Monti politico e Monti analista
Sviluppismo recessionista
L'offerta di nuove opportunità e nuovi marcati per riforme indirizzate alla crescitadi Davide Giacalone - 30 dicembre 2011
Il 2012 sarà un anno di recessione. Quella ufficialmente prevista non è drammatica, quella effettivamente attesa più significativa (non è escluso un -3%). Il governo si prepara a questa stagione annunciando la fase “cresci-Italia”. Diciamo che non manca l’ottimismo della volontà. Diciamo anche, però, che non si dovrebbe lasciare del tutto a digiuno la ragione, e se è certamente vero che c’è bisogno di misure che favoriscano competitività e sviluppo sarebbe gradevole sapere anche quali sono. Invece, dopo il silenzio con cui s’è chiuso il Consiglio dei ministri straordinario, mercoledì scorso, anche la conferenza stampa di fine anno non ha portato particolari lumi.
Il ragionamento svolto da Monti è stato interessante, ma sia la tabella di marcia che l’itinerario del cammino governativo restano allo stato d’indicazioni. Nella descrizione dello scenario, però, si trovano passaggi illuminanti. Rispondendo alla domanda postagli dal Financial Times il presidente del Consiglio ha detto di non essere in grado d’indicare quale dovrebbe essere il giusto spread, ripetendo che, come per i prezzi, è il mercato a decidere, ma ha aggiunto che nei fondamentali della nostra economia non ci sono ragioni per cui debbano essere così alti. Giusto, ha ragione. Noi lo abbiamo sostenuto fin dall’inizio, quando il salire dello spread era letto come una specie di divina condanna per i nostri peccati. Se i fondamentali non giustificano tale distanza fra i tassi d’interesse che si devono pagare per i debiti pubblici, allora vuol dire che la causa è da un’altra parte. Difatti è nell’euro: nella sua debolezza istituzionale e nella sua incompiutezza politica. Ma se così stanno le cose ne deriva che così stavano fin dall’inizio e che la soluzione non può essere trovata (solo) in misure restrittive e impositive fatte subire ad aziende e cittadini italiani.
E’ un punto decisivo. Monti ha ragione anche quando dice che non si deve dare troppa importanza allo spread, ma sarebbe elegante che lo sostenesse anche per il passato, quando, invece, sembrava essere l’unico termometro utilizzabile. Mentre non solo è inelegante, ma totalmente contraddittorio che abbia cercato di dimostrare che da quando è al governo lo spread è sceso: a. perché non è vero (è sceso rispetto al picco, ma è altissimo); b. perché se la causa non è interna, se i fondamentali sono i medesimi, è come dire che il cambio della guardia ha avuto un valore estetico. Tesi debole, oltre che offensiva.
Altro passaggio importante è quello in cui Monti ha detto che la Banca centrale europea ha diminuito e quasi cessato gli acquisti di titoli dei debiti sovrani. Come a dire: la distanza fra i tassi d’interesse resta alta, è vero, ma prima c’era l’aiuto della Bce, mentre ora no. Proprio in queste ore abbiamo la dimostrazione del contrario: l’asta dei titoli italiani a scadenza semestrale è andata bene, segnando un tutto esaurito; l’asta dei titoli a più lunga scadenza, tenutasi ieri, ha registrato un invenduto pari a 1,5 miliardi. Spiegazione: la Bce ha pompato liquidità nel mercato concedendo alle banche prestiti triennali per 500 miliardi, al tasso dell’1%, le stesse banche comprano titoli a breve scadenza, che offrono come garanzia alla stessa Bce, lucrando (molto) sulla differenza dei tassi e non correndo rischi; quando le scadenze si allungano, però, superando il lasso temporale coperto dal prestito, la domanda scende. Morale: la Bce sta comprando eccome, solo che lo fa per interposte banche.
Ciò nonostante lo spread rimane altissimo, come si spiega? Perché ha ragione il Monti analista, quando chiarisce che la causa di quell’andamento è estranea all’affidabilità e sostenibilità del nostro debito pubblico. Il che, però, dà torto al Monti politico, quando sostiene che lo spread altissimo ha condannato il governo precedente e lui è riuscito a farlo scendere. Sottolineo queste cose non perché ci sia gusto nel segnalare le contraddizioni altrui, ma perché è contraddittoria la situazione nella quale ci troviamo, derivante dal sommarsi di due crisi, una interna e una europea. Quella interna ha origini antiche, segnalate da un calo di competitività, da una bassa crescita e da un alto debito pubblico che convivono, nocivamente, da una ventina d’anni. A questa crisi si deve reagire con riforme che liberino il mercato e con minore pressione fiscale. Poi c’è la crisi dell’euro, che origina dalla crisi del debito covata negli Stati Uniti e che è deflagrata mettendo a nudo l’incredibile fragilità interna della moneta unica.
A questa crisi si può rispondere con maggiore integrazione politica e fiscale, in Europa, e con la diminuzione dei debiti sovrani, il che comporta tagli alla spesa e più tasse. Sono due mali diversi, ma vanno curati contemporaneamente. In ciò consiste la difficoltà politica, mentre non serve a nulla continuare a dire che ci troviamo in questa situazione perché le riforme non sono state fatte prima e per tempo: è vero, e se non fosse vero, del resto, non ci sarebbe un governo commissariale. Monti ha colto il nodo politico nel passaggio in cui ha sostenuto che le riforme per lo sviluppo devono essere fatte nello stesso momento, in modo da scontentare tutti nella stessa misura. E’ quel che qui abbiamo sostenuto fin dal primo momento: se il governo Monti cerca il consenso è finito, mentre è forte nel fare le cose dovute mantenendo un equilibrio del dissenso. La riforma del mercato del lavoro e le liberalizzazioni devono procedere in parallelo. Aggiungo che è non solo opportuno e prudente, ma anche giusto.
Perché a chi perde sicurezze si devono offrire opportunità, a chi perde rendite si devono offrire nuovi mercati. Solo in questo modo si avrà la sensazione di riforme non penitenziali, ma indirizzate alla crescita. Monti, però, si è fermato qui, riservando al governo il tempo per potere formulare proposte concrete. E’ legittimo. Anche la creazione non si esaurì in un solo giorno, pur disponendosi di poteri vasti e possibilità infinite. Ma non sfugga al presidente del Consiglio l’effetto collaterale: più passa il tempo più i veti si solidificano, e già mi pare, ad esempio, che sull’articolo 18 dello statuto dei lavoratori si sia passati dal freno alla marcia indietro.
Procedura pericolosa, perché tutta la forza di Monti sta nel procedere, mentre basta cedere una volta per essere costretti a cedere sempre. A gennaio si terranno gli incontri europei bilaterali. La sede giusta per sostenere due cose: 1. l’Italia non intende pagare per colpa dell’euro; 2. l’Unione deve essere collegiale, gli assi e i bilaterali la portano a morire.
Il ragionamento svolto da Monti è stato interessante, ma sia la tabella di marcia che l’itinerario del cammino governativo restano allo stato d’indicazioni. Nella descrizione dello scenario, però, si trovano passaggi illuminanti. Rispondendo alla domanda postagli dal Financial Times il presidente del Consiglio ha detto di non essere in grado d’indicare quale dovrebbe essere il giusto spread, ripetendo che, come per i prezzi, è il mercato a decidere, ma ha aggiunto che nei fondamentali della nostra economia non ci sono ragioni per cui debbano essere così alti. Giusto, ha ragione. Noi lo abbiamo sostenuto fin dall’inizio, quando il salire dello spread era letto come una specie di divina condanna per i nostri peccati. Se i fondamentali non giustificano tale distanza fra i tassi d’interesse che si devono pagare per i debiti pubblici, allora vuol dire che la causa è da un’altra parte. Difatti è nell’euro: nella sua debolezza istituzionale e nella sua incompiutezza politica. Ma se così stanno le cose ne deriva che così stavano fin dall’inizio e che la soluzione non può essere trovata (solo) in misure restrittive e impositive fatte subire ad aziende e cittadini italiani.
E’ un punto decisivo. Monti ha ragione anche quando dice che non si deve dare troppa importanza allo spread, ma sarebbe elegante che lo sostenesse anche per il passato, quando, invece, sembrava essere l’unico termometro utilizzabile. Mentre non solo è inelegante, ma totalmente contraddittorio che abbia cercato di dimostrare che da quando è al governo lo spread è sceso: a. perché non è vero (è sceso rispetto al picco, ma è altissimo); b. perché se la causa non è interna, se i fondamentali sono i medesimi, è come dire che il cambio della guardia ha avuto un valore estetico. Tesi debole, oltre che offensiva.
Altro passaggio importante è quello in cui Monti ha detto che la Banca centrale europea ha diminuito e quasi cessato gli acquisti di titoli dei debiti sovrani. Come a dire: la distanza fra i tassi d’interesse resta alta, è vero, ma prima c’era l’aiuto della Bce, mentre ora no. Proprio in queste ore abbiamo la dimostrazione del contrario: l’asta dei titoli italiani a scadenza semestrale è andata bene, segnando un tutto esaurito; l’asta dei titoli a più lunga scadenza, tenutasi ieri, ha registrato un invenduto pari a 1,5 miliardi. Spiegazione: la Bce ha pompato liquidità nel mercato concedendo alle banche prestiti triennali per 500 miliardi, al tasso dell’1%, le stesse banche comprano titoli a breve scadenza, che offrono come garanzia alla stessa Bce, lucrando (molto) sulla differenza dei tassi e non correndo rischi; quando le scadenze si allungano, però, superando il lasso temporale coperto dal prestito, la domanda scende. Morale: la Bce sta comprando eccome, solo che lo fa per interposte banche.
Ciò nonostante lo spread rimane altissimo, come si spiega? Perché ha ragione il Monti analista, quando chiarisce che la causa di quell’andamento è estranea all’affidabilità e sostenibilità del nostro debito pubblico. Il che, però, dà torto al Monti politico, quando sostiene che lo spread altissimo ha condannato il governo precedente e lui è riuscito a farlo scendere. Sottolineo queste cose non perché ci sia gusto nel segnalare le contraddizioni altrui, ma perché è contraddittoria la situazione nella quale ci troviamo, derivante dal sommarsi di due crisi, una interna e una europea. Quella interna ha origini antiche, segnalate da un calo di competitività, da una bassa crescita e da un alto debito pubblico che convivono, nocivamente, da una ventina d’anni. A questa crisi si deve reagire con riforme che liberino il mercato e con minore pressione fiscale. Poi c’è la crisi dell’euro, che origina dalla crisi del debito covata negli Stati Uniti e che è deflagrata mettendo a nudo l’incredibile fragilità interna della moneta unica.
A questa crisi si può rispondere con maggiore integrazione politica e fiscale, in Europa, e con la diminuzione dei debiti sovrani, il che comporta tagli alla spesa e più tasse. Sono due mali diversi, ma vanno curati contemporaneamente. In ciò consiste la difficoltà politica, mentre non serve a nulla continuare a dire che ci troviamo in questa situazione perché le riforme non sono state fatte prima e per tempo: è vero, e se non fosse vero, del resto, non ci sarebbe un governo commissariale. Monti ha colto il nodo politico nel passaggio in cui ha sostenuto che le riforme per lo sviluppo devono essere fatte nello stesso momento, in modo da scontentare tutti nella stessa misura. E’ quel che qui abbiamo sostenuto fin dal primo momento: se il governo Monti cerca il consenso è finito, mentre è forte nel fare le cose dovute mantenendo un equilibrio del dissenso. La riforma del mercato del lavoro e le liberalizzazioni devono procedere in parallelo. Aggiungo che è non solo opportuno e prudente, ma anche giusto.
Perché a chi perde sicurezze si devono offrire opportunità, a chi perde rendite si devono offrire nuovi mercati. Solo in questo modo si avrà la sensazione di riforme non penitenziali, ma indirizzate alla crescita. Monti, però, si è fermato qui, riservando al governo il tempo per potere formulare proposte concrete. E’ legittimo. Anche la creazione non si esaurì in un solo giorno, pur disponendosi di poteri vasti e possibilità infinite. Ma non sfugga al presidente del Consiglio l’effetto collaterale: più passa il tempo più i veti si solidificano, e già mi pare, ad esempio, che sull’articolo 18 dello statuto dei lavoratori si sia passati dal freno alla marcia indietro.
Procedura pericolosa, perché tutta la forza di Monti sta nel procedere, mentre basta cedere una volta per essere costretti a cedere sempre. A gennaio si terranno gli incontri europei bilaterali. La sede giusta per sostenere due cose: 1. l’Italia non intende pagare per colpa dell’euro; 2. l’Unione deve essere collegiale, gli assi e i bilaterali la portano a morire.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.