La malattia europea
Stregoni
Un'Italia più unita sarebbe in grado di cambiare l'attuale situazione dell'Europadi Davide Giacalone - 27 dicembre 2011
Quella di un secondo tempo, nel corso del quale il governo Monti saprà fare quel che non ha fatto, rilanciando l’Italia verso magnifiche sorti e progressive, è un’illusione. Una favola che ci raccontiamo per far finta di non capire quel che accade, o perché davvero non lo si capisce, e si prova a darsi un contegno. Quel che il governo Monti doveva fare lo ha fatto. E non è servito. Non poteva servire, pur dovendosi farlo.
La terapia è sbagliata perché la diagnosi non è reale. E’ frutto di un pregiudizio, di una superstizione, non di analisi e conoscenza. Lo “spread” non è un numero che dica quale che sia cosa circa l’affidabilità del debito pubblico italiano, ma un indice che consegna la misura di quanto sia fragile la struttura istituzionale dell’euro e dell’Unione europea. Da quando è comparso sulla scena, da quando la crisi del debito ha attraversato l’Atlantico e morso le carni europee, lo spread è divenuto un dio pagano, le cui ire e bizze si spera possano placarsi con sacrifici umani.
Idee da selvaggi. Idee, però, che da noi vestono alla moda del perbenismo trinariciuto, seguendo la linea di chi ha sempre avuto sul gozzo la democrazia, con l’assurda pretesa che il popolo sappia scegliere il proprio interesse. Ma vi pare? Qui il popolino votava Berlusconi! L’impresentabile, l’insostenibile, il vergognoso, l’inquisito, il debosciato. Toglietelo di mezzo e vedrete che lo spread si placherà. Uccidete la vergine, sgozzate l’agnello, e vedrete che il dio si quieterà. Imbecilli. Già, ma se Berlusconi fosse rimasto al suo posto, se la coalizione degli ignoranti in cattedra, dei ladri moralisti e dei bugiardi giuranti non avesse trovato nello spread il piede di porco per scardinarlo, sarebbe cambiato qualche cosa? No. Questo è il bello: la nostra partita è irrilevante, perché giocata fuori tempo e fuori campo. Due club di scemi, che si spaccano gli stinchi a vicenda.
Occorrerebbe, invece, che si facesse squadra per giocare il campionato europeo, quello in cui ci stanno prendendo a pedate. La si smetta con l’atteggiamento provincialissimo di chi festeggia il fatto che i “potenti” ci rivolgono la parola e offrono un pranzo. Tanto più che i “potenti” sono i colpevoli di quel che accade. I potenti siamo noi: abbiamo popolo, intelligenza e produzioni quanto basta per contare. Possiamo farlo salvando l’Europa, opponendoci fermamente all’andazzo attuale, che porta tutti al massacro. Abbiamo le carte in regola, perché le cose che scrivevamo un anno fa sono esatte, la diagnosi precisa, la terapia efficace: il malato è l’Europa, sicché si deve passare alla cura drastica della maggiore integrazione, ove non si voglia imboccare la via dell’eutanasia.
Ma da noi è come parlare con il muro, perché in questo Paese di trasformisti a dar lezioni d’europeismo ci sono i vecchi arnesi comunisti che hanno passato la vita a battersi contro l’Europa. So che nessuno lo scrive e qualche ignorante lo nega, ma è così. E lo ripeto, nel modo più ruvido possibile, perché è destinato alla tragedia un Paese che credi di potersi mettere nella mani di un comunista mai divenuto ex e di un professore intento a selezionare i contribuenti da immolare al dio spread. Che, poi, diciamolo: non esiste nemmeno il Paese che si mette nelle loro mani, se non nelle pagine di giornali scritti per lisciare il pelo ad una risicatissima minoranza d’italiani.
I selvaggi che ritengono incivili i propri connazionali, per non dovere guardare l’anello che portano al proprio naso. La malattia europea consiste nel non coincidere di democrazia e potere, nel divorzio fra suffragio popolare e governo degli interessi. Noi ci stiamo comportando, in Italia, come se lo scopo fosse quello di adeguarci a quella malattia, laddove è evidentissimo (e lo sarà nel racconto che faremo a posteriori) che serve l’esatto contrario. Solo che serve in ambito europeo: con partiti, popoli, elettori e istituzioni dell’Unione. Il resto, quel che stiamo praticando, è solo un modo per torturare il corpo malato, indebolendolo con la pretesa di guarirlo. Anche gli stregoni, in fondo, erano “tecnici”.
La terapia è sbagliata perché la diagnosi non è reale. E’ frutto di un pregiudizio, di una superstizione, non di analisi e conoscenza. Lo “spread” non è un numero che dica quale che sia cosa circa l’affidabilità del debito pubblico italiano, ma un indice che consegna la misura di quanto sia fragile la struttura istituzionale dell’euro e dell’Unione europea. Da quando è comparso sulla scena, da quando la crisi del debito ha attraversato l’Atlantico e morso le carni europee, lo spread è divenuto un dio pagano, le cui ire e bizze si spera possano placarsi con sacrifici umani.
Idee da selvaggi. Idee, però, che da noi vestono alla moda del perbenismo trinariciuto, seguendo la linea di chi ha sempre avuto sul gozzo la democrazia, con l’assurda pretesa che il popolo sappia scegliere il proprio interesse. Ma vi pare? Qui il popolino votava Berlusconi! L’impresentabile, l’insostenibile, il vergognoso, l’inquisito, il debosciato. Toglietelo di mezzo e vedrete che lo spread si placherà. Uccidete la vergine, sgozzate l’agnello, e vedrete che il dio si quieterà. Imbecilli. Già, ma se Berlusconi fosse rimasto al suo posto, se la coalizione degli ignoranti in cattedra, dei ladri moralisti e dei bugiardi giuranti non avesse trovato nello spread il piede di porco per scardinarlo, sarebbe cambiato qualche cosa? No. Questo è il bello: la nostra partita è irrilevante, perché giocata fuori tempo e fuori campo. Due club di scemi, che si spaccano gli stinchi a vicenda.
Occorrerebbe, invece, che si facesse squadra per giocare il campionato europeo, quello in cui ci stanno prendendo a pedate. La si smetta con l’atteggiamento provincialissimo di chi festeggia il fatto che i “potenti” ci rivolgono la parola e offrono un pranzo. Tanto più che i “potenti” sono i colpevoli di quel che accade. I potenti siamo noi: abbiamo popolo, intelligenza e produzioni quanto basta per contare. Possiamo farlo salvando l’Europa, opponendoci fermamente all’andazzo attuale, che porta tutti al massacro. Abbiamo le carte in regola, perché le cose che scrivevamo un anno fa sono esatte, la diagnosi precisa, la terapia efficace: il malato è l’Europa, sicché si deve passare alla cura drastica della maggiore integrazione, ove non si voglia imboccare la via dell’eutanasia.
Ma da noi è come parlare con il muro, perché in questo Paese di trasformisti a dar lezioni d’europeismo ci sono i vecchi arnesi comunisti che hanno passato la vita a battersi contro l’Europa. So che nessuno lo scrive e qualche ignorante lo nega, ma è così. E lo ripeto, nel modo più ruvido possibile, perché è destinato alla tragedia un Paese che credi di potersi mettere nella mani di un comunista mai divenuto ex e di un professore intento a selezionare i contribuenti da immolare al dio spread. Che, poi, diciamolo: non esiste nemmeno il Paese che si mette nelle loro mani, se non nelle pagine di giornali scritti per lisciare il pelo ad una risicatissima minoranza d’italiani.
I selvaggi che ritengono incivili i propri connazionali, per non dovere guardare l’anello che portano al proprio naso. La malattia europea consiste nel non coincidere di democrazia e potere, nel divorzio fra suffragio popolare e governo degli interessi. Noi ci stiamo comportando, in Italia, come se lo scopo fosse quello di adeguarci a quella malattia, laddove è evidentissimo (e lo sarà nel racconto che faremo a posteriori) che serve l’esatto contrario. Solo che serve in ambito europeo: con partiti, popoli, elettori e istituzioni dell’Unione. Il resto, quel che stiamo praticando, è solo un modo per torturare il corpo malato, indebolendolo con la pretesa di guarirlo. Anche gli stregoni, in fondo, erano “tecnici”.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.