Il clima dei mercati finanziari
Turbolenze
Dopo la stagione della generosità monetaria e il boom dei paesi emergenti, occorre che il vecchio Occidente torni a fare da locomotiva.di Enrico Cisnetto - 24 giugno 2013
Il clima è cambiato, ma per sapere se quella che sta attraversando i mercati finanziari è solo una turbolenza passeggera o l’ennesima tempesta bisogna prima capire i veri motivi di questa nuova perturbazione. La meteorologia finanziaria, come spesso capita, ci dice tutto e il suo contrario. Qualcuno, più ottimista, come il numero uno di Unicredit, Ghizzoni, sostiene che le Borse sono tornate volatili perché si sta affacciando la ripresa in Europa e consolidando la crescita americana (quest’anno il pil Usa potrebbe aumentare anche del 3,5%), mentre erano tranquille quando il barometro economico segnava stagnazione e recessione.
Viceversa, c’è chi considera i ripetuti crolli dei mercati azionari e il rialzo degli spread come l’inizio di una quarta fase della Grande Crisi mondiale, iniziata nel 2007 con il crollo dei mercati immobiliari e dei mutui, proseguita nel 2008-2009 con la crisi finanziaria e bancaria globale che a sua volta ha generato la crisi europea da eccesso di debito pubblico con la conseguente messa a nudo dei limiti strutturali dell’eurosistema. I pessimisti temono che si stia formando una nuova bolla, dovuta all’eccesso di moneta stampata dalla Federal Reserve ma soprattutto dalla banca centrale giapponese – nel mondo è stata creata una massa monetaria pari a 12 trilioni di dollari – una liquidità che rischia di trasformarsi non nella classica inflazione (come sarebbe successo un tempo) ma nel moltiplicarsi della quantità di finanza derivata in circolazione, che a sua volta potrebbe riesplodere nei caveau di qualche banca. Ovvio che i paesi più esposti sono quelli che combinano crescita negativa e alto debito. Come l’Italia, che in uno scenario di nuova crisi finanziaria e di ritorno dello spread a 500 e oltre questa volta non avrebbe altra possibilità che chiedere aiuto al Fondo Monetario.
C’è poi una lettura ugualmente preoccupata ma più morbida – in cui personalmente mi riconosco – di chi ritiene che i mercati stiano percependo diversi segnali di instabilità: dal rallentamento della crescita di paesi finora trainanti, come Cina, Brasile e Turchia (non a caso sedi di tensioni sociali forti), alla preannunciata intenzione della Fed di rallentare fino ad abolire il programma di acquisto dei titoli pubblici Usa e di togliere il piede dal freno che tiene da tempo i tassi prossimi allo zero. Per non parlare della permanente instabilità generata dall’Europa, che fatica a trovare il bandolo della matassa dei suoi problemi sia di politica monetaria che di ripresa dell’economia reale. Ma che tutto questo non è – o non è ancora – definibile come il quarto capitolo di questa maledetta crisi iniziata sei estati fa.
Chi avrà ragione lo vedremo. Per ora le cose ragionevolmente più certe sono due. Primo: è finita la lunga stagione dei tassi calanti e della generosità monetaria. Dunque occorre che Stati, imprese e risparmiatori resettino le loro valutazioni sul futuro di conseguenza. Secondo: i paesi emergenti non sono più in grado di assicurare l’apporto alla crescita del pil mondiale dato negli ultimi anni e quindi occorre che il vecchio Occidente torni a fare da locomotiva. Gli Usa, con l’energia a basso costo derivante dalla scoperta dello shale gas e il conseguente ritorno della manifattura che si era delocalizzata, una via l’hanno trovata. L’Europa ancora no, tantomeno l’Italia.
Viceversa, c’è chi considera i ripetuti crolli dei mercati azionari e il rialzo degli spread come l’inizio di una quarta fase della Grande Crisi mondiale, iniziata nel 2007 con il crollo dei mercati immobiliari e dei mutui, proseguita nel 2008-2009 con la crisi finanziaria e bancaria globale che a sua volta ha generato la crisi europea da eccesso di debito pubblico con la conseguente messa a nudo dei limiti strutturali dell’eurosistema. I pessimisti temono che si stia formando una nuova bolla, dovuta all’eccesso di moneta stampata dalla Federal Reserve ma soprattutto dalla banca centrale giapponese – nel mondo è stata creata una massa monetaria pari a 12 trilioni di dollari – una liquidità che rischia di trasformarsi non nella classica inflazione (come sarebbe successo un tempo) ma nel moltiplicarsi della quantità di finanza derivata in circolazione, che a sua volta potrebbe riesplodere nei caveau di qualche banca. Ovvio che i paesi più esposti sono quelli che combinano crescita negativa e alto debito. Come l’Italia, che in uno scenario di nuova crisi finanziaria e di ritorno dello spread a 500 e oltre questa volta non avrebbe altra possibilità che chiedere aiuto al Fondo Monetario.
C’è poi una lettura ugualmente preoccupata ma più morbida – in cui personalmente mi riconosco – di chi ritiene che i mercati stiano percependo diversi segnali di instabilità: dal rallentamento della crescita di paesi finora trainanti, come Cina, Brasile e Turchia (non a caso sedi di tensioni sociali forti), alla preannunciata intenzione della Fed di rallentare fino ad abolire il programma di acquisto dei titoli pubblici Usa e di togliere il piede dal freno che tiene da tempo i tassi prossimi allo zero. Per non parlare della permanente instabilità generata dall’Europa, che fatica a trovare il bandolo della matassa dei suoi problemi sia di politica monetaria che di ripresa dell’economia reale. Ma che tutto questo non è – o non è ancora – definibile come il quarto capitolo di questa maledetta crisi iniziata sei estati fa.
Chi avrà ragione lo vedremo. Per ora le cose ragionevolmente più certe sono due. Primo: è finita la lunga stagione dei tassi calanti e della generosità monetaria. Dunque occorre che Stati, imprese e risparmiatori resettino le loro valutazioni sul futuro di conseguenza. Secondo: i paesi emergenti non sono più in grado di assicurare l’apporto alla crescita del pil mondiale dato negli ultimi anni e quindi occorre che il vecchio Occidente torni a fare da locomotiva. Gli Usa, con l’energia a basso costo derivante dalla scoperta dello shale gas e il conseguente ritorno della manifattura che si era delocalizzata, una via l’hanno trovata. L’Europa ancora no, tantomeno l’Italia.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.