Poche le speranze che sia Prodi a sostenerlo
Un ricambio generazionale necessario
Da molto tempo viene invocato. Ma per attuarlo è necessario prima cambiar mentalitàdi Pietro Paganini - 22 giugno 2005
Tra le diverse ragioni del costante declino italiano, alcune ben note e discusse, sebbene mai risolte, altre meno conosciute, perciò irrisolte, vi è indubbiamente la scarsa partecipazione dei giovani e il limitato e rilento ricambio generazionale.
I giovani italiani arrivano tardi, quando ormai non sono più giovani, in qualsiasi posizione che gli permetta di esprimere il loro potenziale. Nei Paesi ad economia avanzata invece, i giovani sono ben presenti nelle diverse sfere della società, cultura, innovazione, economica e politica.
Ma perché non si lascia spazio ai giovani? Credo sia urgente rispondere a questa domanda se vogliamo davvero affrontare seriamente il problema della partecipazione giovanile. Se infatti, i Paesi, le società e le economie che meglio funzionano sono quelle che lasciano ampio spazio d'azione ai giovani, significa che questa è una delle vie da prendere per cominciare a risanare la situazione italiana. L'establishment politico e culturale nazionale sembra esserne parzialmente consapevole, ma fatica a prendere misure in proposito. Perché? Perché in Italia e in molti Paesi che si affacciano sul Mediterraneo esiste tale resistenza?
Le ragioni anche qui sono diverse, ma a mio avviso, devono essere ricercate nell'approccio culturale al problema. Infatti, in Italia tendiamo ad interpretare i giovani come una categoria che gerarchicamente sta ad un livello inferiore rispetto a quella degli adulti. Questa concezione riflette a mio avviso una visione tipicamente ellenico-cristiana del problema secondo la quale i giovani vanno salvaguardati perché rappresentano il futuro, ciò che verrà e sarà dopo. Ciò implica però che finché il presente è forte e regge, i giovani sono tenuti in seconda linea. Ma significa anche che quei giovani saranno allevati e allenati secondo le regole e nella cornice degli adulti che dominano il presente. Dunque, il ricambio generazionale che segue una linea evolutiva di questo tipo considera l'individuo per la sua età e non per le novità che esso rappresenta e l'innovazione che potrebbe produrre. In altre parole, i giovani saranno presumibilmente molto simili agli adulti: per usare il metodo dei paradigmi, i giovani saranno l'espressione e il prodotto dell'ennesimo paradigma dei padri.
Questa interpretazione svuota i giovani del loro valore reale, di quel potenziale che li rende così immensamente differenti da tutti gli altri che li hanno preceduti. Infatti, essi hanno qualche cosa in più rispetto a chi è venuto prima: essi offrono una visione del mondo molto diversa, il che implica la capacità di osservare, affrontare e risolvere i problemi in maniera molto diversa da chi quella visione non può averla. Secondo questo approccio quindi, ogni ricambio generazionale rappresenterebbe un cambio di paradigma, una novità assoluta, una rivoluzione - anche se è un termine che non prediligo.
Nella prima concezione, che ho definito ellenico-cristiana, gli adulti agiscono per mantenere lo status quo, per fare in modo che chi gli succede agisca verosimilmente se non nello stesso modo, con le medesime soluzioni, almeno con uguale metodo. Il risultato è una società statica, incapace di proporre cambiamento, i cui figli sono la copia aggiornata dei padri. Nella seconda concezione, che definirò liberale perché è fondata sull'esaltazione e la difesa delle opportunità dell'individuo, gli adulti agiscono invece per creare l'ambiente adatto e le opportunità migliori affinché i giovani possano crescere sviluppando una concezione del mondo molto diversa, da cu i scaturiranno soluzioni ai problemi moto diverse. Le società che ne conseguono sono dinamiche, aperte, liberali, capaci di reagire e proporre cambiamenti. Queste ultime sono le società avanzate, che garantiscono maggiori diritti, libertà e soprattutto opportunità ai propri cittadini, che altro non sono che il motore/principale attore di tale benessere. Gli adulti, l'establishment, le generazioni al comando, hanno perciò l'urgenza di passare la mano di generazione, perché sono consapevoli che ne deriverebbe un aumento di benessere, insieme a novità e trasformazioni.
Il primo modello dunque, quello conservativo, è quello che identifica i giovani con l'età, mentre per il secondo modello, i giovani non sono riconducibili alle novità che rappresentano potenzialmente.
L'Europa di oggi ci offre due modelli, quello vincente e quello perdente, le cui dimostrazioni sono facilmente rintracciabili. E' sufficiente incrociare i dati del benessere economico, dello stato sociale, del livello culturale con la presenza di giovani e di volti sempre nuovi nelle istituzioni, nei partiti, nei consigli di amministrazione. Ma ancora una volta non facciamo l'errore di confondere i giovani nel senso liberale del termine, opportunità, potenza, novità con i cloni dei propri padri. L'Italia, quando ha provato ad accelerare il ricambio generazionale, ha compiuto esattamente questo errore: ha clonato ciò che già c'era, dimenticando nell'angolo le vere novità.
La rinascita del Paese non può che passare da qui. Romano Prodi, probabile futuro leader di questo Paese, non molto tempo addietro ha esaltato i suoi mille giovani volontari, rispetto ai giovani mercenari del suo antagonista. Non ci resta che sperare che questi mille non siano tutti uguali ai loro padri, mille pecoroni. Ahimè, ho paura di sì, la scuola è la stessa e di novità se ne vedono poche, anche in potenza.
I giovani italiani arrivano tardi, quando ormai non sono più giovani, in qualsiasi posizione che gli permetta di esprimere il loro potenziale. Nei Paesi ad economia avanzata invece, i giovani sono ben presenti nelle diverse sfere della società, cultura, innovazione, economica e politica.
Ma perché non si lascia spazio ai giovani? Credo sia urgente rispondere a questa domanda se vogliamo davvero affrontare seriamente il problema della partecipazione giovanile. Se infatti, i Paesi, le società e le economie che meglio funzionano sono quelle che lasciano ampio spazio d'azione ai giovani, significa che questa è una delle vie da prendere per cominciare a risanare la situazione italiana. L'establishment politico e culturale nazionale sembra esserne parzialmente consapevole, ma fatica a prendere misure in proposito. Perché? Perché in Italia e in molti Paesi che si affacciano sul Mediterraneo esiste tale resistenza?
Le ragioni anche qui sono diverse, ma a mio avviso, devono essere ricercate nell'approccio culturale al problema. Infatti, in Italia tendiamo ad interpretare i giovani come una categoria che gerarchicamente sta ad un livello inferiore rispetto a quella degli adulti. Questa concezione riflette a mio avviso una visione tipicamente ellenico-cristiana del problema secondo la quale i giovani vanno salvaguardati perché rappresentano il futuro, ciò che verrà e sarà dopo. Ciò implica però che finché il presente è forte e regge, i giovani sono tenuti in seconda linea. Ma significa anche che quei giovani saranno allevati e allenati secondo le regole e nella cornice degli adulti che dominano il presente. Dunque, il ricambio generazionale che segue una linea evolutiva di questo tipo considera l'individuo per la sua età e non per le novità che esso rappresenta e l'innovazione che potrebbe produrre. In altre parole, i giovani saranno presumibilmente molto simili agli adulti: per usare il metodo dei paradigmi, i giovani saranno l'espressione e il prodotto dell'ennesimo paradigma dei padri.
Questa interpretazione svuota i giovani del loro valore reale, di quel potenziale che li rende così immensamente differenti da tutti gli altri che li hanno preceduti. Infatti, essi hanno qualche cosa in più rispetto a chi è venuto prima: essi offrono una visione del mondo molto diversa, il che implica la capacità di osservare, affrontare e risolvere i problemi in maniera molto diversa da chi quella visione non può averla. Secondo questo approccio quindi, ogni ricambio generazionale rappresenterebbe un cambio di paradigma, una novità assoluta, una rivoluzione - anche se è un termine che non prediligo.
Nella prima concezione, che ho definito ellenico-cristiana, gli adulti agiscono per mantenere lo status quo, per fare in modo che chi gli succede agisca verosimilmente se non nello stesso modo, con le medesime soluzioni, almeno con uguale metodo. Il risultato è una società statica, incapace di proporre cambiamento, i cui figli sono la copia aggiornata dei padri. Nella seconda concezione, che definirò liberale perché è fondata sull'esaltazione e la difesa delle opportunità dell'individuo, gli adulti agiscono invece per creare l'ambiente adatto e le opportunità migliori affinché i giovani possano crescere sviluppando una concezione del mondo molto diversa, da cu i scaturiranno soluzioni ai problemi moto diverse. Le società che ne conseguono sono dinamiche, aperte, liberali, capaci di reagire e proporre cambiamenti. Queste ultime sono le società avanzate, che garantiscono maggiori diritti, libertà e soprattutto opportunità ai propri cittadini, che altro non sono che il motore/principale attore di tale benessere. Gli adulti, l'establishment, le generazioni al comando, hanno perciò l'urgenza di passare la mano di generazione, perché sono consapevoli che ne deriverebbe un aumento di benessere, insieme a novità e trasformazioni.
Il primo modello dunque, quello conservativo, è quello che identifica i giovani con l'età, mentre per il secondo modello, i giovani non sono riconducibili alle novità che rappresentano potenzialmente.
L'Europa di oggi ci offre due modelli, quello vincente e quello perdente, le cui dimostrazioni sono facilmente rintracciabili. E' sufficiente incrociare i dati del benessere economico, dello stato sociale, del livello culturale con la presenza di giovani e di volti sempre nuovi nelle istituzioni, nei partiti, nei consigli di amministrazione. Ma ancora una volta non facciamo l'errore di confondere i giovani nel senso liberale del termine, opportunità, potenza, novità con i cloni dei propri padri. L'Italia, quando ha provato ad accelerare il ricambio generazionale, ha compiuto esattamente questo errore: ha clonato ciò che già c'era, dimenticando nell'angolo le vere novità.
La rinascita del Paese non può che passare da qui. Romano Prodi, probabile futuro leader di questo Paese, non molto tempo addietro ha esaltato i suoi mille giovani volontari, rispetto ai giovani mercenari del suo antagonista. Non ci resta che sperare che questi mille non siano tutti uguali ai loro padri, mille pecoroni. Ahimè, ho paura di sì, la scuola è la stessa e di novità se ne vedono poche, anche in potenza.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.