Per rilanciare l'Italia
Un condiviso Piano Marshall
Serve un grande patto tra politica e parti sociali per ridare fiato al Paesedi Enrico Cisnetto - 03 giugno 2013
Se vogliamo cogliere l’occasione rappresentata dal governo di larghe intese, e dunque di pacificazione nazionale, e nello stesso tempo aiutare Letta a rafforzare l’azione del suo esecutivo, bisogna che anche le altre componenti della vita economica e istituzionale si muovano nella stessa direzione, ponendo fine a conflitti vecchi e nuovi. Un primo passo in questa direzione mi sembra l’accordo firmato da tutti i sindacati, Cgil compresa, e dalla Confindustria, per mettere ordine, con regole definite, all’annosa questione della rappresentanza. Gli effetti pratici sono tutti da misurare, ma l’accordo testimonia una volontà di composizione dei conflitti che lascia ben sperare.
Nello stesso tempo, però, ci sono tendenze di segno opposto. Per esempio, l’attacco lanciato in Confindustria da Guido Barilla sulla presenza nella confederazione tanto delle imprese manifatturiere quanto di quelle dei servizi, e delle imprese pubbliche o parapubbliche in particolare, è segnale di un disagio interno al mondo imprenditoriale, ormai privo di qualsiasi stanza di compensazione degli interessi. E le accuse di investire poco, e nulla in innovazione, lanciata dal governatore Visco nelle sue considerazioni in sede di assemblea di Banca d’Italia, pur essendo del tutto corrette, rischiano di diventare benzina sul fuoco di una tensione degli e tra gli imprenditori che è palpabile.
Altra brutta aria è quella che si respira tra i banchieri, messi sulla graticola non solo dalle parole severe di Visco, ma anche e soprattutto dalle ispezioni di Bankitalia in corso, che sfociano inesorabilmente nella richiesta di portare a sofferenza tutti i crediti che paiono difficili, imponendo alle banche di adeguare di conseguenza il loro patrimonio, o con aumenti di capitale (complicati da piazzare sul mercato) o con alienazioni (non sempre convenienti e veloci). Il grado di tensione che oggi separa i banchieri dai vigilatori lo si è percepito chiaramente in assemblea di Bankitalia, quando il presidente del consiglio di gestione di Intesa, Gros-Pietro, parlando a nome di tutte le banche azioniste di quella centrale, ha di fatto e anche un po’ ruvidamente respinto al mittente alcune accuse con Visco che non ha trattenuto qualche sogghigno.
Si dirà, come ha fatto Di Vico sul Corriere, che meglio un confronto franco che il solito balletto delle ipocrisie. Vero. Ma l’impressione, a dirla tutta, non è di trovarsi al cospetto di interlocutori che non se le mandano a dire ma poi cercano di costruire un comune punto d’intesa, quanto piuttosto è che ciascuno protagonista della partita cerchi il modo con cui potersi scaricare di responsabilità.
Invece, anche qui c’è bisogno di “grandi coalizioni”. C’è bisogno di un “grande patto” tra le tante parti sociali, alcune istituzioni più delicate – penso in primis alla magistratura, che ha assunto un ruolo di supplenza (vedi caso Ilva) davvero eccessivo – e il sistema politico, per affrontare non le piccole emergenze, spesso presunte, ma i grandi nodi irrisolti di un paese che non riesce più a crescere – era fermo già prima della grande crisi – per alcuni ragioni strutturali. Ragioni che devono essere rimosse, perché altrimenti ogni sforzo sarà vano, e che si possono rimuovere solo con un condiviso “piano Marshall” per la rinascita dell’Italia, che abbisogna di “governi”, politico e socio-economici, di larghe, anzi larghissime, intese. (twitter @ecisnetto)
Nello stesso tempo, però, ci sono tendenze di segno opposto. Per esempio, l’attacco lanciato in Confindustria da Guido Barilla sulla presenza nella confederazione tanto delle imprese manifatturiere quanto di quelle dei servizi, e delle imprese pubbliche o parapubbliche in particolare, è segnale di un disagio interno al mondo imprenditoriale, ormai privo di qualsiasi stanza di compensazione degli interessi. E le accuse di investire poco, e nulla in innovazione, lanciata dal governatore Visco nelle sue considerazioni in sede di assemblea di Banca d’Italia, pur essendo del tutto corrette, rischiano di diventare benzina sul fuoco di una tensione degli e tra gli imprenditori che è palpabile.
Altra brutta aria è quella che si respira tra i banchieri, messi sulla graticola non solo dalle parole severe di Visco, ma anche e soprattutto dalle ispezioni di Bankitalia in corso, che sfociano inesorabilmente nella richiesta di portare a sofferenza tutti i crediti che paiono difficili, imponendo alle banche di adeguare di conseguenza il loro patrimonio, o con aumenti di capitale (complicati da piazzare sul mercato) o con alienazioni (non sempre convenienti e veloci). Il grado di tensione che oggi separa i banchieri dai vigilatori lo si è percepito chiaramente in assemblea di Bankitalia, quando il presidente del consiglio di gestione di Intesa, Gros-Pietro, parlando a nome di tutte le banche azioniste di quella centrale, ha di fatto e anche un po’ ruvidamente respinto al mittente alcune accuse con Visco che non ha trattenuto qualche sogghigno.
Si dirà, come ha fatto Di Vico sul Corriere, che meglio un confronto franco che il solito balletto delle ipocrisie. Vero. Ma l’impressione, a dirla tutta, non è di trovarsi al cospetto di interlocutori che non se le mandano a dire ma poi cercano di costruire un comune punto d’intesa, quanto piuttosto è che ciascuno protagonista della partita cerchi il modo con cui potersi scaricare di responsabilità.
Invece, anche qui c’è bisogno di “grandi coalizioni”. C’è bisogno di un “grande patto” tra le tante parti sociali, alcune istituzioni più delicate – penso in primis alla magistratura, che ha assunto un ruolo di supplenza (vedi caso Ilva) davvero eccessivo – e il sistema politico, per affrontare non le piccole emergenze, spesso presunte, ma i grandi nodi irrisolti di un paese che non riesce più a crescere – era fermo già prima della grande crisi – per alcuni ragioni strutturali. Ragioni che devono essere rimosse, perché altrimenti ogni sforzo sarà vano, e che si possono rimuovere solo con un condiviso “piano Marshall” per la rinascita dell’Italia, che abbisogna di “governi”, politico e socio-economici, di larghe, anzi larghissime, intese. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.