Le offerte straniere per Olimpia
Telecom, l’ultima lacrima
Le puntate finali d’una vicenda arcitaliana. Ora la politica decida ciò che è strategicodi Enrico Cisnetto - 03 aprile 2007
E’ difficile accodarsi al grido di dolore partito dalla politica non appena si è saputo dell’offerta dell’americana AT&T e della messicana Telecom Movil per Olimpia, la holding che controlla il 18% di Telecom. Difficile, perché quel grido somiglia pericolosamente al classico pianto sul latte versato, quello di chi si dispera per una situazione che ha contribuito a creare, e oltretutto quando è ormai tardi per porvi rimedio.
La vicenda dell’ex-monopolista delle telecomunicazioni è infatti emblematica di come vadano le cose nel nostro Paese. Negli ultimi mesi, con la vicenda del piano Rovati e quella giudiziaria sulle intercettazioni abusive, si è fatto a gara per trattare Tronchetti come un Al Capone, mentre l’azienda veniva dipinta quasi come se fosse sull’orlo del fallimento dopo una crisi finanziaria irreversibile. Questo nonostante Telecom, insieme agli ormai proverbiali 37 miliardi di debiti, vanti anche un ebitda (utile lordo prima di interessi, tasse, deprezzamento e ammortamenti) superiore al 40%, e che abbia chiuso il 2006 con un utile netto del 10% rispetto ai 31,3 miliardi di fatturato. Invece, con pressioni indebite, si è costretto il presidente di Pirelli a fare un passo indietro, affidando la gestione a terzi e favoleggiando un modello di public company che nel caso specifico c’entra poco o nulla. Tronchetti, ormai scottato, si è a quel punto prestato a una trattativa infinita con le banche, che si sono divise quando era il momento di chiudere anche se qualche banchiere aveva preso con lui impegni precisi. Soltanto quando si è reso conto che non si approdava a nulla, ha deciso di entrare in trattativa esclusiva con gli stranieri, i quali – lo si capisce dai profili dei rispettivi core business – probabilmente hanno davvero in mente di prendersi Telecom per poi dividere il fisso dal mobile, e quindi spartirsela. Lo si può rimproverare di qualcosa?
Tuttavia, l’ultima parola la avranno Mediobanca e Generali, in virtù del patto sottoscritto con Pirelli, che prevede possano rilevare Olimpia semplicemente pareggiando le offerte altrui. In più, potrebbe ritornare in gioco Mediaset, che insieme a Telecom creerebbe un colosso multimediale (rete e contenuti) di dimensioni continentali. A patto però che Berlusconi, superati i 70 ed avendo tratto dalla sua “discesa in campo” tutte le soddisfazioni materiali e morali che poteva desiderare, prenda la palla al balzo per una uscita dalla scena politica che sarebbe la sua migliore assunzione di responsabilità, un vero atto d’amore verso il Paese perchè in un colpo solo risolverebbe il “caso Telecom” e seppellirebbe il fallimentare bipolarismo all’italiana della Seconda Repubblica. Insomma, volendo, quella “italianità” oggi reclamata ma nei fatti dimenticata – che rappresenta un valore importante visto l’alto tasso di strategicità di Telecom e del settore in cui opera, anche se purtroppo sembra non avere gambe su cui camminare – potrebbe essere ancora fatta salva.
L’unico strumento che non si può tirare fuori – anche se le sparate di alcuni esponenti del governo fanno temere – è il “ricatto politico”, e cioè la messa in discussione della concessione grazie a cui Telecom opera, un po’ come è stato fatto per bloccare la fusione tra Autostrade e Abertis. Si dirà: nel caso della Fiat la scialuppa bancaria di salvataggio ha funzionato, perchè non ripercorrere quella strada? Intanto, a differenza di allora, oggi in Banca d’Italia non c’è più chi, nel bene e nel male, usa la moral suasion per convincere i banchieri ad intervenire. Anzi, il sistema del credito ha assunto un’odiosa configurazione “bipolare” e anche in esso, come nella politica, lo scontro prevale sulle ragioni comuni.
Inoltre, non aiuta il fronteggiarsi, che anche nella vicenda Telecom si è puntualmente ripetuto, tra liberisti che in nome del dio mercato considerano ininfluente il passaporto degli azionisti di controllo, e statalisti che vorrebbero ripubblicizzare la società (o quantomeno la rete), così come avrebbero fatto anche per la Fiat. Posizioni che lasciano poco spazio ad un sano pragmatismo, magari tipo quello che ha portato gli Stati Uniti a porre per legge un limite del 25% alla presenza di capitale straniero nelle aziende di tlc. Decidere cosa è strategico e cosa no per il nostro apparato industriale, e poi comportarsi di conseguenza: questa è l’unica cosa da fare, per il futuro di Telecom e di tutto il nostro, ormai residuale, capitalismo.
Pubblicato su La Sicilia di martedi 3 aprile
La vicenda dell’ex-monopolista delle telecomunicazioni è infatti emblematica di come vadano le cose nel nostro Paese. Negli ultimi mesi, con la vicenda del piano Rovati e quella giudiziaria sulle intercettazioni abusive, si è fatto a gara per trattare Tronchetti come un Al Capone, mentre l’azienda veniva dipinta quasi come se fosse sull’orlo del fallimento dopo una crisi finanziaria irreversibile. Questo nonostante Telecom, insieme agli ormai proverbiali 37 miliardi di debiti, vanti anche un ebitda (utile lordo prima di interessi, tasse, deprezzamento e ammortamenti) superiore al 40%, e che abbia chiuso il 2006 con un utile netto del 10% rispetto ai 31,3 miliardi di fatturato. Invece, con pressioni indebite, si è costretto il presidente di Pirelli a fare un passo indietro, affidando la gestione a terzi e favoleggiando un modello di public company che nel caso specifico c’entra poco o nulla. Tronchetti, ormai scottato, si è a quel punto prestato a una trattativa infinita con le banche, che si sono divise quando era il momento di chiudere anche se qualche banchiere aveva preso con lui impegni precisi. Soltanto quando si è reso conto che non si approdava a nulla, ha deciso di entrare in trattativa esclusiva con gli stranieri, i quali – lo si capisce dai profili dei rispettivi core business – probabilmente hanno davvero in mente di prendersi Telecom per poi dividere il fisso dal mobile, e quindi spartirsela. Lo si può rimproverare di qualcosa?
Tuttavia, l’ultima parola la avranno Mediobanca e Generali, in virtù del patto sottoscritto con Pirelli, che prevede possano rilevare Olimpia semplicemente pareggiando le offerte altrui. In più, potrebbe ritornare in gioco Mediaset, che insieme a Telecom creerebbe un colosso multimediale (rete e contenuti) di dimensioni continentali. A patto però che Berlusconi, superati i 70 ed avendo tratto dalla sua “discesa in campo” tutte le soddisfazioni materiali e morali che poteva desiderare, prenda la palla al balzo per una uscita dalla scena politica che sarebbe la sua migliore assunzione di responsabilità, un vero atto d’amore verso il Paese perchè in un colpo solo risolverebbe il “caso Telecom” e seppellirebbe il fallimentare bipolarismo all’italiana della Seconda Repubblica. Insomma, volendo, quella “italianità” oggi reclamata ma nei fatti dimenticata – che rappresenta un valore importante visto l’alto tasso di strategicità di Telecom e del settore in cui opera, anche se purtroppo sembra non avere gambe su cui camminare – potrebbe essere ancora fatta salva.
L’unico strumento che non si può tirare fuori – anche se le sparate di alcuni esponenti del governo fanno temere – è il “ricatto politico”, e cioè la messa in discussione della concessione grazie a cui Telecom opera, un po’ come è stato fatto per bloccare la fusione tra Autostrade e Abertis. Si dirà: nel caso della Fiat la scialuppa bancaria di salvataggio ha funzionato, perchè non ripercorrere quella strada? Intanto, a differenza di allora, oggi in Banca d’Italia non c’è più chi, nel bene e nel male, usa la moral suasion per convincere i banchieri ad intervenire. Anzi, il sistema del credito ha assunto un’odiosa configurazione “bipolare” e anche in esso, come nella politica, lo scontro prevale sulle ragioni comuni.
Inoltre, non aiuta il fronteggiarsi, che anche nella vicenda Telecom si è puntualmente ripetuto, tra liberisti che in nome del dio mercato considerano ininfluente il passaporto degli azionisti di controllo, e statalisti che vorrebbero ripubblicizzare la società (o quantomeno la rete), così come avrebbero fatto anche per la Fiat. Posizioni che lasciano poco spazio ad un sano pragmatismo, magari tipo quello che ha portato gli Stati Uniti a porre per legge un limite del 25% alla presenza di capitale straniero nelle aziende di tlc. Decidere cosa è strategico e cosa no per il nostro apparato industriale, e poi comportarsi di conseguenza: questa è l’unica cosa da fare, per il futuro di Telecom e di tutto il nostro, ormai residuale, capitalismo.
Pubblicato su La Sicilia di martedi 3 aprile
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.