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Capitalismo familiare

Successione Merloni. La famiglia decida subito

So che non è facile, ma bisogna avere il coraggio delle decisioni difficile. Quello che non è mai mancato a Vittorio

di Enrico Cisnetto - 16 novembre 2012

La successione generazionale è uno dei problemi che più affliggono il capitalismo italiano. Il passaggio padri-figli è sempre complicato, ma diventa esplosivo quando non viene gestito. E sono ormai numerosi i casi – il più eclatante è quello della famiglia Caprotti di Esselunga – che sono finiti all’attenzione delle cronache. Ora, se non prevarrà il buonsenso, rischia di nascere il “caso Indesit”, visto che Vittorio Merloni, 79 anni, è da tempo affetto da Alzheimer, malattia che lo risparmia sul piano fisico ma purtroppo non sotto quello mentale.

Il fatto è che l’ex presidente di Confindustria conserva l’usufrutto sulle azioni, 20% ciascuno, che i quattro figli (Maria Paola, Andrea, Aristide e Antonella) e la moglie Franca hanno della Fineldo, la finanziaria di famiglia che controlla poco del 44% della Indesit. Per ora la presidenza è nelle mani di Andrea (46 anni), reduce però da una non felice esperienza con il rilancio, fallito, della Benelli. Ma sta per scadere, e la famiglia si trova di fronte a risultati non brillanti e 450 milioni di debiti (tanto che il titolo, pur avendo recuperato dai minimi, è ampiamente penalizzato). Un paio di fratelli sarebbero per una svolta, e così il fratello maggiore di Vittorio, l’ex ministro Francesco (87 anni) che di Indesit ha il secondo pacchetto azionario (7%).

Ora, non sta a me giudicare cosa sia meglio fare. Ma a Vittorio mi ha sempre legato un cordiale rapporto di amicizia, e credo di onorarla se dico che una cosa mi appare certa: se non si affronta di petto la questione, un po’ per pudore nei confronti dell’uomo colpito dalla malattia più subdola e un po’ per la (comprensibile) tutela del figlio cui è toccata la responsabilità gravosa di sostituire il padre, il problema finirà per esplodere. O per l’aggravarsi delle condizioni dell’azienda – d’altronde tutti nel “bianco” stanno maledettamente soffrendo – o per il conflitto che dovesse scoppiare in famiglia. Poi che questo possa significare fare accordi con altri competitor, come qualcuno suggerisce, o trasformare la società non dico in una public company ma in qualcosa di molto meno dipendente dai Merloni, o viceversa trovare equilibri più stabili nella famiglia partendo dalla formalizzazione della malattia di Vittorio, senza inutili anche se capibili pudori, questa è discussione aperta.

Ma a parte i Merloni, ci sono 20 mila dipendenti e altrettante famiglie la cui sorte è legata a questa delicata vicenda. E la conclamata sensibilità sociale di Vittorio mi porta a credere che lui stesso sarebbe il primo, se fosse nelle condizioni di poterlo fare, a procedere nella direzione di un chiarimento per il bene di un gruppo cui ha dedicato una vita di lavoro. So che non è facile, ma bisogna avere il coraggio delle decisioni difficile. Quello che non è mai mancato a Vittorio

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