La svolta: dal liberismo puro al colbertismo
Tremonti “Robin Hood”
L’idea di tassare i petrolieri comporta gravi rischi. L’alternativa? La strada alla Sarkozydi Enrico Cisnetto - 05 giugno 2008
Giulio Tremonti ha imparato l’arte della comunicazione: la sua “Robin Hood Tax” è un’idea molto suggestiva. E non sarò certo io a scandalizzarmi per la sua ennesima mossa del cavallo, essendo stato uno dei pochi, nella “foresta di Sherwood” del pensiero unico mercatista, ad aver apprezzato la svolta tremontiana, che dal liberismo puro e duro del passato ha virato recentemente verso il colbertismo. Tremonti è uomo con un grande senso del suo tempo e anche quest’ultima proposta di tassare gli utili delle compagnie petrolifere, pur con il chiaro gusto della provocazione, va a centrare un obiettivo sensibile. Non c’è dubbio, infatti, che i prezzi della benzina siano ormai a livelli insostenibili. Ed è vero che le major del petrolio stanno realizzando extra-profitti grazie a questo trend ininterrotto.
Tuttavia, l’idea di una tassa ad hoc mi sembra una misura poco realistica. Primo, perché il mercato del petrolio e dei suoi derivati è fortissimamente legato alle aspettative, e quindi eventuali segnali di un inasprimento fiscale si tradurrebbero – anzi, si sono già tradotti – in prezzi ancora più alti alla pompa. A rimetterci sarebbero quindi ancora una volta i consumatori, esattamente come nel caso di una stretta fiscale sulle banche, che si tradurrebbe simultaneamente in maggiori costi per i correntisti. Inoltre, dire, come fa Tremonti, che “tassare un po’ di più i petrolieri per dare burro, pane e pasta alla gente più povera” è un’affermazione popolare ma alquanto rischiosa. Perché non c’è solo l’oro nero a pesare sui bilanci delle famiglie. Pesa, forse anche di più, la spesa quotidiana in pane, pasta e riso. E qui, gli aumenti degli ultimi mesi sono stati più forti di quelli del petrolio: il prezzo del frumento è salito del 77% nell’ultimo anno, trascinando quello del pane del 13% nei primi tre mesi del 2008 e quello della pasta del 18%.
Un problema, quello del prezzo delle materie prime agricole, che ha respiro internazionale e che è stato anche al centro del vertice della Fao di questi giorni. E’chiaro che i due temi viaggiano su binari paralleli: anche sulle commodities agricole incidono – e molto – le speculazioni. A nessuno però verrebbe in mente di tassare, che so, gli eventuali extra profitti della Voiello o della Barilla (ma non vorrei dare qui uno spunto gratuito a Beppe Grillo). Le tensioni sui prezzi delle materie prime – siano esse “nere” come il petrolio o “bianche” come il grano – costituiscono un problema globale. Quindi, se si vuole trovare una soluzione realistica, è chiaro che bisogna affrontarlo in chiave globale, o quantomeno europea. Si può, insomma, seguire l’indicazione del presidente francese Sarkozy, che sul problema del petrolio “ma anche” del grano ha chiesto un intervento congiunto dell’Unione Europea. Questa è la strada giusta. L’unica. L’alternativa tremontiana, che penalizzerebbe le società italiane con una tassa apposita “ad petroleum”, mi sembra invece una mossa suggestiva, ripeto, ma di scarsa utilità. E, più che la foresta di Sherwood, fa venire in mente le pampas venezuelane di Hugo Chavez.
Tuttavia, l’idea di una tassa ad hoc mi sembra una misura poco realistica. Primo, perché il mercato del petrolio e dei suoi derivati è fortissimamente legato alle aspettative, e quindi eventuali segnali di un inasprimento fiscale si tradurrebbero – anzi, si sono già tradotti – in prezzi ancora più alti alla pompa. A rimetterci sarebbero quindi ancora una volta i consumatori, esattamente come nel caso di una stretta fiscale sulle banche, che si tradurrebbe simultaneamente in maggiori costi per i correntisti. Inoltre, dire, come fa Tremonti, che “tassare un po’ di più i petrolieri per dare burro, pane e pasta alla gente più povera” è un’affermazione popolare ma alquanto rischiosa. Perché non c’è solo l’oro nero a pesare sui bilanci delle famiglie. Pesa, forse anche di più, la spesa quotidiana in pane, pasta e riso. E qui, gli aumenti degli ultimi mesi sono stati più forti di quelli del petrolio: il prezzo del frumento è salito del 77% nell’ultimo anno, trascinando quello del pane del 13% nei primi tre mesi del 2008 e quello della pasta del 18%.
Un problema, quello del prezzo delle materie prime agricole, che ha respiro internazionale e che è stato anche al centro del vertice della Fao di questi giorni. E’chiaro che i due temi viaggiano su binari paralleli: anche sulle commodities agricole incidono – e molto – le speculazioni. A nessuno però verrebbe in mente di tassare, che so, gli eventuali extra profitti della Voiello o della Barilla (ma non vorrei dare qui uno spunto gratuito a Beppe Grillo). Le tensioni sui prezzi delle materie prime – siano esse “nere” come il petrolio o “bianche” come il grano – costituiscono un problema globale. Quindi, se si vuole trovare una soluzione realistica, è chiaro che bisogna affrontarlo in chiave globale, o quantomeno europea. Si può, insomma, seguire l’indicazione del presidente francese Sarkozy, che sul problema del petrolio “ma anche” del grano ha chiesto un intervento congiunto dell’Unione Europea. Questa è la strada giusta. L’unica. L’alternativa tremontiana, che penalizzerebbe le società italiane con una tassa apposita “ad petroleum”, mi sembra invece una mossa suggestiva, ripeto, ma di scarsa utilità. E, più che la foresta di Sherwood, fa venire in mente le pampas venezuelane di Hugo Chavez.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.