Ridiscutere i diritti acquisiti
Senza lavoro e senza pensione
I dati Istat sono allarmanti: disoccupazione al 12,2% e record tra i 15-24enni (40,1%). Il sistema così non funzionadi Davide Giacalone - 02 ottobre 2013
Eccoci giunti all’esaltante bivio: tenersi un governo inutile e immobile o aprire una crisi inutile e immobilizzante. Il gran clamore attorno all’insulso dilemma, i cui contorni sono chiari da tempo e qui descritti quando ancora ci raccontavano la favoletta della stabilità e degli accordi, tende a distrarre la vita politica. Suppongono sia rilevante il loro scontro e perdono di vista la perdita di consensi. Che li travolge singolarmente e collettivamente. La disoccupazione giovanile, nella fascia d’età 15-25, ha superato il 40%. In quell’età i giovani che non lavorano sono, naturalmente, assai di più, ma fra quelli che cercano di farlo più del 40% rimane fuori. A loro, come ai disoccupati di ogni età, dobbiamo dire che: a. senza ripresa non ci sarà lavoro; b. con una ripresa dello zero virgola i disoccupati aumenteranno. I giovani che un lavoro lo hanno trovato, intanto, che sia stabile o temporaneo, devono subire una pressione fiscale smodata e una pressione contributiva destinata a pagare il costo di pensioni che loro non avranno mai. Non c’è da stupirsi se non s’affollano al ciglio del bivio, per vedere come va a finire, giacché troppo presi dalla condizione in cui sono finiti.
Le conseguenze di quella condizione, sia in termini economici che di riconoscimento democratico, sono talmente devastanti da imporre di rimettere in discussione anche i diritti acquisiti. Lo so che è una bestemmia, ma è ipocritamente incosciente far finta che non sia così. La teoria dei diritti acquisiti (in sintesi: chi ha è giusto che se lo tenga e per gli altri si tratta di conquistarlo) ha retto finché è stata realistica la speranza degli esclusi di potervi accedere: oggi le protezioni offerte agli latri non mi tutelano, ma spero di trovarmi domani fra i protetti. Con la riforma delle pensioni è stato sancito che non è così: puoi fare quello che vuoi, puoi avere successo quanto ti pare, o, all’opposto, puoi rimanere indietro quanto ti capita, ma le protezioni dei pensionati odierni non le avrai mai. E fin qui, ci si può anche stare. Il fatto è che devi comunque pagare per mantenere i diritti acquisiti degli altri. E’ questo uno dei fattori che rende non competitivo il Paese, uno degli elementi che tiene alto il costo del lavoro (pur essendo basso il salario), contribuendo alacremente a far crescere la disoccupazione.
Il nostro è un Paese in cui la metà del prodotto interno lordo è dato da spesa pubblica, e in cui un lavoratore protetto, anche dalla spesa pubblica (nella quale rientra la cassa integrazione), si trova in ogni famiglia. Più o meno. Questo fa sì che i diritti acquisiti ancora redistribuiscano ricchezza, visto che i nostri legami familiari non sono certo paragonabili a quelli anglosassoni. I nonni aiutano i nipoti, i padri aiutano i figli a loro volta divenuti genitori. Mano a mano che i più vecchi moriranno, però, ai più giovani resta la povertà e viene a mancare il trasferimento. La teoria dei diritti acquisiti, quindi, è la premessa della negazione dei diritti. Reggeva con l’economia in crescita, mentre si schianta in una così lunga recessione.
L’opinione pubblica è colpita da alcune pensioni, che non solo sono atrocemente ricche, ma anche multiple. Una vergogna. Ma pochi considerano che più del 90% delle pensioni attualmente in pagamento sono sproporzionate rispetto al capitale versato. La differenza ce la mettono quelli che non avranno la pensione, se non ridotta a spiccioli. E’ il massimo dell’ingiustizia. La soluzione non è tagliare le pensioni ricche (se frutto dei versamenti fatti sono meritate), ma, in modo proporzionale, quelle più ricche del dovuto. Ripeto: so che è una bestemmia. E so anche che la Corte costituzionale è pronta a bocciare ogni passo in tal senso. Ma, agendo in questo modo, non tutelano i diritti collettivi, bensì solo quelli dei garantiti.
Chi, fra le forze politiche, di destra e di sinistra, di sopra e di sotto, ha qualche cosa da dire a quel 40% di disoccupati? Biascicano cretinate del tipo: è un problema centrale, una priorità, si deve intervenire, c’è una generazione persa e così via vaniloquiando. Si obietta che nessuno ha il consenso necessario per porre un problema di questo tipo. Perché nessuno ha lucidità e idee: si riducano le pensioni parlamentari in pagamento, portandole subito ai contributi versati; valga la stessa cosa per la magistratura e l’alta burocrazia; così come anche per tutto il settore dell’impresa pubblica; poi si avrà la forza e la dignità per modificare il resto. Oppure no, restiamo a palloccolarci nel nulla, così queste cose le faranno dopo averci commissariato.
Le conseguenze di quella condizione, sia in termini economici che di riconoscimento democratico, sono talmente devastanti da imporre di rimettere in discussione anche i diritti acquisiti. Lo so che è una bestemmia, ma è ipocritamente incosciente far finta che non sia così. La teoria dei diritti acquisiti (in sintesi: chi ha è giusto che se lo tenga e per gli altri si tratta di conquistarlo) ha retto finché è stata realistica la speranza degli esclusi di potervi accedere: oggi le protezioni offerte agli latri non mi tutelano, ma spero di trovarmi domani fra i protetti. Con la riforma delle pensioni è stato sancito che non è così: puoi fare quello che vuoi, puoi avere successo quanto ti pare, o, all’opposto, puoi rimanere indietro quanto ti capita, ma le protezioni dei pensionati odierni non le avrai mai. E fin qui, ci si può anche stare. Il fatto è che devi comunque pagare per mantenere i diritti acquisiti degli altri. E’ questo uno dei fattori che rende non competitivo il Paese, uno degli elementi che tiene alto il costo del lavoro (pur essendo basso il salario), contribuendo alacremente a far crescere la disoccupazione.
Il nostro è un Paese in cui la metà del prodotto interno lordo è dato da spesa pubblica, e in cui un lavoratore protetto, anche dalla spesa pubblica (nella quale rientra la cassa integrazione), si trova in ogni famiglia. Più o meno. Questo fa sì che i diritti acquisiti ancora redistribuiscano ricchezza, visto che i nostri legami familiari non sono certo paragonabili a quelli anglosassoni. I nonni aiutano i nipoti, i padri aiutano i figli a loro volta divenuti genitori. Mano a mano che i più vecchi moriranno, però, ai più giovani resta la povertà e viene a mancare il trasferimento. La teoria dei diritti acquisiti, quindi, è la premessa della negazione dei diritti. Reggeva con l’economia in crescita, mentre si schianta in una così lunga recessione.
L’opinione pubblica è colpita da alcune pensioni, che non solo sono atrocemente ricche, ma anche multiple. Una vergogna. Ma pochi considerano che più del 90% delle pensioni attualmente in pagamento sono sproporzionate rispetto al capitale versato. La differenza ce la mettono quelli che non avranno la pensione, se non ridotta a spiccioli. E’ il massimo dell’ingiustizia. La soluzione non è tagliare le pensioni ricche (se frutto dei versamenti fatti sono meritate), ma, in modo proporzionale, quelle più ricche del dovuto. Ripeto: so che è una bestemmia. E so anche che la Corte costituzionale è pronta a bocciare ogni passo in tal senso. Ma, agendo in questo modo, non tutelano i diritti collettivi, bensì solo quelli dei garantiti.
Chi, fra le forze politiche, di destra e di sinistra, di sopra e di sotto, ha qualche cosa da dire a quel 40% di disoccupati? Biascicano cretinate del tipo: è un problema centrale, una priorità, si deve intervenire, c’è una generazione persa e così via vaniloquiando. Si obietta che nessuno ha il consenso necessario per porre un problema di questo tipo. Perché nessuno ha lucidità e idee: si riducano le pensioni parlamentari in pagamento, portandole subito ai contributi versati; valga la stessa cosa per la magistratura e l’alta burocrazia; così come anche per tutto il settore dell’impresa pubblica; poi si avrà la forza e la dignità per modificare il resto. Oppure no, restiamo a palloccolarci nel nulla, così queste cose le faranno dopo averci commissariato.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.