L'editoriale di Terza Repubblica
Tutte le grane di Matteo
Tra sanzioni UE, crisi Ucraina e divergenze Merkel-Obama Renzi ha ben altro a cui pensare che le diatribe casalinghe08 marzo 2014
Caro Renzi, siamo già alle scarpe piene di sassi e sassolini, da svuotare? E la risposta alle critiche è il presunto merito di “non stare chiuso nei palazzi” perché c’è da togliere l’acqua in cui sguazza Grillo? Cari critici, vecchi e nuovi, del Rottamatore, non avete altre frecce al vostro arco che la polemica sui membri del governo “avvisati” (ma non era di garanzia, l’avviso?) o spendaccioni (in francobolli), le canzoncine degli scolari, la guerra dentro il Pd? Occhio, entrambi, che qui i temi che meritano attenzione sono ben altri. Su cui Renzi deve assumersi la responsabilità di dare risposte chiare, unico vero antidoto alla deriva di dispute prive di senso di cui gli italiani, dopo vent’anni di bipolarismo armato, sono stanchi morti. Possiamo metterci d’accordo per un bel disarmo bilaterale?
Tu smetti di fare l’inutile e populista giro delle scuole d’Italia, e voi, suoi avversari e critici, smettete di rompere le scatole con provocazioni e diatribe altrettanto inutili. Anche perché l’ascesa di Renzi a palazzo Chigi coincide con un paio di passaggi cruciali che ben presto si riveleranno storici: il redde rationem dentro l’Euroclub sulla politica economica e monetaria da tenere per imboccare definitivamente la strada della ripresa; il caso Ucraina, che in realtà sta rivelandosi sempre di più il caso Putin e le sue mire espansionistiche. Due temi apparentemente diversi ma in realtà molto più sovrapposti di quanto non si creda. Non fosse altro per la posizione di Obama: contro la linea tedesca che impedisce alla Bce di usare la leva monetaria come la Federal Reserve – con molte conseguenze negative per gli Stati Uniti – e contro Putin, e quindi ancora contro la Germania che verso la Russia e il suo gas ha un occhio di riguardo e fin troppa benevolenza.
Allora, proviamo noi a mettere in fila i problemi. Prima questione: la decisione della Commissione europea di metterci tra i “sorvegliati speciali” è un commissariamento vero e proprio, pur senza uso di troika, e quindi rappresenta un atto di ostilità nei confronti di Renzi e del suo governo, oppure è in realtà un favore fatto al nuovo presidente del Consiglio, cui viene data l’opportunità di opporre alle ritrosie nazionali verso il risanamento e le riforme strutturali il diktat europeo cui non ci si può sottrarre? Seconda questione: che relazione c’è tra questa uscita – la cui tempistica è quantomeno sospetta – e la vicenda russo-ucraina, su cui l’Europa ha mostrato con evidenza palmare una spaccatura tra la linea “filo Putin” della Merkel e quella opposta in sintonia con Obama?
Terza questione: perché Renzi, la cui ascesa a palazzo Chigi al posto di Letta è stata apertamente sponsorizzata dagli americani nella speranza di costruire una diga nei confronti della politica estera ed economica della Germania, di fronte allo scontro Putin-Obama si è schierato, pur prudentemente, dalla parte dei tedeschi? Solo per tutelare gli interessi italiani nell’approvvigionamento del gas, o c’è dell’altro? Quarta questione: come mai mentre Renzi, né ex comunista né socialista, porta il Pd dentro il Pse, sposando dunque la candidatura di Martin Schulz alla presidenza della Commissione Ue, invece Romano Prodi benedice pubblicamente il liberaldemocratico Guy Verhofstadt?
Si tratta di quesiti che possono sembrare disgiunti l’uno dall’altro, ma che in realtà sono una sola questione, che investe pienamente la tenuta dei vecchi equilibri geopolitici e geoeconomici venutisi a delineare dal 1989 in poi, quelli post caduta del muro di Berlino e fine del comunismo organizzato su scala imperiale, che hanno messo la parola alla lunga stagione apertasi con Yalta. Domande a cui è complicato dare una risposta secca. Per esempio, è difficile negare che quello del solito Olli Rehn e soci sia stato un intervento a gamba tesa, visto che il debito al 133% del pil è dato noto così come il nostro deficit di competitività. Senza contare che il surplus commerciale della Germania è cosa non meno grave dei nostri squilibri, i quali andrebbero analizzati tenendo anche conto che negli ultimi 22 anni solo una volta non abbiamo prodotto avanzo primario (saldo tra entrate e uscite al netto dei costi del debito). Ma nello stesso tempo, è vero che le nuove regole di governance dell’Eurogruppo prevedono che Bruxelles possa dettare le misure da prendere se un paese da solo non lo fa, ed è palese che noi i nostri compiti a casa non li abbiamo fatti. Inoltre, fin qui non siamo stati capaci, per ignavia e mancanza di credibilità, di imporre una linea alternativa a quella tedesca, e in politica chi soccombe ha sempre torto. Tuttavia, queste considerazioni non aiutano a sciogliere il dubbio: era un brutto fallo intenzionale, o un finto intervento cattivo che Renzi, al di là delle parole usate ieri per respingere al mittente il diktat, può usare come scudo? Il fatto è che per rispondere a questo dilemma bisognerebbe rispondere all’altra domanda: su Ucraina e Crimea, Renzi ha dovuto tener conto della nostre forte dipendenza da Mosca in campo energetico ma il suo cuore batte comunque per Obama, oppure ha scelto di stare deliberatamente con la Merkel? E intorno a lui, uomini dalle relazioni ben più consolidate e ramificate, che partita giocano? Padoan, l’unico ministro che non fa parte del “monocolore Renzi” e detentore di solidi legami con Draghi, che a sua volta è certo più vicino agli americani che ai tedeschi, che gioco gioca? E Prodi, che molti sensori avevano intercettato vicino all’astro nascente Renzi, come mai imbocca una strada opposta nelle sponsorship in vista delle prossime elezioni europee? Nodi ingarbugliati, che nemmeno un Andreotti d’annata sbroglierebbe con facilità.
Al momento della nascita del governo Renzi, abbiamo scritto che la nostra sarebbe stata una posizione di “supporto critico”, nella convinzione che il Paese non può permettersi di perdere altro tempo e incamerare l’ennesima sconfitta nell’affannoso tentativo di passare dalla Seconda alla Terza Repubblica, mentre la gran parte degli italiani – e gli imprenditori in particolare – appuntano tutte le (residue) speranze di ripresa alla capacità di Renzi di essere davvero l’uomo della “rottura”. Restiamo di quell’idea. Ma ora bisogna che Renzi smetta di fare il leader politico che gira l’Italia come se fosse in campagna elettorale e indossi l’abito del presidente del Consiglio di un paese consapevole di tre cose fondamentali che, come abbiamo visto, convergono in un unico punto: a. che l’Italia deve fare le riforme che finora ha evitato, e farle con un approccio davvero rivoluzionario; b. che l’Europa così com’è non regge ed espone l’euro al pericolo di disintegrarsi; c. che il mondo rischia di tornare alla contrapposizione Est-Ovest di un tempo, e noi torniamo ad essere terra di frontiera.
Matteo, batti un colpo o sono guai.
Tu smetti di fare l’inutile e populista giro delle scuole d’Italia, e voi, suoi avversari e critici, smettete di rompere le scatole con provocazioni e diatribe altrettanto inutili. Anche perché l’ascesa di Renzi a palazzo Chigi coincide con un paio di passaggi cruciali che ben presto si riveleranno storici: il redde rationem dentro l’Euroclub sulla politica economica e monetaria da tenere per imboccare definitivamente la strada della ripresa; il caso Ucraina, che in realtà sta rivelandosi sempre di più il caso Putin e le sue mire espansionistiche. Due temi apparentemente diversi ma in realtà molto più sovrapposti di quanto non si creda. Non fosse altro per la posizione di Obama: contro la linea tedesca che impedisce alla Bce di usare la leva monetaria come la Federal Reserve – con molte conseguenze negative per gli Stati Uniti – e contro Putin, e quindi ancora contro la Germania che verso la Russia e il suo gas ha un occhio di riguardo e fin troppa benevolenza.
Allora, proviamo noi a mettere in fila i problemi. Prima questione: la decisione della Commissione europea di metterci tra i “sorvegliati speciali” è un commissariamento vero e proprio, pur senza uso di troika, e quindi rappresenta un atto di ostilità nei confronti di Renzi e del suo governo, oppure è in realtà un favore fatto al nuovo presidente del Consiglio, cui viene data l’opportunità di opporre alle ritrosie nazionali verso il risanamento e le riforme strutturali il diktat europeo cui non ci si può sottrarre? Seconda questione: che relazione c’è tra questa uscita – la cui tempistica è quantomeno sospetta – e la vicenda russo-ucraina, su cui l’Europa ha mostrato con evidenza palmare una spaccatura tra la linea “filo Putin” della Merkel e quella opposta in sintonia con Obama?
Terza questione: perché Renzi, la cui ascesa a palazzo Chigi al posto di Letta è stata apertamente sponsorizzata dagli americani nella speranza di costruire una diga nei confronti della politica estera ed economica della Germania, di fronte allo scontro Putin-Obama si è schierato, pur prudentemente, dalla parte dei tedeschi? Solo per tutelare gli interessi italiani nell’approvvigionamento del gas, o c’è dell’altro? Quarta questione: come mai mentre Renzi, né ex comunista né socialista, porta il Pd dentro il Pse, sposando dunque la candidatura di Martin Schulz alla presidenza della Commissione Ue, invece Romano Prodi benedice pubblicamente il liberaldemocratico Guy Verhofstadt?
Si tratta di quesiti che possono sembrare disgiunti l’uno dall’altro, ma che in realtà sono una sola questione, che investe pienamente la tenuta dei vecchi equilibri geopolitici e geoeconomici venutisi a delineare dal 1989 in poi, quelli post caduta del muro di Berlino e fine del comunismo organizzato su scala imperiale, che hanno messo la parola alla lunga stagione apertasi con Yalta. Domande a cui è complicato dare una risposta secca. Per esempio, è difficile negare che quello del solito Olli Rehn e soci sia stato un intervento a gamba tesa, visto che il debito al 133% del pil è dato noto così come il nostro deficit di competitività. Senza contare che il surplus commerciale della Germania è cosa non meno grave dei nostri squilibri, i quali andrebbero analizzati tenendo anche conto che negli ultimi 22 anni solo una volta non abbiamo prodotto avanzo primario (saldo tra entrate e uscite al netto dei costi del debito). Ma nello stesso tempo, è vero che le nuove regole di governance dell’Eurogruppo prevedono che Bruxelles possa dettare le misure da prendere se un paese da solo non lo fa, ed è palese che noi i nostri compiti a casa non li abbiamo fatti. Inoltre, fin qui non siamo stati capaci, per ignavia e mancanza di credibilità, di imporre una linea alternativa a quella tedesca, e in politica chi soccombe ha sempre torto. Tuttavia, queste considerazioni non aiutano a sciogliere il dubbio: era un brutto fallo intenzionale, o un finto intervento cattivo che Renzi, al di là delle parole usate ieri per respingere al mittente il diktat, può usare come scudo? Il fatto è che per rispondere a questo dilemma bisognerebbe rispondere all’altra domanda: su Ucraina e Crimea, Renzi ha dovuto tener conto della nostre forte dipendenza da Mosca in campo energetico ma il suo cuore batte comunque per Obama, oppure ha scelto di stare deliberatamente con la Merkel? E intorno a lui, uomini dalle relazioni ben più consolidate e ramificate, che partita giocano? Padoan, l’unico ministro che non fa parte del “monocolore Renzi” e detentore di solidi legami con Draghi, che a sua volta è certo più vicino agli americani che ai tedeschi, che gioco gioca? E Prodi, che molti sensori avevano intercettato vicino all’astro nascente Renzi, come mai imbocca una strada opposta nelle sponsorship in vista delle prossime elezioni europee? Nodi ingarbugliati, che nemmeno un Andreotti d’annata sbroglierebbe con facilità.
Al momento della nascita del governo Renzi, abbiamo scritto che la nostra sarebbe stata una posizione di “supporto critico”, nella convinzione che il Paese non può permettersi di perdere altro tempo e incamerare l’ennesima sconfitta nell’affannoso tentativo di passare dalla Seconda alla Terza Repubblica, mentre la gran parte degli italiani – e gli imprenditori in particolare – appuntano tutte le (residue) speranze di ripresa alla capacità di Renzi di essere davvero l’uomo della “rottura”. Restiamo di quell’idea. Ma ora bisogna che Renzi smetta di fare il leader politico che gira l’Italia come se fosse in campagna elettorale e indossi l’abito del presidente del Consiglio di un paese consapevole di tre cose fondamentali che, come abbiamo visto, convergono in un unico punto: a. che l’Italia deve fare le riforme che finora ha evitato, e farle con un approccio davvero rivoluzionario; b. che l’Europa così com’è non regge ed espone l’euro al pericolo di disintegrarsi; c. che il mondo rischia di tornare alla contrapposizione Est-Ovest di un tempo, e noi torniamo ad essere terra di frontiera.
Matteo, batti un colpo o sono guai.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.