La vera svolta ci sarà sulla legge elettorale
Urne non decise
Comunque vada, il voto è destinato a modificare gli equilibri all'interno della maggioranzadi Enrico Cisnetto - 16 maggio 2011
Ho sempre pensato che queste elezioni amministrative, seppur politicizzate come non mai, avrebbero prodotto ben poche novità significative nel panorama politico italiano. Lo confermo a poche ore dal voto, e nonostante che alcune improvvide uscite, come quella della Moratti nei confronti di Pisapia, e relativi contrasti, abbiano versato benzina sul fuoco di una campagna elettorale una volta di più tanto priva di contenuti quanto ricca di vergognose sceneggiate polemiche. Si dice: ma se Berlusconi dovesse perdere Milano o non farcela a Napoli, allora….
Intanto sono circostanze che si devono verificare, ma se anche fosse non credo che determinerebbero conseguenze decisive. Naturalmente, non mi sfugge la differenza: se il Pdl conferma la Moratti e si becca il sindaco di Napoli non è la stessa cosa che portare a casa un pareggio o addirittura una doppia sconfitta. Ma se quest’ultimo fosse il risultato, fin d’ora è chiaro che a determinare quelle sconfitte sarebbe l’alto grado di astenuti e non gli avversari politici. I quali, tutto andando bene, al massimo avranno la forza di confermare Torino (dove Chiamparino ha fatto molto bene e Fassino è un candidato credibile) e Bologna, ma certo nel caso dovrebbero ringraziare chi fosse rimasto a casa – ai ballottaggi, perché di passare al primo turno hanno chance i candidati del centro-destra, non quelli del centro-sinistra – e in particolare gli ex elettori di Berlusconi ora delusi dall’uomo e dal suo governo. Non si tratta di un dettaglio, perché questo significa che tutte le dinamiche post-elettorali possono esclusivamente verificarsi nell’area di maggioranza.
E qui è all’ordine del giorno la domanda che un po’ tutti si pongono: la Lega mollerebbe il premier in caso di sconfitta a Milano? Qualcuno sostiene che in realtà gli uomini di Bossi – non si capisce se con il suo consenso esplicito o meno – farebbero loro stessi in modo che la sconfitta si determini, in modo da assestare un colpo mortale al sempre più ingombrante alleato, visto che ha voluto intestarsi personalmente la contesa meneghina. Altri dicono che proprio per quest’ultimo motivo, la Moratti rimarrà a Palazzo Marino e la vittoria sarà tutta del Cavaliere, il quale poi procederebbe a clamorosi cambi nella compagine governativa.
A me, sinceramente, paiono tesi estreme e in quanto tali poco probabili. Più semplicemente, penso che se il centro-destra mantiene Milano, Berlusconi allenta un po’ le tensioni che lo riguardano – l’intensità dipende dalla vittoria al primo o al secondo turno della Moratti – mentre se lo dovesse cedere a Pisapia, quelle stesse tensioni si accentuerebbero. Fino al punto di farlo cadere? Non credo. Non subito, almeno. La variabile sarebbe non tanto la Lega – che abbia in mano l’interruttore della legislatura lo abbiamo detto già nel 2008 e ribadito a maggior ragione dopo lo scontro Berlusconi-Fini, le amministrative non aggiungono e non tolgono nulla a quella che è una pura e semplice constatazione dei fatti – quanto le sorti della legge elettorale.
Si tratta di capire se ci sono le condizioni di un suo cambiamento, e se sì in quale direzione. Berlusconi ha tutto l’interesse ad usare il resto della legislatura per tentare di modificare la parte che riguarda il Senato, nel senso di omologare le modalità di assegnazione del premio di maggioranza a quelle che riguardano la Camera. Di fronte a questa ipotesi molti hanno già reagito e detto con chiarezza che si tratterebbe di una forzatura costituzionale che la suprema Corte bloccherebbe, ma tant’è Berlusconi ci proverebbe ugualmente, sapendo di non avere nulla da perdere. Viceversa, se il premier
perdesse Milano e fosse in difficoltà, allora sarebbe la Lega a dire cosa intende fare su questo decisivo punto. Di certo non asseconderebbe il tentativo di equiparare Senato e Camera. Avrebbe invece due diverse possibilità. La prima: lasciare le cose come stanno e andare a votare – quando è secondario – sapendo che la cosa più probabile sarebbe una situazione di stallo, con la Camera al centro-destra e il Senato al centro-sinistra, nel quale la Lega risulterebbe decisiva e potrebbe giustificare l’addio al Cavaliere con motivi di forza maggiore (“dobbiamo pur dare un governo al Paese”).
La seconda: aiutare, o quantomeno non ostacolare, i tentativi di cambiamento della legge elettorale in senso opposto a quello voluto da Berlusconi. D’altra parte la Lega è sempre stata proporzionalista, e lo stesso autore della normativa attuale (il leghista Calderoli) ha definito una “porcata” il sistema inventato per assegnare un premio di maggioranza che in nessun altro paese esiste (si assegna di fatto attraverso o lo sbarramento o con il doppio turno).
Naturalmente, Bossi non potrebbe essere il promotore di una tale iniziativa, che dunque spetta alle attuali opposizioni o alla società civile. Dubito che il Pd, in quanto tale, ne sia capace. L’Udc potrebbe farlo, ma dovrebbe fare i conti con chi nel Nuovo Polo deve decidere se confermare o cambiare le sue vecchie opzioni maggioritarie (Fini). La mia speranza – ma di questo parleremo subito dopo le amministrative, non appena saranno sistemate alcune cose che si stanno mettendo a punto – è che una richiesta di cambiamento venga dai cittadini. Per ora votiamo per i Sindaci.
E vediamo se la tanto decantata epopea dei primi cittadini scelti dal popolo in chiave presidenzialista regge all’usura del tempo.
Se si osserva la curva discendente dei votanti dal 1970 ad oggi, si vede come alle Politiche si è passati dal 94.4% del 1972 all’81,3% del 2008, mentre alle Regionali dal 92,8% del 1970 al 63,6% del 2009. E se ne dovrebbe dedurre che le amministrative sono decisamente meno seduttive per un elettorato sempre più stanco e disincantato. E che il partito degli astenuti è in grande crescita. Ma ne riparliamo la prossima settimana.
Intanto sono circostanze che si devono verificare, ma se anche fosse non credo che determinerebbero conseguenze decisive. Naturalmente, non mi sfugge la differenza: se il Pdl conferma la Moratti e si becca il sindaco di Napoli non è la stessa cosa che portare a casa un pareggio o addirittura una doppia sconfitta. Ma se quest’ultimo fosse il risultato, fin d’ora è chiaro che a determinare quelle sconfitte sarebbe l’alto grado di astenuti e non gli avversari politici. I quali, tutto andando bene, al massimo avranno la forza di confermare Torino (dove Chiamparino ha fatto molto bene e Fassino è un candidato credibile) e Bologna, ma certo nel caso dovrebbero ringraziare chi fosse rimasto a casa – ai ballottaggi, perché di passare al primo turno hanno chance i candidati del centro-destra, non quelli del centro-sinistra – e in particolare gli ex elettori di Berlusconi ora delusi dall’uomo e dal suo governo. Non si tratta di un dettaglio, perché questo significa che tutte le dinamiche post-elettorali possono esclusivamente verificarsi nell’area di maggioranza.
E qui è all’ordine del giorno la domanda che un po’ tutti si pongono: la Lega mollerebbe il premier in caso di sconfitta a Milano? Qualcuno sostiene che in realtà gli uomini di Bossi – non si capisce se con il suo consenso esplicito o meno – farebbero loro stessi in modo che la sconfitta si determini, in modo da assestare un colpo mortale al sempre più ingombrante alleato, visto che ha voluto intestarsi personalmente la contesa meneghina. Altri dicono che proprio per quest’ultimo motivo, la Moratti rimarrà a Palazzo Marino e la vittoria sarà tutta del Cavaliere, il quale poi procederebbe a clamorosi cambi nella compagine governativa.
A me, sinceramente, paiono tesi estreme e in quanto tali poco probabili. Più semplicemente, penso che se il centro-destra mantiene Milano, Berlusconi allenta un po’ le tensioni che lo riguardano – l’intensità dipende dalla vittoria al primo o al secondo turno della Moratti – mentre se lo dovesse cedere a Pisapia, quelle stesse tensioni si accentuerebbero. Fino al punto di farlo cadere? Non credo. Non subito, almeno. La variabile sarebbe non tanto la Lega – che abbia in mano l’interruttore della legislatura lo abbiamo detto già nel 2008 e ribadito a maggior ragione dopo lo scontro Berlusconi-Fini, le amministrative non aggiungono e non tolgono nulla a quella che è una pura e semplice constatazione dei fatti – quanto le sorti della legge elettorale.
Si tratta di capire se ci sono le condizioni di un suo cambiamento, e se sì in quale direzione. Berlusconi ha tutto l’interesse ad usare il resto della legislatura per tentare di modificare la parte che riguarda il Senato, nel senso di omologare le modalità di assegnazione del premio di maggioranza a quelle che riguardano la Camera. Di fronte a questa ipotesi molti hanno già reagito e detto con chiarezza che si tratterebbe di una forzatura costituzionale che la suprema Corte bloccherebbe, ma tant’è Berlusconi ci proverebbe ugualmente, sapendo di non avere nulla da perdere. Viceversa, se il premier
perdesse Milano e fosse in difficoltà, allora sarebbe la Lega a dire cosa intende fare su questo decisivo punto. Di certo non asseconderebbe il tentativo di equiparare Senato e Camera. Avrebbe invece due diverse possibilità. La prima: lasciare le cose come stanno e andare a votare – quando è secondario – sapendo che la cosa più probabile sarebbe una situazione di stallo, con la Camera al centro-destra e il Senato al centro-sinistra, nel quale la Lega risulterebbe decisiva e potrebbe giustificare l’addio al Cavaliere con motivi di forza maggiore (“dobbiamo pur dare un governo al Paese”).
La seconda: aiutare, o quantomeno non ostacolare, i tentativi di cambiamento della legge elettorale in senso opposto a quello voluto da Berlusconi. D’altra parte la Lega è sempre stata proporzionalista, e lo stesso autore della normativa attuale (il leghista Calderoli) ha definito una “porcata” il sistema inventato per assegnare un premio di maggioranza che in nessun altro paese esiste (si assegna di fatto attraverso o lo sbarramento o con il doppio turno).
Naturalmente, Bossi non potrebbe essere il promotore di una tale iniziativa, che dunque spetta alle attuali opposizioni o alla società civile. Dubito che il Pd, in quanto tale, ne sia capace. L’Udc potrebbe farlo, ma dovrebbe fare i conti con chi nel Nuovo Polo deve decidere se confermare o cambiare le sue vecchie opzioni maggioritarie (Fini). La mia speranza – ma di questo parleremo subito dopo le amministrative, non appena saranno sistemate alcune cose che si stanno mettendo a punto – è che una richiesta di cambiamento venga dai cittadini. Per ora votiamo per i Sindaci.
E vediamo se la tanto decantata epopea dei primi cittadini scelti dal popolo in chiave presidenzialista regge all’usura del tempo.
Se si osserva la curva discendente dei votanti dal 1970 ad oggi, si vede come alle Politiche si è passati dal 94.4% del 1972 all’81,3% del 2008, mentre alle Regionali dal 92,8% del 1970 al 63,6% del 2009. E se ne dovrebbe dedurre che le amministrative sono decisamente meno seduttive per un elettorato sempre più stanco e disincantato. E che il partito degli astenuti è in grande crescita. Ma ne riparliamo la prossima settimana.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.