella che suppone d’essere la nostra classe pensante.
Stefano Folli, su Il Sole 24 Ore, lo ha sintetizzato in modo impareggiabile: “gli Stati Uniti, negli ultimi due anni, si sono abituati a guardare l’Italia con gli occhi di Napolitano, prima; e attraverso l’asse Quirinale-Monti, poi”. Vero, ma anche pericolosamente lontano dal dettato costituzionale. Non solo la nostra Costituzione non riconosce alcun ruolo del Quirinale nella politica estera, a parte ricevere le credenziali dei nuovi ambasciatori stranieri, ma, in passato si sollevò un duro scontro istituzionale perché il governo negò al presidente della Repubblica anche solo la possibilità di mandare una lettera al presidente americano (Gronchi a Nixon, e figuratevi se fosse andato alla Casa Bianca per condannare quanti volevano far cadere il governo Tambroni!). La spuntò il governo, sostenendo che i due presidenti non sono affatto omologhi, dato che quello statunitense è un potere esecutivo. La Costituzione, sul punto, non è cambiata. I tanti che la considerano sacra e inviolabile, si sveglino.
Ma non è solo questione di (rilevante) forma, bensì anche di sostanza. Al contrario del Quirinale, che si è opposto in ogni modo, gli americani hanno incoraggiato l’operazione politica delle liste-Monti. La loro logica è impeccabile: non basta la serietà, occorre anche un mandato popolare. Così funzionano le democrazie. Bene, si preparino al risultato: il candidato che non si candida capeggia un raggruppamento che arriverà quarto. A quel punto possono recuperarlo in un solo modo, e mi pare questo il succo delle assicurazioni rilasciate da Napolitano, mediante un’alleanza con chi arriva primo. Ragionevolmente, quindi, con il Pd. Ed è appena il caso di rammentare che già solo quell’assicurazione testimonia sia del giudizio d’inadeguatezza, che il vecchio dirigente comunista indirizza al meno vecchio figliuolo dell’apparato emiliano, sia dell’intima consapevolezza che un fu comunista, da solo, non può andare. Anche per Massimo D’Alema, ricordate? ci volle un Francesco Cossiga. La cosa è tanto seria che Pier Luigi Bersani deglutisce continuamente caramelle chiodate, tornando a dire che governerebbe volentieri con Monti. Peccato che ci sia un dettaglio: per poterci riuscire deve perdere al Senato.
Se la sinistra fosse autosufficiente, difatti, voglio vedere come si potrebbe spiegare non a Vendola, che lo capisce benissimo, ma a quella parte dell’elettorato che crede in quel che sente la necessità di cedere i posti che contano, a cominciare da economia ed esteri. Quindi, stringendo, seguendo questa sciocca dottrina, il modo migliore per perseguire la stabilità italiana consiste nel puntare all’instabilità parlamentare. Capisco che lo pensi qualche rudere del professionismo politico, così galleggia ancora un po’, ma fatemi guardare in faccia quelli che credono di essere intelligenti e accedono ad una simile teoria. Alternativa? C’è: gli interpreti di venti anni di bipolarismo tarocco e non funzionante devono convergere nel cambio della Costituzione e nel superamento del consociativismo. Altrimenti parte l’orgia trasformistica. L’ingerenza statunitense sarebbe preziosa, se solo non si facesse guidare da chi mostra di non avere capito nulla, del nostro Paese, della sua storia e della sua realtà. Se poi, invece, il solo obiettivo è quello di far saltare il bipolarismo, seguendo i suggerimenti degli stessi che lo hanno interpretato, allora sappiano che c’è in giro un protagonista in tal senso imbattibile: Beppe Grillo. Ed è toccante vedere come tutti, in questi ultimi giorni di strazio, si stiano industriando per fargli la campagna elettorale. Si rilassino: è già bravo di suo.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.