Rinascerà ciò che è stato abbandonato?
Tattiche contrattuali o vere difficoltà?
Operazione Opel-Magna: “il processo è ancora aperto a tutti gli offerenti”di Angelo De Mattia - 05 giugno 2009
Si manifesta, forse, qualche crepa nella storica durezza dell’establishment politico tedesco nei negoziati economico-finanziari? Non è il caso di ricordare in dettaglio, come esempi di tale inflessibilità, le trattative con l’Italia per la ricostituzione delle nostre riserve valutarie abbattute dalla difesa della lira in occasione della crisi del 1992 o i negoziati per l’adesione all’euro da parte del nostro Paese, ovvero, molti anni prima, per la partecipazione allo Sme; per tacere di tutte le altre “vertenze” che hanno riguardato l’applicazione dei parametri Maastricht e, in generale, la condotta di rigore monetario o le ipotesi di acquisizione di imprese private.
Eppure, in questi giorni, dopo l’attacco, ridimensionato ieri da Trichet, della Cancelliera Angela Merkel alla Bce – presunta rea di essersi piegata alle pressioni internazionali decidendo di acquistare covered bond per 60 miliardi – e dopo le critiche ad altre banche centrali, ecco il portavoce del Governo tedesco precisare, a proposito dell’operazione Opel-Magna, che con il gruppo auto-canadese-russo non è stato stipulato un contratto definitivo e che “il processo è ancora aperto a tutti gli offerenti”.
La precisazione fa seguito alle dichiarazioni della stessa Merkel, secondo la quale sull’operazione in questione pesano non pochi rischi. Il Governo della Repubblica federale, qualora effettivamente le trattative dovessero incepparsi, avrebbe una potente arma nelle sue mani: il prestito-ponte di 1,5 miliardi necessario per la continuità aziendale di Opel, fino alla sua definitiva sistemazione.
Poiché da altre dichiarazioni che sarebbero rese da Magna emergerebbero delle difficoltà nel negoziato, occorrerebbe ora capire se si tratta di mere tattiche contrattuali, perché ognuna delle parti vorrebbe definire il merito dell’accordo in posizione di maggiore forza (e, quindi, ipotizzerebbe, in chiave monitoria, anche la non conclusione dell’intesa) oppure se effettivamente sia in atto un serio ripensamento, da parte tedesca, dopo l’eccessiva accelerazione impressa alla scelta venerdì scorso; se, cioè, stiano, per ipotesi, emergendo problemi che possono riguardare una sia pur tardiva constatazione dei limiti del progetto industriale di Magna come dei diversi profili dell’operazione, ivi inclusi quelli finanziari (con riferimento anche alla somma di 300 milioni che la società prescelta si è dichiarata disposta a versare).
Certamente, occorre mettere in conto una serie di fattori che tuttora pesano sullo sviluppo del confronto negoziale e che vanno dalle posizioni ancora favorevoli a Magna nello schieramento politico-sindacale (soprattutto ad opera dei socialdemocratici) nonché – come per le critiche nei confronti della Bce – l’imminenza elettorale e le prossime scadenze delle elezioni politiche interne.
Bisogna anche aggiungere il significato e i riflessi che la crisi ha per la Germania, ponendo essa in discussione – se si considerano i dati e le stime dell’economia, della finanza e dei conti pubblici – antiche certezze e solidi punti di riferimento, con impatti anche sulle scelte da operare a livelli inferiori, rispetto alle grandi strategie di politica economica, dunque pure sull’operazione Opel.
Se, comunque, esclusa la eventualità del tatticismo negoziale, si trattasse, in effetti, di una seria fase di impasse delle trattative, allora sarebbe sbagliato se la Fiat continuasse a mantenere una posizione di distanza o, comunque, di indifferenza. Certo, per la stessa tutela della sua posizione negoziale, non gioverebbe un eventuale precipitarsi della casa torinese per rimettersi in gioco; sarebbe, però, opportuno che essa desse dei segnali: non dell’intento di partecipare a una sorta di asta impropria, come farebbe supporre il portavoce governativo quando parla di apertura “a tutti gli offerenti”, ma comunque della volontà di essere considerata in campo, promuovendo al riguardo un efficace lavorio diplomatico, con l’apporto del nostro Governo.
Quest’ultimo avrà modo – nelle mutate condizioni, quando cioè si facesse ricorso alla Fiat, da parte dei tedeschi, per le sopravvenute difficoltà del negoziato con Magna – di esplicare l’azione che in precedenza non ha svolto nei versanti tedesco, europeo, americano. La Fiat, dal canto suo, dovrebbe valutare quali integrazioni apportare – tali comunque che non sconvolgano le precedenti offerte che essa non ha voluto modificare in precedenza – nel versante industriale, ma soprattutto in quello finanziario, con l’assistenza di banche che da tempo si sono dichiarate disposte a dare il loro sostegno. Multa renascentur quae iam cecidere. Rinascerà ciò che è stato abbandonato?
Si tratterebbe, cioè, di promuovere, alla luce dell’esperienza fatta e di qualche errore tattico commesso, una vasta iniziativa politica ed economico-finanziaria. Se il raggiungimento del livello di produzione annuale di sei milioni di autoveicoli si impone per poter continuare a rimanere in vita, allora, fermo restando che bene ha fatto Sergio Marchionne a rappresentare l’invalicabilità di alcune fondamentali disponibilità offerte nella trattativa, è necessario, tuttavia, che la Fiat non lasci nulla d’intentato perché, prima ancora di valutare soluzioni alternative, si pervenga o a una soluzione positiva o alla constatazione, questa volta veramente conclusiva, dell’impossibilità di procedere oltre.
Che possano cambiare in itinere terreno e regole del gioco, ora tutti lo sappiamo. Che si debba evitare di prestare il fianco alla tecnica dei “due forni”, con la strumentalizzazione di uno di essi mentre ci si serve dell’altro, è indiscutibile. Tuttavia, si tratta di verificare se effettivamente si vogliono cogliere gli spazi che si potrebbero aprire, oppure no.
Ieri Trichet – che ha sottolineato come la Bce sia fieramente indipendente e non si pieghi ad alcuna pressione esterna – ha segnalato il peggioramento delle stime del prodotto nell’Eurozona, rassegnate dallo staff dell’Istituto monetario, e ha prospettato che il ritorno a tassi di crescita positivi avverrà nella metà del 2010. Un quadro, dunque, difficile, nonostante i più bassi livelli di inflazione previsti. In tale contesto, la reviviscenza dell’operazione Fiat-Opel sarebbe un fatto estremamente positivo.
Eppure, in questi giorni, dopo l’attacco, ridimensionato ieri da Trichet, della Cancelliera Angela Merkel alla Bce – presunta rea di essersi piegata alle pressioni internazionali decidendo di acquistare covered bond per 60 miliardi – e dopo le critiche ad altre banche centrali, ecco il portavoce del Governo tedesco precisare, a proposito dell’operazione Opel-Magna, che con il gruppo auto-canadese-russo non è stato stipulato un contratto definitivo e che “il processo è ancora aperto a tutti gli offerenti”.
La precisazione fa seguito alle dichiarazioni della stessa Merkel, secondo la quale sull’operazione in questione pesano non pochi rischi. Il Governo della Repubblica federale, qualora effettivamente le trattative dovessero incepparsi, avrebbe una potente arma nelle sue mani: il prestito-ponte di 1,5 miliardi necessario per la continuità aziendale di Opel, fino alla sua definitiva sistemazione.
Poiché da altre dichiarazioni che sarebbero rese da Magna emergerebbero delle difficoltà nel negoziato, occorrerebbe ora capire se si tratta di mere tattiche contrattuali, perché ognuna delle parti vorrebbe definire il merito dell’accordo in posizione di maggiore forza (e, quindi, ipotizzerebbe, in chiave monitoria, anche la non conclusione dell’intesa) oppure se effettivamente sia in atto un serio ripensamento, da parte tedesca, dopo l’eccessiva accelerazione impressa alla scelta venerdì scorso; se, cioè, stiano, per ipotesi, emergendo problemi che possono riguardare una sia pur tardiva constatazione dei limiti del progetto industriale di Magna come dei diversi profili dell’operazione, ivi inclusi quelli finanziari (con riferimento anche alla somma di 300 milioni che la società prescelta si è dichiarata disposta a versare).
Certamente, occorre mettere in conto una serie di fattori che tuttora pesano sullo sviluppo del confronto negoziale e che vanno dalle posizioni ancora favorevoli a Magna nello schieramento politico-sindacale (soprattutto ad opera dei socialdemocratici) nonché – come per le critiche nei confronti della Bce – l’imminenza elettorale e le prossime scadenze delle elezioni politiche interne.
Bisogna anche aggiungere il significato e i riflessi che la crisi ha per la Germania, ponendo essa in discussione – se si considerano i dati e le stime dell’economia, della finanza e dei conti pubblici – antiche certezze e solidi punti di riferimento, con impatti anche sulle scelte da operare a livelli inferiori, rispetto alle grandi strategie di politica economica, dunque pure sull’operazione Opel.
Se, comunque, esclusa la eventualità del tatticismo negoziale, si trattasse, in effetti, di una seria fase di impasse delle trattative, allora sarebbe sbagliato se la Fiat continuasse a mantenere una posizione di distanza o, comunque, di indifferenza. Certo, per la stessa tutela della sua posizione negoziale, non gioverebbe un eventuale precipitarsi della casa torinese per rimettersi in gioco; sarebbe, però, opportuno che essa desse dei segnali: non dell’intento di partecipare a una sorta di asta impropria, come farebbe supporre il portavoce governativo quando parla di apertura “a tutti gli offerenti”, ma comunque della volontà di essere considerata in campo, promuovendo al riguardo un efficace lavorio diplomatico, con l’apporto del nostro Governo.
Quest’ultimo avrà modo – nelle mutate condizioni, quando cioè si facesse ricorso alla Fiat, da parte dei tedeschi, per le sopravvenute difficoltà del negoziato con Magna – di esplicare l’azione che in precedenza non ha svolto nei versanti tedesco, europeo, americano. La Fiat, dal canto suo, dovrebbe valutare quali integrazioni apportare – tali comunque che non sconvolgano le precedenti offerte che essa non ha voluto modificare in precedenza – nel versante industriale, ma soprattutto in quello finanziario, con l’assistenza di banche che da tempo si sono dichiarate disposte a dare il loro sostegno. Multa renascentur quae iam cecidere. Rinascerà ciò che è stato abbandonato?
Si tratterebbe, cioè, di promuovere, alla luce dell’esperienza fatta e di qualche errore tattico commesso, una vasta iniziativa politica ed economico-finanziaria. Se il raggiungimento del livello di produzione annuale di sei milioni di autoveicoli si impone per poter continuare a rimanere in vita, allora, fermo restando che bene ha fatto Sergio Marchionne a rappresentare l’invalicabilità di alcune fondamentali disponibilità offerte nella trattativa, è necessario, tuttavia, che la Fiat non lasci nulla d’intentato perché, prima ancora di valutare soluzioni alternative, si pervenga o a una soluzione positiva o alla constatazione, questa volta veramente conclusiva, dell’impossibilità di procedere oltre.
Che possano cambiare in itinere terreno e regole del gioco, ora tutti lo sappiamo. Che si debba evitare di prestare il fianco alla tecnica dei “due forni”, con la strumentalizzazione di uno di essi mentre ci si serve dell’altro, è indiscutibile. Tuttavia, si tratta di verificare se effettivamente si vogliono cogliere gli spazi che si potrebbero aprire, oppure no.
Ieri Trichet – che ha sottolineato come la Bce sia fieramente indipendente e non si pieghi ad alcuna pressione esterna – ha segnalato il peggioramento delle stime del prodotto nell’Eurozona, rassegnate dallo staff dell’Istituto monetario, e ha prospettato che il ritorno a tassi di crescita positivi avverrà nella metà del 2010. Un quadro, dunque, difficile, nonostante i più bassi livelli di inflazione previsti. In tale contesto, la reviviscenza dell’operazione Fiat-Opel sarebbe un fatto estremamente positivo.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.