Lezioni di riformismo dal premier inglese
Tony Blair e il singhiozzo italiano
In Italia l’alternanza di governo che vige dal ’92 è invece sintomo di singhiozzo democraticodi Davide Giacalone - 09 maggio 2006
La parabola politica di Tony Blair volge al termine. Gli elettori inglesi gli hanno consegnato la terza vittoria, la terza legislatura, ma poi gli hanno voltato le spalle, riempiendo di suffragi i conservatori. Nel partito laburista serpeggia la rivolta (e non si dimentichi che la signora Thatcher fu silurata dal suo partito, non dagli elettori), giacché il premier aveva promesso di lasciare il governo a Gordon Brown, ma non lo ha ancora fatto.
Troppo presto, c’è ancora del lavoro da svolgere, dice Blair, che può ancora contare su una consistente pattuglia di parlamentari. Ma, come che andranno le cose, da questa storia c’è molto da imparare.
Sono fra quanti guardano a Blair con ammirazione: ha saputo governare ed ha saputo cambiare la piattaforma politica dei laburisti, ha saputo guardare al futuro e non ha dimenticato d’imparare dal passato. Ma le democrazie non sono fatte per idolatrare i propri leader, quei sistemi funzionano se si crea una sintonia fra l’elettorato e le forze pulsanti della politica, se il compito di trainare il carro lo si mette sulle spalle di chi ha voglia e forza per correre, pronti a cambiar cavallo quando la stanchezza aumenta e la lucidità diminuisce.
Un disegno riformatore non può in nessun caso concludersi in una sola legislatura, ma la non definitva compiutezza di quello stesso disegno non può essere un buon motivo per non alternare mai le forze. Anche perché nulla è mai compiuto, men che meno in via definitiva. Blair ha avuto due legislature e mezzo, è ancora al suo posto, ma la democrazia inglese, interpretata dai suoi partiti politici, guarda già oltre. E’ giusto così.
Nel mentre ragiono su quel che succederà, nel mentre faccio i conti con un futuro governo conservatore, il cui antieuropeismo andrà ad aggiungersi ai referendum costituzionali persi in alcune democrazie continentali, nel mentre mi diverte pensare che il tramonto di Blair porterà ad un inasprimento della piattaforma laburista, quasi che i protagonisti non siano in grado di comprendere l’errore che commettono, penso mestamente alle differenze con la nostra democrazia. Da noi nessuno governa mai per più di una legislatura, e si grida al miracolo se un governo ne copre l’intera durata.
Fino al 1992, in tempi di prima Repubblica, quest’instabilità dell’esecutivo era funzionale all’estrema stabilità delle forze politiche che lo esprimevano. Non si dimentichi che dal 1948 al 1992 (compreso) le forze di governo non hanno mai perso le elezioni. Ma dal 1992 è successo il contrario: non è mai successo che il governo abbia vinto le elezioni. Il che significa che, dal 1992, l’Italia non ha una politica degna di questo nome. La nostra è una democrazia con il singhiozzo, affetta da una debolezza istituzionale e politica che contagia ogni aspetto del vivere civile e produttivo. Qualche volta ci facciamo paura, nella speranza d’interrompere il singulto, ma più spesso facciamo finta che tutto sia normale, sobbalzando di continuo e mostrandocene felici.
Blair ha oggi 53 anni e s’appresta ad uscire dalla prima fila istituzionale. Da noi, nel mentre si rincorrono arzilli ottantenni, se a quell’età ci si candidasse a qualche cosa d’importante, si direbbe: il più giovane ambizioso d’Italia. La politica non si fa con i certificati anagrafici, e nemmeno è avvincente ragionare sui generi sessuali. Ma ignorare del tutto il nostro precipitare nel senile battibecco fra maschi con passati da brivido, vuol dire essere ciechi.
www.davidegiacalone.it
Troppo presto, c’è ancora del lavoro da svolgere, dice Blair, che può ancora contare su una consistente pattuglia di parlamentari. Ma, come che andranno le cose, da questa storia c’è molto da imparare.
Sono fra quanti guardano a Blair con ammirazione: ha saputo governare ed ha saputo cambiare la piattaforma politica dei laburisti, ha saputo guardare al futuro e non ha dimenticato d’imparare dal passato. Ma le democrazie non sono fatte per idolatrare i propri leader, quei sistemi funzionano se si crea una sintonia fra l’elettorato e le forze pulsanti della politica, se il compito di trainare il carro lo si mette sulle spalle di chi ha voglia e forza per correre, pronti a cambiar cavallo quando la stanchezza aumenta e la lucidità diminuisce.
Un disegno riformatore non può in nessun caso concludersi in una sola legislatura, ma la non definitva compiutezza di quello stesso disegno non può essere un buon motivo per non alternare mai le forze. Anche perché nulla è mai compiuto, men che meno in via definitiva. Blair ha avuto due legislature e mezzo, è ancora al suo posto, ma la democrazia inglese, interpretata dai suoi partiti politici, guarda già oltre. E’ giusto così.
Nel mentre ragiono su quel che succederà, nel mentre faccio i conti con un futuro governo conservatore, il cui antieuropeismo andrà ad aggiungersi ai referendum costituzionali persi in alcune democrazie continentali, nel mentre mi diverte pensare che il tramonto di Blair porterà ad un inasprimento della piattaforma laburista, quasi che i protagonisti non siano in grado di comprendere l’errore che commettono, penso mestamente alle differenze con la nostra democrazia. Da noi nessuno governa mai per più di una legislatura, e si grida al miracolo se un governo ne copre l’intera durata.
Fino al 1992, in tempi di prima Repubblica, quest’instabilità dell’esecutivo era funzionale all’estrema stabilità delle forze politiche che lo esprimevano. Non si dimentichi che dal 1948 al 1992 (compreso) le forze di governo non hanno mai perso le elezioni. Ma dal 1992 è successo il contrario: non è mai successo che il governo abbia vinto le elezioni. Il che significa che, dal 1992, l’Italia non ha una politica degna di questo nome. La nostra è una democrazia con il singhiozzo, affetta da una debolezza istituzionale e politica che contagia ogni aspetto del vivere civile e produttivo. Qualche volta ci facciamo paura, nella speranza d’interrompere il singulto, ma più spesso facciamo finta che tutto sia normale, sobbalzando di continuo e mostrandocene felici.
Blair ha oggi 53 anni e s’appresta ad uscire dalla prima fila istituzionale. Da noi, nel mentre si rincorrono arzilli ottantenni, se a quell’età ci si candidasse a qualche cosa d’importante, si direbbe: il più giovane ambizioso d’Italia. La politica non si fa con i certificati anagrafici, e nemmeno è avvincente ragionare sui generi sessuali. Ma ignorare del tutto il nostro precipitare nel senile battibecco fra maschi con passati da brivido, vuol dire essere ciechi.
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L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.