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Gli affari di Enel e Alitalia con i russi

Silvio, Putin e la democrazia

Ci voleva la piazza e Berlusconi per accorgersi che nell’ex-Urss di democratico c’è poco

di Davide Giacalone - 16 aprile 2007

Quando l’Enel ha dato l’annuncio d’essersi aggiudicata un pezzo della russa Yukos feci notare (5 aprile) che quell’operazione sarebbe stata impossibile senza la liquidazione di Khodorkovsky, effettuata dal governo Putin senza troppi riguardi per il diritto e, quindi, senza che noi si sia coinvolti in quell’azione. A dirlo me ne rimasi solo soletto, mentre da ogni parte si usavano i toni della festa e del compiacimento.

E quando feci notare che l’idea di vendere l’Alitalia all’Aereoflot equivale a statalizzare in Russia quel che si privatizza in Italia, non mi è sembrato di cogliere un particolare interesse nel governo italiano dove, al contrario, ben due ministri si sono detti disponibili a cambiare in corsa le regole del gioco, pur di favorire i russi. Citai, allora, non i pericoli del comunismo (che non c’è più), ma quelli del nazionalismo e dell’espansionismo, che hanno radici più antiche e padri del calibro di Pietro il grande. Sono bastate un paio di manifestazioni di piazza, con relative cariche della polizia, ed un viaggio di Berlusconi per incontrare “l’amico Putin”, che per l’occasione indossava un completino nero e scravattato da icona mafiosa contemporanea, per far girare il vento e trovare i giornali ed il ministro degli esteri in sintonia nell’interrogarsi sulla minaccia russa. Dieci giorni addietro facevamo affari grazie al “regime” ed alla sua capacità di distruggere gli oppositori. Dieci giorni dopo c’impressiona il medesimo “regime”. Vabbé che la coerenza è divenuta un optional e la precisione d’analisi un inutile di più, ma è troppo e troppo in fretta per essere tollerato.

Berlusconi si è spinto a dire che Putin è un sincero democratico. Non saprei di lui personalmente, ma il problema della democrazia, in Russia, è che non ha radici storiche. Lasciamo perdere il lungo regno comunista e sovietico, per sua natura dittatoriale ed aggressivo, ma anche nel passato c’è poco che possa dirsi di natura democratica. La fine del comunismo si è accompagnata ad una ancora non chiara vicenda golpista, poi ad una stagione Eltsin, dove dominavano i buoni rapporti con l’Occidente, ma anche la corruzione e la spartizione dei beni imperiali.

A Putin non può essere rimproverato l’essere stato uomo del Kgb, perché è normale che la classe dirigente venga da quel passato (cui appartenevano anche Gorbaciov e Elstin). E non si deve far finta di non sapere che è conveniente per l’Occidente che la Russia, grande potenza nucleare e portentoso esportatore di materie prime strategiche, sia nelle mani di un autocrate pragmatico e non bellicoso. Ma è un’illusione pericolosa il credere che la grande forza di quel Paese, la costante storica del suo espansionismo, non si trasformino (o non si stiano trasformando) in altrettante pressioni politiche per tornare al suo ruolo imperiale.

Le manifestazioni di piazza sono il sintomo, naturalmente, del dissenso, ma anche del fatto che può essere espresso. Ed è una buona cosa. La repressione non è bella, ma neanche estranea alle nostre piazze. E gli arresti non sono belli, ma si sono risolti in poche ore. Non sono questi, insomma, i sintomi più preoccupanti. Semmai è l’atteggiamento del governo nei confronti della stampa, il fatto che i gruppi organizzati del dissenso siano costretti ad operare dall’estero, il fatto che possano morire le persone che, a torto od a ragione, rivolgono al governo accuse pesanti. Di fronte a tutto questo le democrazie occidentali non possono avere un atteggiamento d’esclusiva ripulsa e condanna, ed è chiaro a tutti noi che è necessario ed opportuno il mantenimento del dialogo, che sul terreno della politica estera ha dato anche buoni frutti. Ma sarebbe rilevante avere un atteggiamento comune, una comune consapevolezza dei pericoli. Questo manca, e per rendersene conto basterà osservare il modo in cui ciascuno interpreta il mercato in assenza di regole, il modo in cui ciascuno cerca di approfittare del potere governativo per fare affari. Vale per noi, ma vale anche per i tedeschi od i francesi. Noi, poi, continuiamo a tenere in galera un signore accusato di avere calunniato una ex spia del Kgb, essendo dimostrato che quella stessa persona, Mario Scaramella, ha avuto rapporti di confidenza e rispetto con protagonisti importanti e seri sia del dissenso verso il comunismo che del dissenso verso Putin. Sulle accuse che gli vengono rivolte non saprei cosa dire, sul modo in cui è trattato manifesto fortissime perplessità.

Un Paese democratico si comporta diversamente, a cominciare dal fatto che dovrebbe chiedere il disvelamento degli archivi sovietici e della rete di complicità che nel nostro Paese operò con soldi e con armi, non, al contrario, far di tutto perché su questo capitolo oscuro non piombi la luce della ricerca storica. Della Russia di Putin non si può parlare compiutamente nella sintesi di un intervento, ma è possibile e doveroso mettere in evidenza la contraddittorietà del nostro comportamento, sintomo, questo sì, di una preoccupante debolezza a fronte di una forza che rimonta ed intende farsi valere.

www.davidegiacalone.it

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