Bilancio Ue e default di Atena
Tragedia greca
Una banda di irresponsabili guida l'Ue. L'impasse sul bilancio e lo stallo controproducente sulla Grecia lo confermanodi Enrico Cisnetto - 25 novembre 2012
L’Europa sembra davvero guidata da una banda di irresponsabili. Nel pieno di una crisi drammatica, finora scongiurata solo grazie alla Bce, prima non si è riusciti a trovare un accordo sulla Grecia, poi al termine di un vertice fallimentare si è rimandata al prossimo anno la decisione sul bilancio comunitario 2014-2020. Non voglio nemmeno pensare – anche per opportuna scaramanzia sulla premessa – cosa succederebbe se dovessero trovare un accordo sulla Spagna o, peggio, sull’Italia.
Prendiamo il caso Grecia, che forse domani potrebbe sbloccarsi – Hollande se ne è già intestato il merito – con 44 miliardi di aiuti, di cui 23 per ricapitalizzare le banche.
Il nodo era, e rimane, una riduzione del tasso di interesse applicato ai prestiti europei. Ora, visto che finora l’ostacolo è stata la Germania, vediamo cosa succede ai denari tedeschi che vanno ai greci: considerato che Berlino attualmente s’indebita a tasso zero, nel momento in cui applica alla Grecia il 4%, ecco che, da paese ricco, porta a casa un utile non male. Al contrario, un paese povero come il Portogallo, che s’indebita al 5%, dando soldi ai greci al 4% ci perde un punto e dunque concede un sussidio. Ora, il senso comune vorrebbe che gli aiuti ai poveri siano forniti dai ricchi, non viceversa. E che, in presenza di un meccanismo inter-governativo (peraltro voluto da Berlino), per evitare assurde asimmetrie i singoli paesi facessero i prestiti al fondo salva-stati allo stesso tasso che pagano a loro volta per indebitarsi. Così facendo l’aiuto non costerebbe nulla a nessuno e l’unico rischia rimarrebbe l’eventuale default dell’aiutato. Fallimento la cui probabilità aumenta quanto più i creditori impongono tassi alti.
I tedeschi, non senza ragione, dicono: i greci sono indebitati perché si sono comportati da cicale, dunque è giusto che remunerino i soldi di chi si è comportato da formica, e se poi questo li fa fallire peggio per loro. Tutto vero, tranne la conclusione, come ha ben spiegato in un’ottima intervista l’ex cancelliere Schroeder: aiutare i paesi in difficoltà significa salvare l’euro, e salvare la moneta unica significa fare prima di tutto gli interessi del paese più forte. Si dice ancora: il fallimento di un paese membro non è la fine del mondo. A parte il fatto che non si possono applicare agli stati le stesse regole dei privati, ma effettivamente se esistesse l’Europa federale, il fallimento di uno stato federato, non sarebbe una tragedia. Purtroppo, però, gli Stati Uniti d’Europa non ci sono, e siccome oggi la spesa europea “centrale” è circa il 2,5% del totale della spesa pubblica di tutti i paesi, essa è del tutto insufficiente a controbilanciare il venir meno di una struttura statale. Se poi la si vuole ulteriormente abbassare, è chiaro che le conseguenze di un default, anche di un paese piccolo come la Grecia (3% del pil Ue), diventano devastanti.
Ma anche ammesso che domani ci sia il via libera, basterà l’accordo alla Grecia per evitare il disastro? Certo non gli risolverà il problema di fondo: la de-crescita. Atene è al quinto anno di recessione, dall’inizio della crisi ha perso il 25% del pil e ora sta viaggiando a -7,2%, mentre il reddito delle famiglie è calato del 40%. Il debito è arrivato al 171%, e nel 2013 è stimato al 190% nonostante 105 miliardi di tagli (30% del pil). Questi sono numeri di una guerra, non di una crisi economica. E l’effetto domino, se si innescasse, sarebbe tragico
Il nodo era, e rimane, una riduzione del tasso di interesse applicato ai prestiti europei. Ora, visto che finora l’ostacolo è stata la Germania, vediamo cosa succede ai denari tedeschi che vanno ai greci: considerato che Berlino attualmente s’indebita a tasso zero, nel momento in cui applica alla Grecia il 4%, ecco che, da paese ricco, porta a casa un utile non male. Al contrario, un paese povero come il Portogallo, che s’indebita al 5%, dando soldi ai greci al 4% ci perde un punto e dunque concede un sussidio. Ora, il senso comune vorrebbe che gli aiuti ai poveri siano forniti dai ricchi, non viceversa. E che, in presenza di un meccanismo inter-governativo (peraltro voluto da Berlino), per evitare assurde asimmetrie i singoli paesi facessero i prestiti al fondo salva-stati allo stesso tasso che pagano a loro volta per indebitarsi. Così facendo l’aiuto non costerebbe nulla a nessuno e l’unico rischia rimarrebbe l’eventuale default dell’aiutato. Fallimento la cui probabilità aumenta quanto più i creditori impongono tassi alti.
I tedeschi, non senza ragione, dicono: i greci sono indebitati perché si sono comportati da cicale, dunque è giusto che remunerino i soldi di chi si è comportato da formica, e se poi questo li fa fallire peggio per loro. Tutto vero, tranne la conclusione, come ha ben spiegato in un’ottima intervista l’ex cancelliere Schroeder: aiutare i paesi in difficoltà significa salvare l’euro, e salvare la moneta unica significa fare prima di tutto gli interessi del paese più forte. Si dice ancora: il fallimento di un paese membro non è la fine del mondo. A parte il fatto che non si possono applicare agli stati le stesse regole dei privati, ma effettivamente se esistesse l’Europa federale, il fallimento di uno stato federato, non sarebbe una tragedia. Purtroppo, però, gli Stati Uniti d’Europa non ci sono, e siccome oggi la spesa europea “centrale” è circa il 2,5% del totale della spesa pubblica di tutti i paesi, essa è del tutto insufficiente a controbilanciare il venir meno di una struttura statale. Se poi la si vuole ulteriormente abbassare, è chiaro che le conseguenze di un default, anche di un paese piccolo come la Grecia (3% del pil Ue), diventano devastanti.
Ma anche ammesso che domani ci sia il via libera, basterà l’accordo alla Grecia per evitare il disastro? Certo non gli risolverà il problema di fondo: la de-crescita. Atene è al quinto anno di recessione, dall’inizio della crisi ha perso il 25% del pil e ora sta viaggiando a -7,2%, mentre il reddito delle famiglie è calato del 40%. Il debito è arrivato al 171%, e nel 2013 è stimato al 190% nonostante 105 miliardi di tagli (30% del pil). Questi sono numeri di una guerra, non di una crisi economica. E l’effetto domino, se si innescasse, sarebbe tragico
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.