Il caso Telefonica somiglia a Abertis
Telecom, il governo e l’italianità
Dopo gli errori nel risiko bancario e la vicenda Autostrade, l’esecutivo rischia ancoradi Enrico Cisnetto - 19 febbraio 2007
Ci risiamo? Dopo aver commesso errori imperdonabili nel risiko bancario e aver dato il peggio di noi nella vicenda Abertis-Autostrade, ora si rischia il “perseverare diabolicum” con Telecom. Il tema è sempre lo stesso: l’uso errato, per ignoranza o per interesse, del concetto di “italianità”. Chi legge questa rubrica sa che in essa si è sempre difesa l’idea che ci siano alcuni settori strategici, dal credito all’energia, dal militare ad appunto le telecomunicazioni, di cui un Paese deve essere geloso. E che le società che in essi operano vanno tutelate, pur nel pieno rispetto delle regole di mercato, da interessi stranieri. Altri, invece, sostengono l’inesistenza di alcun vincolo, chi in assoluto, chi perchè immagina che esistano gli Stati Uniti d’Europa e dunque l’interesse nazionale e quello europeo coincidano. Idee diverse, ma legittime. Inaccettabile, invece, è chi saltabecca dall’una all’altra delle posizioni, e non per volubilità d’idee ma per spregiudicata strumentalità. Insomma, della serie: se gli stranieri mi piacciono e non ho amici italiani interessati a contrapporvisi, abbasso le barriere; in caso contrario, viva l’italianità. Così è successo con Abertis, così rischia di succedere ora con Telefonica. Parliamoci chiaro: Telecom è un pezzo assolutamente strategico del già povero capitalismo made in Italy. Ma pensare che l’acquisto del 30% di una scatola, Olimpia, che a sua volta detiene il 18% di Telecom, rappresenti un esempio di “assoggettamento a priori” all’interesse iberico, e non una “politica di alleanze”, che anche il più conservativo dei fans dell’italianità non può non considerare come necessaria e opportuna, allora significa avere una qualche volpe sotto l’ascella, e neppure troppo ben celata. Dunque, se domani il governo, o qualche forza politica, o qualunque altro potere dovesse impedire, nelle forme più diverse, al duo Pirelli-Benetton di cedere una quota di minoranza di Olimpia, dovrebbe assumersene la responsabilità esplicitamente e di conseguenza spiegare le motivazioni di quella interferenza (difficile chiamarla diversamente). Si dice (anzi, si sussurra): ma gli spagnoli non sono così fessi da accontentarsi di una quota di minoranza, sotto c’è ben altro. A parte il fatto che basterebbe vedere la presenza in Sudamerica di Telefonica per capire come già solo le sinergie su quel fronte sono più che sufficienti a rendere lucroso l’investimento, ma se qualcuno – magicamente, visto che la trattativa è ancora in corso – possiede gli elementi per sostenere che non del 30% ma della maggioranza (o dell’avvio del controllo) di Olimpia si tratti, allora faccia la cortesia di renderli noti. Altrimenti siamo costretti a pensare che il “ben altro sotto” non ci sia nella trattativa con Telefonica, ma in chi surrettiziamente la osteggia.
E poi, siamo chiari: nella situazione che si è venuta a creare – tra il debito generato dall’opa che si trascina da anni, e le vicende finanziario-politico-giudiziarie degli ultimi tempi – Telecom ha bisogno di stabilità azionaria – accompagnata da una governance meglio definita di quella attuale, figlia dell’emergenza – e di alleanze industriali forti. Per conseguire questi obiettivi fondamentali, se qualcuno ha idee migliori le comunichi (pubblicamente), altrimenti eviti il sabotaggio di quelle altrui.
Pubblicato su Il Gazzettino di domenica 18 febbraio
Pubblicato su Il Gazzettino di domenica 18 febbraio
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