Il quadro tracciato dall’Istat è preoccupante
Un patto sociale sulle pensioni
In Italia ci sono troppi pensionati, che percepiscono peraltro troppo pocodi Enrico Cisnetto - 15 gennaio 2007
Sulle pensioni è tempo di un nuovo patto sociale. Che deve andare nell’unica direzione possibile: innalzamento obbligatorio dell’età pensionabile e contemporaneo aumento degli importi ai pensionati. La fotografia fatta dall’Istat al pianeta previdenza, infatti, dimostra che oggi una riforma seria non è più rinviabile. Basta riuscire a leggere con attenzione quattro elementi fondamentali.
Primo: i pensionati italiani sono più di 16 milioni e mezzo, e il rapporto con i lavoratori attivi è di 71 a 100. Inoltre il 31,3% ha meno di 64 anni, il che, insieme all’aumento delle aspettative di vita, già dovrebbe far suonare ben più di un campanello d’allarme. Secondo: l’eccesso di pensionati è un problema nazionale, e non del Mezzogiorno, dove il rapporto è sì di 78 pensionati ogni 100 occupati mentre al Nord è di 67 a 100, ma perché risente del più alto numero di “lavoratori sommersi”. Infatti, se si utilizza il rapporto pensionati-popolazione si scopre che in Campania, Puglia, e Sicilia si ha un pensionato ogni 4 abitanti, in Lombardia e Veneto ogni 3,5 e in Liguria ogni 3. Terzo: questo rapporto sta scendendo, sì, ma troppo lentamente. Dai 74 pensionati ogni cento occupati del 2001 si è passati a 73 nel 2002, 72 nel 2004 e – appunto – 71 nel 2005. La curva è in discesa, ma di questo passo ci vorranno 21 anni per scendere al più sano rapporto di 1 a 2, specialmente se, come si va profilando, il governo decidesse di sostituire lo “scalone Maroni” con il semplice sistema di incentivi. Quarto: se l’importo medio di una pensione è pari a 1265 euro mensili – una cifra bassa, ma comunque rispettabile – basta grattare un po’ la superficie per trovare una situazione molto squilibrata. Il gruppo più numeroso di pensionati (5,1 milioni di individui, il 31% del totale) riceve una o più prestazioni per un importo medio mensile compreso tra 500 e 1.000 euro. Il secondo gruppo per numerosità (3,9 milioni di pensionati, pari al 23,8% del totale) percepisce meno di 500 euro mensili. Di questi, i pensionati di vecchiaia sono 1 milione e 739 mila, per il 70% donne. Un ulteriore 23,4% ottiene pensioni comprese tra 1.000 e 1.500 euro mensili e il restante 21,9% riceve emolumenti di importo mensile superiore a 1.500 euro. In più, il 68,4% del totale dei pensionati percepisce una sola pensione, il 24,2% ne cumula due mentre il 7,4% ne porta a casa tre.
Dunque, in Italia ci sono troppi pensionati e pensioni troppo basse, anche per colpa di un eccesso di sperequazione. E l’unico modo per uscirne è quello di dire sì all’aumento dell’età pensionabile, sì alla parificazione uomo-donna, sì al mix di incentivi e disincentivi, ma sì pure ad un significativo aumento delle pensioni, e non solo di quelle minime. Che può essere effettuato proprio attraverso le risorse maggiori che deriverebbero dalla maggiore permanenza in attività. E l’equazione “più lavoro oggi = più pensione domani” creerebbe quel consenso senza il quale è difficile che la classe politica trovi il coraggio di muoversi. Come dimostra la sconfitta a Caserta dei riformisti, proprio sul terreno della riforma delle pensioni.
Pubblicato sul Messaggero del 15 gennaio 2007
Primo: i pensionati italiani sono più di 16 milioni e mezzo, e il rapporto con i lavoratori attivi è di 71 a 100. Inoltre il 31,3% ha meno di 64 anni, il che, insieme all’aumento delle aspettative di vita, già dovrebbe far suonare ben più di un campanello d’allarme. Secondo: l’eccesso di pensionati è un problema nazionale, e non del Mezzogiorno, dove il rapporto è sì di 78 pensionati ogni 100 occupati mentre al Nord è di 67 a 100, ma perché risente del più alto numero di “lavoratori sommersi”. Infatti, se si utilizza il rapporto pensionati-popolazione si scopre che in Campania, Puglia, e Sicilia si ha un pensionato ogni 4 abitanti, in Lombardia e Veneto ogni 3,5 e in Liguria ogni 3. Terzo: questo rapporto sta scendendo, sì, ma troppo lentamente. Dai 74 pensionati ogni cento occupati del 2001 si è passati a 73 nel 2002, 72 nel 2004 e – appunto – 71 nel 2005. La curva è in discesa, ma di questo passo ci vorranno 21 anni per scendere al più sano rapporto di 1 a 2, specialmente se, come si va profilando, il governo decidesse di sostituire lo “scalone Maroni” con il semplice sistema di incentivi. Quarto: se l’importo medio di una pensione è pari a 1265 euro mensili – una cifra bassa, ma comunque rispettabile – basta grattare un po’ la superficie per trovare una situazione molto squilibrata. Il gruppo più numeroso di pensionati (5,1 milioni di individui, il 31% del totale) riceve una o più prestazioni per un importo medio mensile compreso tra 500 e 1.000 euro. Il secondo gruppo per numerosità (3,9 milioni di pensionati, pari al 23,8% del totale) percepisce meno di 500 euro mensili. Di questi, i pensionati di vecchiaia sono 1 milione e 739 mila, per il 70% donne. Un ulteriore 23,4% ottiene pensioni comprese tra 1.000 e 1.500 euro mensili e il restante 21,9% riceve emolumenti di importo mensile superiore a 1.500 euro. In più, il 68,4% del totale dei pensionati percepisce una sola pensione, il 24,2% ne cumula due mentre il 7,4% ne porta a casa tre.
Dunque, in Italia ci sono troppi pensionati e pensioni troppo basse, anche per colpa di un eccesso di sperequazione. E l’unico modo per uscirne è quello di dire sì all’aumento dell’età pensionabile, sì alla parificazione uomo-donna, sì al mix di incentivi e disincentivi, ma sì pure ad un significativo aumento delle pensioni, e non solo di quelle minime. Che può essere effettuato proprio attraverso le risorse maggiori che deriverebbero dalla maggiore permanenza in attività. E l’equazione “più lavoro oggi = più pensione domani” creerebbe quel consenso senza il quale è difficile che la classe politica trovi il coraggio di muoversi. Come dimostra la sconfitta a Caserta dei riformisti, proprio sul terreno della riforma delle pensioni.
Pubblicato sul Messaggero del 15 gennaio 2007
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DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.