An deve cambiare pelle il prima possibile
Un bivio a destra del sistema politico
Il riallineamento gollista del partito di Fini stenta a prendere forma. Bisogna sceglieredi Alessandro Marchetti - 12 febbraio 2007
Smarrimenti a Destra. La settimana politica che si è appena conclusa, benché doverosamente adeguatasi all’emergenza stadi, ha avuto in agenda anche la politica interna. E su questa è sfuggito agli osservatori lo spunto per una riflessione a tutto campo sull’evoluzione della destra italiana, a me parsa doverosa. Solo alcuni giorni fa, lunedì 5, gli eredi del partito di Almirante hanno tenuto a Brescia l’atteso meeting sullo sviluppo economico che si volle per rilanciare immagine e prospettive di An per il futuro. Come? Ratificando quella svolta “gollista”, che tanto piace al suo leader .
Il partito di Fini, che dal 1994 ha dismesso i panni della fiamma divisa fra nostalgismo e revisionismo per vestire quelli della destra popolare e nazionale, sembra, ormai ai più, giunto ad un bivio difficilmente rimandabile. Non a caso. Un’istantanea a grandangolo sulla parabola politica di Alleanza Nazionale, a partire dalla sconfitta dell’aprile scorso, ci dice che la destra italiana soffriva, e soffre, da tempo di stagnazione sul mercato delle idee: scarsa attenzione per le tematiche ambientali, verso il mondo dell’impresa, nonché mancanza di una vision, di un forte progetto di rilancio del Sistema-Italia tout court. Nondimeno, gli stessi dirigenti hanno subito negli ultimi mesi più di una fibrillazione che ha lacerato non poco l’immagine del partito all’esterno. Ultimo, in ordine di tempo ma non di importanza, lo scomodo caso-Santanchè che se si esclude il colore sorto attorno agli sfoghi della deputatessa milanese ha denunciato esattamente l’immobilismo da tempo riconosciuto ai vertici di Via della Scrofa e che rischia di deprimere politicamente l’intero elettorato conservatore italiano. Intanto, un primo risultato, a oggi, è di aver sconfessato pubblicamente un’ampia fetta della dirigenza, sinteticamente rea, secondo la ribelle Daniela, di pensare solo a controllare Federazioni e tessere per poi vivere di rendita. Sia chiaro. A tutt’oggi, il leader ha pur sempre lanciato qua e là i suoi segnali di rinnovamento e ritrovato dinamismo politico-culturale. Anche per sopperire alla “maretta” interna sclerotizzata in questi mesi, Fini ha infatti accelerato con l’anno nuovo il varo di un pacchetto di iniziative pronte ai box già da tempo: una sua creatura come la Fondazione “Fare Futuro”, il coinvolgimento di personaggi non–politici di successo (Domenico Dolce in primis), l’apertura a intellettuali, spin doctor, docenti e opinion leader di area.
Il tutto per dare brillantezza e contenuti all’azione politica di An. O quantomeno per renderla un po’ più trendy, ingrigita com’è a forza di seguire gli stop and go di Berlusconi sul Partito unico delle Libertà. E così, venne Brescia. Al principio nella provincia lombarda non sembrava dovesse andare in scena il solito barboso convegno indetto dai membri delle varie Conf territoriali e dagli amministratori aennini locali; al contrario, con le aspettative create e orchestrate da Via della Scrofa e dai paper messi in circolazione, il meeting prendeva la forma di una vera e propria vetrina per il ri-lancio dell’appannata destra italiana.
A conti fatti l’annunciato “riallineamento” in chiave gollista di Alleanza Nazionale, stenta a prendere forma. Perché a ben guardare orientamento e slancio della destra francese, per non parlare del New Tory di David Cameron, sono tutt’oggi anni luce dal somigliare al principale partito conservatore italiano (o quanto meno il più rappresentativo). Si d’accordo, la Conferenza sullo sviluppo aveva come parole d’ordine (e mai espressione fu più appropriata vista la risposta unanime del partito al suo leader): giovani, ricerca, centralità delle PMI, ma soprattutto rilancio del nucleare. Ma davvero si pensava di rimettere in corsa un partito, innestandogli piattaforme programmatiche, con una banale conferenza? In realtà, anche l’avvicinamento e il percorso politico che porta Alleanza Nazionale a competere alla pari con le moderne destre europee ha avuto il suo corso: ma, è il caso di dire, anch’esso stentato e intermittente. Prima le aperture di Fini su Pacs e immigrazione di qualità, poi addirittura l’azzardo con la richiesta ufficiosa d’ingresso in quella casa europea dei “moderati” che è il PPE. Toccò al presidente Martens, pur con giustificazioni quantomeno datate, dirgli di no. Ancor oggi l’impressione è che l’ex-ministro degli Esteri, nel suo partito, fatichi quasi a prendere le misure. Quelle necessarie, per far fare un salto di qualità all’intera area della destra italiana. Che sia culturale prima politica ed elettorale: non un semplice revisionismo ein passant, come quello di Brescia, ma una profonda opera di formazione della classe dirigente accompagnata ad una graduale apertura delle vecchie strutture di Partito. Ristrutturazione e identificazioni di cui non si è mai realmente vista l’ombra. Solo metabolizzando le tante istanze conservatrici dell’elettorato italiano, e dunque rappresentando pienamente le varie anime della destra, sarà possibile passare all’incasso. A Gianfranco Fini, probabilmente, solo dopo aver irrobustito alle sue spalle coesione e impronta del partito, sarà concesso politicamente di firmare introduzioni e postfazioni dei libri di Nicolas Sarkozy (com’è accaduto di recente per l’edizione italiana del suo ultimo saggio). Questo, ci sia concesso, semplicemente perché la lungimiranza di un leader sta anzitutto nella sua capacità di coinvolgere un’intera fetta di elettorato, soprattutto potenziale, in una svolta che si vuole epocale. Una svolta dal basso verrebbe da dire, che passi necessariamente attraverso la revisione di canoni, retaggio culturale e progettualità di un partito. Il quale non va dimenticato, è fatto essenzialmente da simpatizzanti, iscritti e dirigenti.
E qui, ci sia permessa una nota di storia recente: il 2 febbraio scorso è caduto il quattordicesimo anniversario della morte di Paolo di Nella, il giovane attivista dell’MSI costretto a guadagnarsi la palma di ultimo militante “morto di politica” in quel lungo decennio chiamato anni di piombo. Se qualcuno si sta chiedendo quale nesso vi sia mai fra i due avvenimenti, è presto detto. Come Di Nella moltissimi altri, all’interno di un partito-chiesa com’era ancora il Movimento Sociale degli anni Ottanta, animavano un’area piuttosto atipica, già allora e ancora adesso, a destra dell’arco politico: quella ecologista e antinuclearista, che coniugava sensibilità sociale e identità nazionale fin dalla fine dei Settanta, facendo nascere in Italia un’alternativa “di destra” alla tradizionale sensibilità politica per ambiente e territorio.
Forse non occorre ricordare che fra i giovani esponenti del Msi che negli Ottanta ampliarono l’inventario ideologico postfascista in quel senso, c’era anche un certo Gianni Alemanno. Giovani militanti, che negli anni della transizione da una dimensione politica fatta di sola violenza al disimpegno, preferiranno battersi nei comitati civici, per salvare ville e parchi romani in degrado. Dalle avanguardie nate nei celebri Campi Hobbit, arriveranno addirittura a sposare la causa ambientalista che, trasversalmente appunto, portò poi al referendum del ’87. Una sensibilità e un’anima, di cui però ci si è ormai dimenticati. Questo a dire che se oggi da destra si intravede, anzi inevitabilmente si impatta, con un bivio così importante, sarà meglio per Fini, Alemanno e Urso avere ben chiaro da che parte si viene. Il rischio è, nella peggiore delle ipotesi, di trascinarsi gradualmente verso l’irrilevanza politica, in un sistema di partiti poi perennemente in evoluzione come quello attuale. Una conclusione che non può non emergere da come, oggi, a vent’anni distanza si compie, o si dice di compiere, un decisivo passo verso l’affermazione in Italia di una destra, autonoma, matura e sintonizzata con i tempi. Di più, europea e riformista. Nucleare e Made in Italy, sono sì temi degni di un partito neogollista, ma siamo sicuri che siano ad oggi sufficienti oltre che al passo con i programmi proposti dai colleghi europei? Perché Cameron può permettersi di fare a Davos un discorso coraggiosamente ambientalista, seduto al tavolo assieme al primo ministro del Pakistan, al segretario per la sicurezza interna degli USA e al responsabile dell’Unione Europea per l’anti-terrorismo, mentre Fini nel bresciano discute ancora su come tornare all’energia nucleare? Come mai proprio lo stimato Sarkozy, oltretutto pubblicatissimo sulla prima pagina del Secolo d’Italia, lancia il suo programma per le presidenziali rilanciando una destra dinamica e liberale che punti su Ambiente, Diritti Umani e Sviluppo Sostenibile? Che senso ha per la leadership di Gianfranco Fini fare striminziti convegni sulle PMI, quando a Via della Scrofa di fare i neogollisti non hanno nessuna voglia? Interrogativi che, salvo risultare bizzarri, troveranno risposta solo nelle scelte che AN farà nelle prossime settimane; sul piatto, legge elettorale, Pacs e famiglia, pensioni.
a.marchetti@excite.it
Il partito di Fini, che dal 1994 ha dismesso i panni della fiamma divisa fra nostalgismo e revisionismo per vestire quelli della destra popolare e nazionale, sembra, ormai ai più, giunto ad un bivio difficilmente rimandabile. Non a caso. Un’istantanea a grandangolo sulla parabola politica di Alleanza Nazionale, a partire dalla sconfitta dell’aprile scorso, ci dice che la destra italiana soffriva, e soffre, da tempo di stagnazione sul mercato delle idee: scarsa attenzione per le tematiche ambientali, verso il mondo dell’impresa, nonché mancanza di una vision, di un forte progetto di rilancio del Sistema-Italia tout court. Nondimeno, gli stessi dirigenti hanno subito negli ultimi mesi più di una fibrillazione che ha lacerato non poco l’immagine del partito all’esterno. Ultimo, in ordine di tempo ma non di importanza, lo scomodo caso-Santanchè che se si esclude il colore sorto attorno agli sfoghi della deputatessa milanese ha denunciato esattamente l’immobilismo da tempo riconosciuto ai vertici di Via della Scrofa e che rischia di deprimere politicamente l’intero elettorato conservatore italiano. Intanto, un primo risultato, a oggi, è di aver sconfessato pubblicamente un’ampia fetta della dirigenza, sinteticamente rea, secondo la ribelle Daniela, di pensare solo a controllare Federazioni e tessere per poi vivere di rendita. Sia chiaro. A tutt’oggi, il leader ha pur sempre lanciato qua e là i suoi segnali di rinnovamento e ritrovato dinamismo politico-culturale. Anche per sopperire alla “maretta” interna sclerotizzata in questi mesi, Fini ha infatti accelerato con l’anno nuovo il varo di un pacchetto di iniziative pronte ai box già da tempo: una sua creatura come la Fondazione “Fare Futuro”, il coinvolgimento di personaggi non–politici di successo (Domenico Dolce in primis), l’apertura a intellettuali, spin doctor, docenti e opinion leader di area.
Il tutto per dare brillantezza e contenuti all’azione politica di An. O quantomeno per renderla un po’ più trendy, ingrigita com’è a forza di seguire gli stop and go di Berlusconi sul Partito unico delle Libertà. E così, venne Brescia. Al principio nella provincia lombarda non sembrava dovesse andare in scena il solito barboso convegno indetto dai membri delle varie Conf territoriali e dagli amministratori aennini locali; al contrario, con le aspettative create e orchestrate da Via della Scrofa e dai paper messi in circolazione, il meeting prendeva la forma di una vera e propria vetrina per il ri-lancio dell’appannata destra italiana.
A conti fatti l’annunciato “riallineamento” in chiave gollista di Alleanza Nazionale, stenta a prendere forma. Perché a ben guardare orientamento e slancio della destra francese, per non parlare del New Tory di David Cameron, sono tutt’oggi anni luce dal somigliare al principale partito conservatore italiano (o quanto meno il più rappresentativo). Si d’accordo, la Conferenza sullo sviluppo aveva come parole d’ordine (e mai espressione fu più appropriata vista la risposta unanime del partito al suo leader): giovani, ricerca, centralità delle PMI, ma soprattutto rilancio del nucleare. Ma davvero si pensava di rimettere in corsa un partito, innestandogli piattaforme programmatiche, con una banale conferenza? In realtà, anche l’avvicinamento e il percorso politico che porta Alleanza Nazionale a competere alla pari con le moderne destre europee ha avuto il suo corso: ma, è il caso di dire, anch’esso stentato e intermittente. Prima le aperture di Fini su Pacs e immigrazione di qualità, poi addirittura l’azzardo con la richiesta ufficiosa d’ingresso in quella casa europea dei “moderati” che è il PPE. Toccò al presidente Martens, pur con giustificazioni quantomeno datate, dirgli di no. Ancor oggi l’impressione è che l’ex-ministro degli Esteri, nel suo partito, fatichi quasi a prendere le misure. Quelle necessarie, per far fare un salto di qualità all’intera area della destra italiana. Che sia culturale prima politica ed elettorale: non un semplice revisionismo ein passant, come quello di Brescia, ma una profonda opera di formazione della classe dirigente accompagnata ad una graduale apertura delle vecchie strutture di Partito. Ristrutturazione e identificazioni di cui non si è mai realmente vista l’ombra. Solo metabolizzando le tante istanze conservatrici dell’elettorato italiano, e dunque rappresentando pienamente le varie anime della destra, sarà possibile passare all’incasso. A Gianfranco Fini, probabilmente, solo dopo aver irrobustito alle sue spalle coesione e impronta del partito, sarà concesso politicamente di firmare introduzioni e postfazioni dei libri di Nicolas Sarkozy (com’è accaduto di recente per l’edizione italiana del suo ultimo saggio). Questo, ci sia concesso, semplicemente perché la lungimiranza di un leader sta anzitutto nella sua capacità di coinvolgere un’intera fetta di elettorato, soprattutto potenziale, in una svolta che si vuole epocale. Una svolta dal basso verrebbe da dire, che passi necessariamente attraverso la revisione di canoni, retaggio culturale e progettualità di un partito. Il quale non va dimenticato, è fatto essenzialmente da simpatizzanti, iscritti e dirigenti.
E qui, ci sia permessa una nota di storia recente: il 2 febbraio scorso è caduto il quattordicesimo anniversario della morte di Paolo di Nella, il giovane attivista dell’MSI costretto a guadagnarsi la palma di ultimo militante “morto di politica” in quel lungo decennio chiamato anni di piombo. Se qualcuno si sta chiedendo quale nesso vi sia mai fra i due avvenimenti, è presto detto. Come Di Nella moltissimi altri, all’interno di un partito-chiesa com’era ancora il Movimento Sociale degli anni Ottanta, animavano un’area piuttosto atipica, già allora e ancora adesso, a destra dell’arco politico: quella ecologista e antinuclearista, che coniugava sensibilità sociale e identità nazionale fin dalla fine dei Settanta, facendo nascere in Italia un’alternativa “di destra” alla tradizionale sensibilità politica per ambiente e territorio.
Forse non occorre ricordare che fra i giovani esponenti del Msi che negli Ottanta ampliarono l’inventario ideologico postfascista in quel senso, c’era anche un certo Gianni Alemanno. Giovani militanti, che negli anni della transizione da una dimensione politica fatta di sola violenza al disimpegno, preferiranno battersi nei comitati civici, per salvare ville e parchi romani in degrado. Dalle avanguardie nate nei celebri Campi Hobbit, arriveranno addirittura a sposare la causa ambientalista che, trasversalmente appunto, portò poi al referendum del ’87. Una sensibilità e un’anima, di cui però ci si è ormai dimenticati. Questo a dire che se oggi da destra si intravede, anzi inevitabilmente si impatta, con un bivio così importante, sarà meglio per Fini, Alemanno e Urso avere ben chiaro da che parte si viene. Il rischio è, nella peggiore delle ipotesi, di trascinarsi gradualmente verso l’irrilevanza politica, in un sistema di partiti poi perennemente in evoluzione come quello attuale. Una conclusione che non può non emergere da come, oggi, a vent’anni distanza si compie, o si dice di compiere, un decisivo passo verso l’affermazione in Italia di una destra, autonoma, matura e sintonizzata con i tempi. Di più, europea e riformista. Nucleare e Made in Italy, sono sì temi degni di un partito neogollista, ma siamo sicuri che siano ad oggi sufficienti oltre che al passo con i programmi proposti dai colleghi europei? Perché Cameron può permettersi di fare a Davos un discorso coraggiosamente ambientalista, seduto al tavolo assieme al primo ministro del Pakistan, al segretario per la sicurezza interna degli USA e al responsabile dell’Unione Europea per l’anti-terrorismo, mentre Fini nel bresciano discute ancora su come tornare all’energia nucleare? Come mai proprio lo stimato Sarkozy, oltretutto pubblicatissimo sulla prima pagina del Secolo d’Italia, lancia il suo programma per le presidenziali rilanciando una destra dinamica e liberale che punti su Ambiente, Diritti Umani e Sviluppo Sostenibile? Che senso ha per la leadership di Gianfranco Fini fare striminziti convegni sulle PMI, quando a Via della Scrofa di fare i neogollisti non hanno nessuna voglia? Interrogativi che, salvo risultare bizzarri, troveranno risposta solo nelle scelte che AN farà nelle prossime settimane; sul piatto, legge elettorale, Pacs e famiglia, pensioni.
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L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.