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In risposta all’analisi di Ceccanti

Un bipolarismo vecchio e moribondo

L’attuale sistema partitico è dovuto all’anomalia berlusconiana, ma anche ad una legge elettorale sbagliata

di Lorenzo Lo Basso - 30 maggio 2005

Il tempo delle teorie è passato, da un pezzo. E’ormai ampiamente dimostrato – e certificato da ogni istituto che mantenga la dignità del nome che porta – che siamo allo sfascio, e che questo sfascio non si possa cambiare a parole.

Il sistema bipolare “bastardo” che ci portiamo dietro da oltre un decennio mostra la corda, così come la leadership berlusconiana. E non si tratta di un caso, i due fenomeni sono sempre stati in simbiosi: Berlusconi artefice e personificazione del bipolarismo all’italiana, sulle ceneri della Prima Repubblica, Berlusconi vittima della fragilità del sistema, della stabilità a tutti i costi.

Sbaglia, quindi, chi afferma – come Stefano Ceccanti sul Secolo XIX – che sparito il “fattore Silvio” l’Italia potrà navigare sulle acque piatte di un bipolarismo virtuoso ed efficace. Si dimentica forse che nel ’93 il pentapartito dormiva su un solido 55% prima del crollo dell’intero sistema, si vuole semplicemente ignorare che i “centristi” di oggi – sommati nelle loro tante frazioncine – non si distaccano molto dal dato di allora. Questo non significa solo che l’Italia ha una sostanziale stabilità elettorale, ma vuol dire soprattutto – lasciando ad altri la political correctness – che i cittadini usano gli strumenti che gli vengono dati, e che il bipolarismo non è stato “scelto” più di quanto possa esserlo ogni altro sistema elettorale. Quindi, se la politica è davvero il mondo del fare, le teorie dottrinali vanno accantonate, ed i meccanismi elettorali cambiati quando non funzionano più. Sull’argomento pesa l’ignoranza e la pochezza degli interlocutori, grava l’uso “partigiano” che viene fatto dei concetti cardine della politica; si vuol far credere che i sistemi elettorali siano il fine stesso della politica, non gli strumenti per attuarla. Di strumenti invece si tratta, di strumenti differenti da paese a paese, da momento storico a momento storico, che meglio permettono – dati presupposti sempre diversi – di declinare la democrazia.

Venendo alla situazione attuale si vede come i due fantomatici poli – che racchiudono al proprio interno più partiti di quanti se ne contassero dieci anni fa – abbiano fatto il loro tempo, e pure male. Avrebbero dovuto semplificare il panorama istituzionale, garantire la stabilità e la governabilità, avrebbero dovuto seppellire i vecchi mali della nostra politica, e non hanno saputo tener fede a neppure una delle loro pretese ragioni d’essere.

Parliamoci chiaramente, neppure un candido ottimista può vedere in questo Parlamento una sola scintilla di vitale riformismo. Quello che si vede è l’assoluta autoreferenzialità di un sistema vecchio e moribondo, talmente concentrato su se stesso da non accorgersi che il mondo è da tutt’altra parte.

In Italia il sistema bipolare ha fallito, e sarebbe un’inutile perdita di tempo stare ancora qui ad individuare le cause del fallimento. Se il sistema non funziona lo si cambia; se coloro che dovrebbero mettere in moto il cambiamento continuano a stare con le mani in mano, allora si hanno gli strumenti – e qui vanno bene sia il maggioritario che il proporzionale – per cambiare anche loro.

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