Le riflessioni su un'astensione decennale
Un cantiere per la Terza Repubblica
Il declino del Paese non è solo economico, ma anche civile. Serve una nuova classe dirigentedi Società Aperta - 14 giugno 2005
Chi ha chiesto agli italiani di astenersi, di non partecipare al voto referendario, ha vinto, e in modo netto. Gli sconfitti non necessariamente hanno torto, ma non devono cercare scuse, né maturare la presunzione dell’incompreso. I vincitori sappiano tener conto dei 10 milioni di Sì: la legge 40 è migliorabile.
A perdere, però, oltre che il fronte del Sì, è stato anche e soprattutto il modo “radicale” di concepire l’istituto del referendum, l’idea che la società civile abbia (ancora) voglia e interesse a sostituirsi al Parlamento e alla Politica nel decidere sulle grandi questioni civili ed etiche. Ha perso la mancata percezione che il Paese vive una ben diversa stagione, quella della recessione, del rifiuto dell’euro, della crisi di futuro. Insomma, l’Italia è in declino e s’identifica con esso, è ripiegata e disillusa, è vecchia e non fa figli: difficile che abbia voglia di confrontarsi su un tema come quello della procreazione assistita.
Forse gli italiani hanno capito che il vento dell’antipolitica che soffia da lungo tempo non porta nulla di buono, ma di certo non hanno né la forza né la lucidità per opporvisi, tantomeno per cambiarlo. Avrebbero voglia che lo facessero i politici, gli uomini della classe dirigente, ma vedono con sgomento che essi sono accovacciati nel ventre molle del Paese. Eppure quel vento è un ventaccio. Ad esso si deve l’incapacità di reagire al “colpo allo Stato” del 1992-1994. A quel vento si deve il falso, ma rigido, bipolarismo italiano. A quel vento si deve il trionfale risultato dei referendum voluti da Mario Segni, la cui direzione di marcia era tutta antipolitica. Da quel momento in poi, e con la sola eccezione del referendum sulle televisioni del ‘95, il quorum è sempre mancato e gli italiani sono sempre meno andati a votare. Pochi occhi sono stati in grado di vedere il legame stretto che c’è fra il declino civile e quello economico, punto cardine dell’analisi di Società Aperta.
Quel ciclo della vita del Paese che ha generato indifferenza, qualunquismo, rassegnazione ribellistica sta per chiudersi. Probabilmente il vallo saranno le elezioni del 2006. Ma non si potrà voltar pagina e scrivere un capitolo nuovo della storia nazionale senza trovare un gruppo dirigente degno di questo nome, persone capaci di parlare al Paese senza farsene dettare gli umori ed imitarne i vizi, forze in grado di riportare la politica alla sua moralità profonda, contro l’increscioso andazzo trasformista cui assistiamo da troppo tempo. Un gruppo che non insegua l’identità, finendo sul terreno morto del reducismo o su quello minato dell’estremismo, né insegua l’ultimo sondaggio, ritrovandosi in sabbie mobili che (opportunamente) lo inghiottiranno. Un gruppo che non sia l’attuale classe dirigente, specchio ingigantente di un Paese che scende.
Per ora siamo di fronte ad una fase – indispensabile – di rimescolamento di carte. Prima il “frullato” del centro-destra dopo l’esito infausto delle Regionali, poi il relativo pendant sul fronte del centro-sinistra con l’incalzante iniziativa della Margherita di Rutelli. Lo stesso referendum, o se si vuole la sollecitazione della Conferenza Episcopale Italiana a passare dalla campagna per il No (di cui si trova traccia nei risultati del quarto quesito) all’astensione, spaccando la destra e la sinistra, i cattolici e i laici, ha contribuito a minare questo sistema politico. Ma mentre si consuma una fine travagliata della Seconda Repubblica, chi ha a cuore le sorti del Paese deve avere la capacità e la determinazione di costruire le fondamenta – solide – della Terza Repubblica.
Società Aperta chiede a tutti coloro che avvertono il dovere di contribuire a questo grande progetto di ricostruzione morale e materiale del Paese, di aderire alle sue iniziative. Siamo un cantiere aperto, vi aspettiamo.
A perdere, però, oltre che il fronte del Sì, è stato anche e soprattutto il modo “radicale” di concepire l’istituto del referendum, l’idea che la società civile abbia (ancora) voglia e interesse a sostituirsi al Parlamento e alla Politica nel decidere sulle grandi questioni civili ed etiche. Ha perso la mancata percezione che il Paese vive una ben diversa stagione, quella della recessione, del rifiuto dell’euro, della crisi di futuro. Insomma, l’Italia è in declino e s’identifica con esso, è ripiegata e disillusa, è vecchia e non fa figli: difficile che abbia voglia di confrontarsi su un tema come quello della procreazione assistita.
Forse gli italiani hanno capito che il vento dell’antipolitica che soffia da lungo tempo non porta nulla di buono, ma di certo non hanno né la forza né la lucidità per opporvisi, tantomeno per cambiarlo. Avrebbero voglia che lo facessero i politici, gli uomini della classe dirigente, ma vedono con sgomento che essi sono accovacciati nel ventre molle del Paese. Eppure quel vento è un ventaccio. Ad esso si deve l’incapacità di reagire al “colpo allo Stato” del 1992-1994. A quel vento si deve il falso, ma rigido, bipolarismo italiano. A quel vento si deve il trionfale risultato dei referendum voluti da Mario Segni, la cui direzione di marcia era tutta antipolitica. Da quel momento in poi, e con la sola eccezione del referendum sulle televisioni del ‘95, il quorum è sempre mancato e gli italiani sono sempre meno andati a votare. Pochi occhi sono stati in grado di vedere il legame stretto che c’è fra il declino civile e quello economico, punto cardine dell’analisi di Società Aperta.
Quel ciclo della vita del Paese che ha generato indifferenza, qualunquismo, rassegnazione ribellistica sta per chiudersi. Probabilmente il vallo saranno le elezioni del 2006. Ma non si potrà voltar pagina e scrivere un capitolo nuovo della storia nazionale senza trovare un gruppo dirigente degno di questo nome, persone capaci di parlare al Paese senza farsene dettare gli umori ed imitarne i vizi, forze in grado di riportare la politica alla sua moralità profonda, contro l’increscioso andazzo trasformista cui assistiamo da troppo tempo. Un gruppo che non insegua l’identità, finendo sul terreno morto del reducismo o su quello minato dell’estremismo, né insegua l’ultimo sondaggio, ritrovandosi in sabbie mobili che (opportunamente) lo inghiottiranno. Un gruppo che non sia l’attuale classe dirigente, specchio ingigantente di un Paese che scende.
Per ora siamo di fronte ad una fase – indispensabile – di rimescolamento di carte. Prima il “frullato” del centro-destra dopo l’esito infausto delle Regionali, poi il relativo pendant sul fronte del centro-sinistra con l’incalzante iniziativa della Margherita di Rutelli. Lo stesso referendum, o se si vuole la sollecitazione della Conferenza Episcopale Italiana a passare dalla campagna per il No (di cui si trova traccia nei risultati del quarto quesito) all’astensione, spaccando la destra e la sinistra, i cattolici e i laici, ha contribuito a minare questo sistema politico. Ma mentre si consuma una fine travagliata della Seconda Repubblica, chi ha a cuore le sorti del Paese deve avere la capacità e la determinazione di costruire le fondamenta – solide – della Terza Repubblica.
Società Aperta chiede a tutti coloro che avvertono il dovere di contribuire a questo grande progetto di ricostruzione morale e materiale del Paese, di aderire alle sue iniziative. Siamo un cantiere aperto, vi aspettiamo.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.