Il mondo segue l'agonia del premier israeliano
Sharon abbandona la storia
Compromesso il processo di pace? E chi vincerà le elezioni di marzo?di Davide Giacalone - 05 gennaio 2006
In un momento come questo viene voglia di sperare che la storia possa camminare su gambe proprie, seguendo un tracciato, magari un destino, in ogni caso che sappia cavarsela da sola. Invece la storia cammina sulle gambe degli uomini, di quanti con il loro pensiero e con la loro azione danno espressione ad una volontà collettiva, o si collocano sulla diagonale delle forze. La storia del Medio Oriente, oggi, stava camminando sulle gambe di Ariel Sharon, e quelle gambe si sono spezzate. Non è ancora morto, magari non morirà subito, ma questo militare abituato a star dove piovono le bombe non può certo esercitare la propria funzione fuori dalla mischia. La storia aveva preso a camminare sulle sue gambe non quando era un vittorioso generale delle guerre israeliane, non quando aveva spinto l’esercito fino a Beirut, non quando aveva lanciato la sfida con la passeggiata alla spianata delle moschee, scatenando l’intifada, non quando aveva vinto le elezioni, ma quando aveva capito che si era creata una condizione unica, che l’intervento armato delle democrazie contro l’Iraq e la condanna del fondamentalismo islamico da parte di tutto il mondo civile aprivano la strada non alla vittoria sul popolo palestinese, ma al riconoscimento pacifico dei suoi diritti. In quel momento Aric è divenuto interprete della storia. In Israele furono in molti a trattarlo da traditore e, come spesso capita nelle democrazie, alle accuse politiche si mescolano quelle penali, con l’accusa di aver preso tangenti ed altre varie faccende che nella storia non entreranno mai. Lui tirò dritto, forzò il ritiro delle colonie dalla striscia di Gaza, spaccò il Likud, in questo modo spaccando anche i laburisti, e fondò Kadima,l’Avanti. Le elezioni si terranno a marzo, vedremo come andranno, tutti resteremo convinti che le avrebbe vinte Sharon. Capì che dove il dialogo fra Barak ed Arafat era fallito, ora si poteva riuscire, e per riuscire si doveva dare forza al leader dell’Anp, renderlo capace di resistere alle pressioni guerrafondaie e terroriste di Hamas. Ed è a questo punto che lascia il campo di battaglia. Lascia Israele sgomento, credo anche in quei settori che lo avversarono con forza, ma che sapevano che il timone nelle sue mani non avrebbe ceduto nulla ai marosi. Lascia i palestinesi con la troppo grande responsabilità di essere artefici del loro destino immediato, nel mentre chi si oppone alla violenza è costretto a chiedere un rinvio delle elezioni. Lascia un vicario, ma non un erede. Ecco perché piacerebbe credere che la storia, cui la direzione di marcia è già stata indicata, sappia andare avanti da sola. Ma per farlo dovrà trovare altre gambe, e speriamo che sia possibile.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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