L'incubo del “ricatto del debito sovrano”
Stimoli italiani
Le riforme necessarie per non finire come la Greciadi Enrico Cisnetto - 30 aprile 2010
E’ comprensibile, e pure opportuno, che il governo italiano si esprima e si comporti in modo rassicurante intorno al “caso Grecia” e ai suoi possibili effetti di contagio. Per questo, è bene che si metta mano al portafoglio senza alcun mugugno per pagare la nostra quota parte del salvataggio, è bene che si tranquillizzino i mercati assumendo un profilo moderato, ed è inevitabile che si dica anche qualche bugia per indurre l’opinione pubblica a non farsi prendere dal panico pensando che l’Italia possa essere una delle prossime vittime del “ricatto del debito sovrano”.
Ma tutto questo non toglie che, in realtà, l’Italia corra seri pericoli. Per carità, so che si potrebbero elencare i non pochi motivi, a cominciare da un rapporto deficit-pil molto più contenuto, per cui la nostra situazione è significativamente diversa rispetto a quella della Grecia e pure degli altri paesi indiziati di possibile contagio – nell"ordine Portogallo, Irlanda e Spagna – così come non mi sfugge il peso del fatto che il paese disponga di un patrimonio privato molto rilevante ancorché declinante (si stima sia intorno ai 7 mila miliardi, contro i 1800 di debito pubblico, ma era circa 10.500 miliardi prima della crisi iniziata nella seconda metà del 2007), seppure non sia automatico per i mercati fare la somma algebrica dei due valori. Ma so anche che altri indicatori potrebbero indurre a fare valutazioni diverse. Per esempio, il rapporto tra il debito e il pil è per noi come per la Grecia intorno al 116%, mentre gli altri paesi in difficoltà sono tutti sotto la media Ue (78,7%) con una punta minima del 53% della Spagna. Inoltre il nostro debito è il più grande in valore assoluto, e non c’è dubbio che intervenire per fronteggiare un buco apertosi su un debito di 250 miliardi (Grecia) è altra cosa che farlo per uno sette volte più grande.
Tuttavia, il tema non è misurare i plus e minus dei nostri conti pubblici nel confronto con quelli di altri membri del club dell’euro. I mercati, cioè chi ha in mano le sorti dei debiti sovrani perché ne valuta il rischio ogni momento, non ragionano così. E’ chiaro che la speculazione, brandendo l’arma impropria dei rating, oggi ha deciso che è interessante premere sulla Grecia, naturalmente essendocene i presupposti. Ma è altrettanto chiaro che l’oggetto vero della speculazione è l’euro, e ciò che viene misurato è la capacità di tenuta solidale dell’eurosistema.
Per questo non c’è alcuna garanzia che dopo o insieme alla Grecia, tra i paesi che possono essere attaccati, non ci sia l’Italia. Anzi, tanto è più vero che l’obiettivo è Eurolandia, tanto più è probabile che dopo essersi aperta la strada attaccando paesi piccoli, la speculazione aggredisca i paesi più grandi e quindi maggiormente in grado di mandare in tilt il sistema. Per questo, al di là dell’ostentazione di tranquillità e fiducia – ripeto: assolutamente necessaria – bisogna che il governo italiano si predisponga al peggio. Prima di tutto facendo un salutare bagno di consapevolezza – materia prima rara, tranne alcune eccezioni – e poi predisponendosi con coraggio e fantasia a fare alcune scelte atte a prevenire (cosa notoriamente meno dolorosa del curare).
Quali? Sicuramente le famose riforme strutturali. Ergo, quegli interventi che, soli, assicurano contemporaneamente il risanamento della finanza pubblica e la creazione di un vero “tesoretto” per gli investimenti, indispensabili per il rilancio dell’economia. Cioè le due mosse, risanamento e sviluppo, che rappresentano l’unico baluardo per evitare l’attacco speculativo dei mercati.
I quali, è bene metterselo in testa, s’insinuano in ogni fessura che si crea nella concatenazione dei tempi nelle soluzioni delle crisi. Dunque, dopo aver ostentato tranquillità e fiducia, il premier dovrebbe andare in televisione ad annunciare che il governo intende portare l’età pensionabile a 67 anni (in attesa che l’Europa si decida a fare una Maastricht della previdenza per uniformare tutti i paesi, magari a 70 anni), che intende produrre un severo controllo commissariale accentrato della spesa sanitaria, che procede ad abolire le province e più in generale a snellire l’elefantiaco assetto del decentramento amministrativo – mettendo in conto una quota di licenziamenti – e infine che predisporrà lo strumento attraverso il quale ridurre una tantum il debito, e quindi gli interessi passivi, partendo dalla proposta del professor Guarino circa la costituzione di una società pubblica da quotare in Borsa a cui conferire tutti i beni, mobili e immobili, posseduti dallo Stato e dagli enti locali. Troppo impopolare? Sempre meno delle misure che saremmo costretti a prendere se….
Ma tutto questo non toglie che, in realtà, l’Italia corra seri pericoli. Per carità, so che si potrebbero elencare i non pochi motivi, a cominciare da un rapporto deficit-pil molto più contenuto, per cui la nostra situazione è significativamente diversa rispetto a quella della Grecia e pure degli altri paesi indiziati di possibile contagio – nell"ordine Portogallo, Irlanda e Spagna – così come non mi sfugge il peso del fatto che il paese disponga di un patrimonio privato molto rilevante ancorché declinante (si stima sia intorno ai 7 mila miliardi, contro i 1800 di debito pubblico, ma era circa 10.500 miliardi prima della crisi iniziata nella seconda metà del 2007), seppure non sia automatico per i mercati fare la somma algebrica dei due valori. Ma so anche che altri indicatori potrebbero indurre a fare valutazioni diverse. Per esempio, il rapporto tra il debito e il pil è per noi come per la Grecia intorno al 116%, mentre gli altri paesi in difficoltà sono tutti sotto la media Ue (78,7%) con una punta minima del 53% della Spagna. Inoltre il nostro debito è il più grande in valore assoluto, e non c’è dubbio che intervenire per fronteggiare un buco apertosi su un debito di 250 miliardi (Grecia) è altra cosa che farlo per uno sette volte più grande.
Tuttavia, il tema non è misurare i plus e minus dei nostri conti pubblici nel confronto con quelli di altri membri del club dell’euro. I mercati, cioè chi ha in mano le sorti dei debiti sovrani perché ne valuta il rischio ogni momento, non ragionano così. E’ chiaro che la speculazione, brandendo l’arma impropria dei rating, oggi ha deciso che è interessante premere sulla Grecia, naturalmente essendocene i presupposti. Ma è altrettanto chiaro che l’oggetto vero della speculazione è l’euro, e ciò che viene misurato è la capacità di tenuta solidale dell’eurosistema.
Per questo non c’è alcuna garanzia che dopo o insieme alla Grecia, tra i paesi che possono essere attaccati, non ci sia l’Italia. Anzi, tanto è più vero che l’obiettivo è Eurolandia, tanto più è probabile che dopo essersi aperta la strada attaccando paesi piccoli, la speculazione aggredisca i paesi più grandi e quindi maggiormente in grado di mandare in tilt il sistema. Per questo, al di là dell’ostentazione di tranquillità e fiducia – ripeto: assolutamente necessaria – bisogna che il governo italiano si predisponga al peggio. Prima di tutto facendo un salutare bagno di consapevolezza – materia prima rara, tranne alcune eccezioni – e poi predisponendosi con coraggio e fantasia a fare alcune scelte atte a prevenire (cosa notoriamente meno dolorosa del curare).
Quali? Sicuramente le famose riforme strutturali. Ergo, quegli interventi che, soli, assicurano contemporaneamente il risanamento della finanza pubblica e la creazione di un vero “tesoretto” per gli investimenti, indispensabili per il rilancio dell’economia. Cioè le due mosse, risanamento e sviluppo, che rappresentano l’unico baluardo per evitare l’attacco speculativo dei mercati.
I quali, è bene metterselo in testa, s’insinuano in ogni fessura che si crea nella concatenazione dei tempi nelle soluzioni delle crisi. Dunque, dopo aver ostentato tranquillità e fiducia, il premier dovrebbe andare in televisione ad annunciare che il governo intende portare l’età pensionabile a 67 anni (in attesa che l’Europa si decida a fare una Maastricht della previdenza per uniformare tutti i paesi, magari a 70 anni), che intende produrre un severo controllo commissariale accentrato della spesa sanitaria, che procede ad abolire le province e più in generale a snellire l’elefantiaco assetto del decentramento amministrativo – mettendo in conto una quota di licenziamenti – e infine che predisporrà lo strumento attraverso il quale ridurre una tantum il debito, e quindi gli interessi passivi, partendo dalla proposta del professor Guarino circa la costituzione di una società pubblica da quotare in Borsa a cui conferire tutti i beni, mobili e immobili, posseduti dallo Stato e dagli enti locali. Troppo impopolare? Sempre meno delle misure che saremmo costretti a prendere se….
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.