Comunque vada, vincerà il berlusconismo
Urge imboccare una via d'uscita
I risultati amministrativi li vedremo lunedì, ma quelli politici li conosciamo giàdi Davide Giacalone - 26 maggio 2011
Domenica prossima, ai ballottaggi, vincerà il berlusconismo. Mi riferisco alle due città che riassumono il senso politico della partita: Napoli e Milano. Il berlusconismo vincerà se riuscirà a far eleggere candidati che sono apparsi perdenti, e vincerà anche nel caso in cui dovessero prevalere i loro avversari, perché sarebbe, in quel caso, un voto per negazione, un trionfo del berlusconismo nella sua versione “anti”. Di ciò s’intravedono le conseguenze politiche.
Nella Napoli devastata da Antonio Bassolino e dal suo sistema di potere, dopo che la sinistra s’è spaccata sulle primarie e ha dovuto annullarle, un candidato avverso, credibile e capace di suscitare speranze, avrebbe dovuto vincere a mani basse. Invece Napoli si trova ad oscillare fra la continuità e il sussulto plebeo. Condivido molte delle cose che dice Antonio D’Amato, ma per votare Luigi De Magistris in omaggio alla “difesa della legalità” occorre una fantasia temeraria, sconfinante nel delirio. In realtà D’Amato, come altri, voterà contro il berlusconismo, restandone prigioniero. La stessa cosa farà Umberto Ranieri, dimostrando che lo schema toglie non solo spazio, ma anche onore a una sinistra che sperava d’essere riformista e non ideologica. Invece è rimasta ingabbiata di un ideologismo decadente, incentrato sul personalismo e inventato dal presunto nemico.
Il caso di Giuliano Pisapia è del tutto diverso. Per lui sì si potrebbe votare in nome del diritto, che è la materia nella quale è preferibile a tanta gente del centro destra, culturalmente giustizialista ma piegatasi ad un innocentismo di cui non comprende le ragioni, ma soppesa i vantaggi. La spinta elettorale, però, non gli è venuta da ciò, bensì dall’avere convinto la sinistra, prima, che per impartire una lezione a Berlusconi e a Bossi non si devono mettere in campo idee e programmi, ma una diversa antropologia, e avere convito, poi, gli elettori che la punizione del prodotto borghese, capace di rivolgersi ai ceti popolari, s’incarnava in un iper-borghese, capace di rivolgersi ai compagni di sempre, quelli dell’antagonismo sociale. Il carburante della sua campagna è stato il berlusconismo, declinato nel senso di poterlo far declinare.
I risultati amministrativi li vedremo lunedì, ma quelli politici li conosciamo già: il bipolarismo maggioritario non è battuto dai competitori politici, dai tanti terzi poli che abbiamo visto sorgere e tramontare, ma eroso dai mostri che ha creato. Roberto Formigoni può pur osservare che la Lega, senza il Pdl, non va da nessuna parte, sicché l’alleanza sarà salda, come Pier Luigi Bersani può illudersi che il Pd, restando il più forte partito della sinistra, detterà le condizioni delle alleanze, ma non è così. Milano e Napoli lo dimostrano: ci sono forze, cresciute all’interno del bipolarismo, che non esistono per vincere e governare, bensì per contrapporsi e prevalere. Sono le maggioranze a essere inchiodate dalle minoranze, non viceversa. Così s’è deformato un sistema che ruota tutto attorno al berlusconismo, erigendone il genitore a unico protagonista dell’epoca (omonima).
L’antiberlusconismo non supera il berlusconismo, ma lo ingigantisce e perpetua, dopo averlo deprivato dei suoi aspetti innovativi e liberatori. Eppure i risultati elettorali dicono sempre la stessa cosa: la gran parte degli elettori è moderata e ragionevole. Sempre meno rappresentata, però. Prima d’essere alluvionati dalle fiumane diciannoviste e dai rovesci di tifoserie dissennate, che essi stessi hanno alimentato, i partiti tuttora maggioritari farebbero bene a muoversi verso la via d’uscita.
Per imboccarla occorre abbandonare l’incrocio bastardo di una seconda Repubblica che si pretende bipolare e presidenziale, ma conserva le istituzioni della prima, proporzionali e a centralità parlamentare. I tempi chiedono istituzioni salde e governi univoci, dotati di poteri. La scena cui assistiamo va in direzione opposta.
Pubblicato da Libero
Nella Napoli devastata da Antonio Bassolino e dal suo sistema di potere, dopo che la sinistra s’è spaccata sulle primarie e ha dovuto annullarle, un candidato avverso, credibile e capace di suscitare speranze, avrebbe dovuto vincere a mani basse. Invece Napoli si trova ad oscillare fra la continuità e il sussulto plebeo. Condivido molte delle cose che dice Antonio D’Amato, ma per votare Luigi De Magistris in omaggio alla “difesa della legalità” occorre una fantasia temeraria, sconfinante nel delirio. In realtà D’Amato, come altri, voterà contro il berlusconismo, restandone prigioniero. La stessa cosa farà Umberto Ranieri, dimostrando che lo schema toglie non solo spazio, ma anche onore a una sinistra che sperava d’essere riformista e non ideologica. Invece è rimasta ingabbiata di un ideologismo decadente, incentrato sul personalismo e inventato dal presunto nemico.
Il caso di Giuliano Pisapia è del tutto diverso. Per lui sì si potrebbe votare in nome del diritto, che è la materia nella quale è preferibile a tanta gente del centro destra, culturalmente giustizialista ma piegatasi ad un innocentismo di cui non comprende le ragioni, ma soppesa i vantaggi. La spinta elettorale, però, non gli è venuta da ciò, bensì dall’avere convinto la sinistra, prima, che per impartire una lezione a Berlusconi e a Bossi non si devono mettere in campo idee e programmi, ma una diversa antropologia, e avere convito, poi, gli elettori che la punizione del prodotto borghese, capace di rivolgersi ai ceti popolari, s’incarnava in un iper-borghese, capace di rivolgersi ai compagni di sempre, quelli dell’antagonismo sociale. Il carburante della sua campagna è stato il berlusconismo, declinato nel senso di poterlo far declinare.
I risultati amministrativi li vedremo lunedì, ma quelli politici li conosciamo già: il bipolarismo maggioritario non è battuto dai competitori politici, dai tanti terzi poli che abbiamo visto sorgere e tramontare, ma eroso dai mostri che ha creato. Roberto Formigoni può pur osservare che la Lega, senza il Pdl, non va da nessuna parte, sicché l’alleanza sarà salda, come Pier Luigi Bersani può illudersi che il Pd, restando il più forte partito della sinistra, detterà le condizioni delle alleanze, ma non è così. Milano e Napoli lo dimostrano: ci sono forze, cresciute all’interno del bipolarismo, che non esistono per vincere e governare, bensì per contrapporsi e prevalere. Sono le maggioranze a essere inchiodate dalle minoranze, non viceversa. Così s’è deformato un sistema che ruota tutto attorno al berlusconismo, erigendone il genitore a unico protagonista dell’epoca (omonima).
L’antiberlusconismo non supera il berlusconismo, ma lo ingigantisce e perpetua, dopo averlo deprivato dei suoi aspetti innovativi e liberatori. Eppure i risultati elettorali dicono sempre la stessa cosa: la gran parte degli elettori è moderata e ragionevole. Sempre meno rappresentata, però. Prima d’essere alluvionati dalle fiumane diciannoviste e dai rovesci di tifoserie dissennate, che essi stessi hanno alimentato, i partiti tuttora maggioritari farebbero bene a muoversi verso la via d’uscita.
Per imboccarla occorre abbandonare l’incrocio bastardo di una seconda Repubblica che si pretende bipolare e presidenziale, ma conserva le istituzioni della prima, proporzionali e a centralità parlamentare. I tempi chiedono istituzioni salde e governi univoci, dotati di poteri. La scena cui assistiamo va in direzione opposta.
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L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.