I tagli alle forze militari
Spesa armata
Togliere l'Italia dalla partecipazione alle missioni internazionali vuol dire far emergere solo il tema del debito pubblicodi Davide Giacalone - 03 gennaio 2012
Tagliamo le spese militari, dicono taluni, rinunciamo ad ammodernare e rafforzare le nostre forze armate, talché l’austerità s’affermi senza confini. Da ultimo è giunto Antonio Di Pietro, oltre tutto lamentando il fatto che si spenda meno per il servizio civile, quindi adottando il paradigma culturale dei pacifismi insulsi e multicolori, pronti ad adattarsi alla policromia del pensiero senza idee. Invece quella è la strada del suicidio nazionale: l’Italia esiste, sulla scena internazionale, anche in ragione della propria forza militare.
In una visione meramente contabile del bilancio pubblico il discorso è presto fatto: si tagliano le spese ed ecco realizzato il miracolo del riequilibrio. Le spese subito amputabili sono quelle relative agli investimenti, tanto più che le stesse forze politiche sono pronte ad opporsi alla contrazione delle spese correnti: ieri Di Pietro ha ricordato che la diminuzione delle spese per il personale, ottenibile con la rinuncia a parte delle persone che lavorano in quel settore, equivale a colpire gli interessi delle loro famiglie. No, cento volte meglio tagliare gli investimenti. Ed è esattamente questa la politica più adatta per generare la miseria e, in questo caso, propiziare la debolezza: continuare a spendere per mantenere la parte corrente dell’esistente, rinunciando ad investire per crescere e rafforzarsi. E’ il peggiore degli errori, sempre. Ora vediamo perché sarebbe esiziale nel settore militare.
Le nostre forze armate hanno reparti d’eccellenza, sopravvissuti da una lunga contrazione della spesa complessiva e generati da una straordinaria riqualificazione professionale del personale. I nostri militari sono fra i migliori al mondo. Cosa di cui non solo siamo orgogliosi, ma che ci giova non poco nel rendere rilevante il nostro peso internazionale. Togliete all’Italia la partecipazione alle missioni internazionali, toglietele il coraggio dei giovani militari, la forza delle proprie armi, l’addestramento di prima qualità e di noi tutti, sulla scena mondiale, resterà il debito pubblico e le difficoltà finanziarie. Non si tratta di una faccenda estetica, ma di sostanza. Ne scrivevamo giusto ieri: agli occhi degli Stati Uniti l’Italia non è un qualsiasi Paese europeo, ma il partner politico e militare che ha assicurato tante indispensabili coperture. Cancelliamo tutto ciò, e poi godiamoci lo spettacolo del precipitare nell’irrilevanza. Il che nuoce non solo alla salute politica, ma prepotentemente quella economica.
Quanti non perdono occasione per chiedere il taglio delle spese militari pensano che il nostro Paese sia in condizioni di così granitica sicurezza? Si sbagliano. Dovremmo regalare loro una cartina geografica. Mentre noi tutti dovremmo imparare a raccontare le nostre missioni all’estero non solo sotto la luce del coraggio individuale, o del buon rapporto costruito con le popolazioni locali, o, infine, sotto quella luttuosa degli scontri che portano via vite umane, dovremmo raccontare meglio il contributo che quelle missioni danno alla difesa dei nostri interessi nazionali. Anche lontano dallo specifico teatro d’intervento. Detto ciò, naturalmente, non solo la spesa può essere migliorata, ma è sempre vero che in quella corrente (non in quella per investimenti) si nascondono sacche di sprechi e inefficienze. Buone ragioni per interventi informati e non casuali.
Anche gli investimenti possono essere discussi (l’ultima polemica si riferisce all’acquisto di 131 caccia F35, molto costosi), perché non basta dire “investimento” per significare cosa buona e giusta. Ma senza mai dimenticare di cosa, complessivamente, si sta parlando: rafforzare la copertura aerea è ciò che espone meno al pericolo la vita dei militari. Lo tenga a memoria chi poi è pronto a piangere lacrime inutili quando tornano a casa le bare, magari aggiungendo che quelle vite sarebbero state risparmiate ove la nostra forza fosse stata meglio amministrata. Ecco, appunto, è questo il caso delle scelte da farsi: se si tagliano gli investimenti o si ritirano le truppe o si mandano quei ragazzi al massacro. Due eventualità inaccettabili.
Ho sempre pensato sia un errore mettere giudici e avvocati alla giustizia, medici alla sanità, diplomatici agli esteri e militari alla difesa. Perché le scelte del governo sono sempre politiche, sebbene non per questo sia giustificata l’ignoranza tecnica. Per questo il presidente del Consiglio farebbe bene ad avocare a sé la materia, esaltandone il valore collettivo e cancellandone il peso settoriale.
In una visione meramente contabile del bilancio pubblico il discorso è presto fatto: si tagliano le spese ed ecco realizzato il miracolo del riequilibrio. Le spese subito amputabili sono quelle relative agli investimenti, tanto più che le stesse forze politiche sono pronte ad opporsi alla contrazione delle spese correnti: ieri Di Pietro ha ricordato che la diminuzione delle spese per il personale, ottenibile con la rinuncia a parte delle persone che lavorano in quel settore, equivale a colpire gli interessi delle loro famiglie. No, cento volte meglio tagliare gli investimenti. Ed è esattamente questa la politica più adatta per generare la miseria e, in questo caso, propiziare la debolezza: continuare a spendere per mantenere la parte corrente dell’esistente, rinunciando ad investire per crescere e rafforzarsi. E’ il peggiore degli errori, sempre. Ora vediamo perché sarebbe esiziale nel settore militare.
Le nostre forze armate hanno reparti d’eccellenza, sopravvissuti da una lunga contrazione della spesa complessiva e generati da una straordinaria riqualificazione professionale del personale. I nostri militari sono fra i migliori al mondo. Cosa di cui non solo siamo orgogliosi, ma che ci giova non poco nel rendere rilevante il nostro peso internazionale. Togliete all’Italia la partecipazione alle missioni internazionali, toglietele il coraggio dei giovani militari, la forza delle proprie armi, l’addestramento di prima qualità e di noi tutti, sulla scena mondiale, resterà il debito pubblico e le difficoltà finanziarie. Non si tratta di una faccenda estetica, ma di sostanza. Ne scrivevamo giusto ieri: agli occhi degli Stati Uniti l’Italia non è un qualsiasi Paese europeo, ma il partner politico e militare che ha assicurato tante indispensabili coperture. Cancelliamo tutto ciò, e poi godiamoci lo spettacolo del precipitare nell’irrilevanza. Il che nuoce non solo alla salute politica, ma prepotentemente quella economica.
Quanti non perdono occasione per chiedere il taglio delle spese militari pensano che il nostro Paese sia in condizioni di così granitica sicurezza? Si sbagliano. Dovremmo regalare loro una cartina geografica. Mentre noi tutti dovremmo imparare a raccontare le nostre missioni all’estero non solo sotto la luce del coraggio individuale, o del buon rapporto costruito con le popolazioni locali, o, infine, sotto quella luttuosa degli scontri che portano via vite umane, dovremmo raccontare meglio il contributo che quelle missioni danno alla difesa dei nostri interessi nazionali. Anche lontano dallo specifico teatro d’intervento. Detto ciò, naturalmente, non solo la spesa può essere migliorata, ma è sempre vero che in quella corrente (non in quella per investimenti) si nascondono sacche di sprechi e inefficienze. Buone ragioni per interventi informati e non casuali.
Anche gli investimenti possono essere discussi (l’ultima polemica si riferisce all’acquisto di 131 caccia F35, molto costosi), perché non basta dire “investimento” per significare cosa buona e giusta. Ma senza mai dimenticare di cosa, complessivamente, si sta parlando: rafforzare la copertura aerea è ciò che espone meno al pericolo la vita dei militari. Lo tenga a memoria chi poi è pronto a piangere lacrime inutili quando tornano a casa le bare, magari aggiungendo che quelle vite sarebbero state risparmiate ove la nostra forza fosse stata meglio amministrata. Ecco, appunto, è questo il caso delle scelte da farsi: se si tagliano gli investimenti o si ritirano le truppe o si mandano quei ragazzi al massacro. Due eventualità inaccettabili.
Ho sempre pensato sia un errore mettere giudici e avvocati alla giustizia, medici alla sanità, diplomatici agli esteri e militari alla difesa. Perché le scelte del governo sono sempre politiche, sebbene non per questo sia giustificata l’ignoranza tecnica. Per questo il presidente del Consiglio farebbe bene ad avocare a sé la materia, esaltandone il valore collettivo e cancellandone il peso settoriale.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.