L’Italia è la pacchia dei colpevoli
Un Paese senza giustizia è inaffidabile
Da noi funziona solo l’apertura delle indagini, e solo per alimentare la lotta politicadi Davide Giacalone - 12 dicembre 2006
Sarò un fissato, ma un Paese senza giustizia è un Paese inaffidabile ed invivibile. Fa scappare gli investitori stranieri e condanna i propri cittadini a subire la legge del più forte. A Lecco è fuori dal carcere, per decorrenza dei termini, uno dei ragazzi che, nel novembre del 2004, tentarono la rapina che costò la vita ad un benzinaio. Erano due, non c’era nulla da indagare, si trattava solo di sottoporli ad un giusto processo e condannarli alla pena che ciascuno meritava, secondo il ruolo avuto in quel fattaccio. Due anni non sono stati sufficienti a chiudere la partita. A Cagliari c’è un processo civile che dura da quarantasei anni. Riguarda un’eredità, non è ancora stato definito il primo grado, e l’ultimo degli eredi immediati ha oggi novanta anni. Sembra che il tempo si sia fermato, anzi, si sia eternizzato, come per i marqueziani Buendia.
Fossero casi isolati, si potrebbe anche studiarne il merito per stabilire cosa non ha funzionato, ma i processi decennali da noi sono la regola, così com’è la regola accumulare condanne davanti alla Corte di Strasburgo per denegata giustizia. Siamo diventati un Paese incivile, il che significa che siamo la pacchia dei colpevoli e la dannazione degli innocenti. Da noi funziona solo l’apertura delle indagini preliminari, e solo nel caso che si tratti di procedimenti utilizzabili per alimentare la lotta politica. In questo caso tutto finisce sui giornali, tutto alimenta lo spettacolo della colpevolezza preventiva, salvo poi annegare nelle sabbie mobili e riemergere, quale reperto archeologico, al momento delle assoluzioni o delle prescrizioni. Si è, in altre parole, sovvertito il precetto costituzionale: pratichiamo la presunzione di colpevolezza e lasciamo impuniti i colpevoli.
Distruggendo i principi del diritto abbiamo anche corrotto le parole. Io sono un fermo garantista, perché credo nel primario dovere di rispettare il diritto e le sue procedure, a tutela di ciascuno. Nella vulgata politica il garantista è divenuto socio dell’innocentista, e quando si reclamano le condanne per gli assassini sbuca fuori qualcuno a dire: ma tu, non eri garantista? La politica snobba totalmente il problema, non se ne occupa, lascia che marcisca. Diciamocelo con chiarezza: della giustizia non importa nulla a nessuno. Alla politica importa dei magistrati, delle loro associazioni politicizzate, delle loro campagne stampa. Importa già meno degli avvocati, cui presta attenzione quando si parla delle prerogative della loro professione. Ci occupiamo di carriere e di onorari, ma del perché questa gente sia pagata, di quale sia il servizio da rendere ai cittadini, non ce ne occupiamo. Poi, magari, quando troppi omicidi o troppe rapine si succedono in poco tempo o in una zona particolare, ci si butta a parlare di emergenza. Ma come volete che diminuisca la criminalità se non funziona la giustizia? La nostra situazione è l’esatto opposto dell’emergenza, perché si tratta di un guasto strutturale. La situazione è peggiore proprio perché non contingente, ma permanente. Così com’è divenuto permanente il disinteresse, l’assuefazione, l’arrendersi al tramonto della giustizia.
www.davidegiacalone.it
Fossero casi isolati, si potrebbe anche studiarne il merito per stabilire cosa non ha funzionato, ma i processi decennali da noi sono la regola, così com’è la regola accumulare condanne davanti alla Corte di Strasburgo per denegata giustizia. Siamo diventati un Paese incivile, il che significa che siamo la pacchia dei colpevoli e la dannazione degli innocenti. Da noi funziona solo l’apertura delle indagini preliminari, e solo nel caso che si tratti di procedimenti utilizzabili per alimentare la lotta politica. In questo caso tutto finisce sui giornali, tutto alimenta lo spettacolo della colpevolezza preventiva, salvo poi annegare nelle sabbie mobili e riemergere, quale reperto archeologico, al momento delle assoluzioni o delle prescrizioni. Si è, in altre parole, sovvertito il precetto costituzionale: pratichiamo la presunzione di colpevolezza e lasciamo impuniti i colpevoli.
Distruggendo i principi del diritto abbiamo anche corrotto le parole. Io sono un fermo garantista, perché credo nel primario dovere di rispettare il diritto e le sue procedure, a tutela di ciascuno. Nella vulgata politica il garantista è divenuto socio dell’innocentista, e quando si reclamano le condanne per gli assassini sbuca fuori qualcuno a dire: ma tu, non eri garantista? La politica snobba totalmente il problema, non se ne occupa, lascia che marcisca. Diciamocelo con chiarezza: della giustizia non importa nulla a nessuno. Alla politica importa dei magistrati, delle loro associazioni politicizzate, delle loro campagne stampa. Importa già meno degli avvocati, cui presta attenzione quando si parla delle prerogative della loro professione. Ci occupiamo di carriere e di onorari, ma del perché questa gente sia pagata, di quale sia il servizio da rendere ai cittadini, non ce ne occupiamo. Poi, magari, quando troppi omicidi o troppe rapine si succedono in poco tempo o in una zona particolare, ci si butta a parlare di emergenza. Ma come volete che diminuisca la criminalità se non funziona la giustizia? La nostra situazione è l’esatto opposto dell’emergenza, perché si tratta di un guasto strutturale. La situazione è peggiore proprio perché non contingente, ma permanente. Così com’è divenuto permanente il disinteresse, l’assuefazione, l’arrendersi al tramonto della giustizia.
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L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.