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Occhio ai mercati

Tre indizi fanno una prova

Mentre la politica perde tempo, Borsa, Cds e finanza internazionale mandano un segnale chiaro: l'attacco è pronto

di Enrico Cisnetto - 31 marzo 2013

Ci sono due indicatori finanziari che, sovrastati dalle notizie politiche e dalle preoccupazioni riguardanti l’economia reale, in questi giorni sono stati sottovalutati. E di cui, invece, bisogna tenere gran conto perché sono il segno di giudizi negativi dei mercati che potrebbero precedere quel rialzo dello spread che è la cosa più pericolosa che l’attuale caos politico può produrre. Il primo è il livello di depressione della Borsa italiana, che in assoluta controtendenza non solo con Wall Street – il cui indice S&P500 ha fatto segnare il massimo storico – ma anche con le piazze europee, con Ftse Mib ha perso dall’inizio dell’anno il 5,7%, che diventa il 6,7% se si guarda a un anno fa, e ben 33,5% e il 51,6% se il calcola è fatto sui tre e sui cinque anni. Per capirci, nel primo trimestre di quest’anno Parigi e Francoforte hanno fatto +2,5% e New York +10%, mentre a un anno il Cac40 francese segna +8,8% e il Dax tedesco e il principale indice di Wall Street sono oltre l’11% di crescita.

Il secondo indicatore è per intenditori. Si tratta dell’andamento dei Cds (credit default swap), strumenti derivati che servono ad assicurare gli investimenti obbligazionari e che segnalano il livello del rischio di fallimento del paese emittente i titoli. Non solo la nostra “polizza” è arrivata a quota 307, ma ha superato il Cds spagnolo (302), perché evidentemente lo stallo politico italico spinge gli operatori a percepire rischio e a sentirsi più tutelati dai titoli iberici. Quando a luglio dell’anno scorso gli spread erano ritornati ai massimi per via della crisi greca, la differenza tra i due Cds era di un’ottantina di punti a nostro favore. Questo significa che per l’Italia viene considerata peggiore la situazione odierna, pur con uno spread intorno ai 350 punti, che non quella di allora, pur con il differenziale superiore di 150 punti a quello di oggi.

Ha dunque ragione da vendere il presidente Napolitano a sottolineare che l’Italia un governo ce l’ha. Peccato, però, che – a parte il caso dei marò, dove sarebbe stato meglio fosse inoperoso – il governo Monti non stia dando alcun segno di vita ormai da mesi. E che questa vacatio rischi di favorire un nuovo downgrade del rating (Moody’s lo ha di fatto preannunciato), che a sua volta finirebbe con spingere i rendimenti dei Btp decennali oltre il 5% e verso la soglia dell’insostenibilità (sopra il 6%), è oggetto di valutazione da parte degli operatori internazionali. Quando il guru di Goldman Sachs, O’Neill, prima sostiene che il risultato elettorale è da considerarsi “entusiasmante” e poi, una volta innescata la crisi politica post-elezioni, afferma che l’Italia di Grillo è l’anello debole dell’eurosistema e tutto potrebbe precipitare, c’è da avere paura, perché significa che la grande finanza americana, o almeno una parte importante di essa, ha deciso di far saltare il banco. E non tragga in inganno il fatto che gli analisti della stessa Goldman suggeriscono di comprare Btp e di vendere Bund: è una mossa che si fa quando i rendimenti si divaricano, per poi rivendere subito dopo. E siccome si è già profilata una certa disaffezione degli italiani per i propri titoli di Stato (-38% dal 2010 dice la Consob), la tagliola rischia di scattare già dalle prossime aste. Ho l’impressione che da questa Pasqua non arrivi nessuna “resurrezione”.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.