Mentre la Finanziaria stenta a delinearsi
Se non è declino questo, cos'è?
Il problema principale è come invertire la tendenza negativa dell'economia nazionaledi Elio Di Caprio - 05 settembre 2006
Secondo Bini Smaghi, autorevole membro italiano del board della Banca Centrale Europea, ( vedi intervista al Corriere della Sera del 5 settembre) il governo italiano dovrebbe avere come obbiettivo e subito, se vuole far ripartire la nostra economia, un deficit inferiore al 3% del PIL. Altrimenti il nostro risanamento sarebbe effimero e non avrebbe alcun effetto permanente.
Intanto, per far fronte ai problemi contingenti, si pensa di finanziare le spese della spedizione militare italiana in Libano, valutate in 219 milioni di euro, facendo ricorso alle maggiori entrate fiscali non previste, lasciate in eredità dal governo di centro-destra della scorsa legislatura.
Come succede ormai da anni a tutti i governi per ogni Legge Finanziaria, anche il governo Prodi è costretto ad arrabattarsi per conciliare i vari interessi corporativi che temono di essere penalizzati da riforme sempre annunciate e mai realizzate. Ma l"economista Bini Smaghi ci richiama alla realtà rilevando che “il reddito medio dell"italiano nel 2006 è sceso sotto la media dell"area euro, mentre nel 2000 era superiore del 4%”. E" lecito allora domandarsi cosa ha fatto negli ultimi anni la politica per evitare una tale decadenza, se non vogliamo chiamarlo declino, e cosa avrebbe potuto fare per ridurre il danno.
Oppure dovremo arrenderci alla sconsolata constatazione dell"ex Ministro Giulio Tremonti , liberista e colbertista a corrente alternata, quando dice che la politica può fare ben poco rispetto a processi di trasformazione economica e sociale sovrastanti che riguardano tutti i Paesi a sviluppo avanzato alle prese con il quadro mutato dei mercati globalizzati. Per non parlare dei condizionamenti specifici derivanti all"Italia ed agli altri Paesi Europei dall"obbligata osservanza dei famosi parametri di Maastricht. Dove sta la verità tra chi mette avanti le inesorabili cifre del declino invitando i politici a prenderne atto e chi invece crede che la politica economico-sociale può ancora far qualcosa per rivitalizzare il Paese e magari per attuare una migliore distribuzione del reddito individuale e familiare?
Se sono attendibili i dati dei rapporti Mediobanca sui bilanci delle imprese rielaborati da Massimo Mucchetti per il periodo 1974-1996 – e mancano gli ultimi dieci anni, periodo nel quale gli effetti della globalizzazione si sono fatti più pesanti - il lavoro salariato ha perso peso in tutto l" Occidente rispetto alle rendite finanziarie e in particolare in Italia, dove la ricchezza-valore aggiunto destinata ai salari è scesa dal 70 al 48%, mentre quella riservata agli azionisti è salita dal 2 al 16%. Ne è derivata per l"Italia una crescita della disuguaglianza, simile a quella registrata negli ultimi anni negli USA e in Gran Bretagna, con la differenza sostanziale che da noi non si sono attivati a compenso nuovi strumenti di mercato che creassero mobilità o dischiudessero rinnovate opportunità di lavoro al passo con i tempi.
Al di là di qualche mutamento di facciata né i governi di centrosinistra, né quelli di centrodestra hanno avuto il coraggio di smantellare in Italia le rendite di posizione e di premiare ( o iniziare a farlo) l"innovazione e la meritocrazia.
Ne è derivato un torpore inconcludente che viene interrotto a tratti con annunci demagogici di un"impossibile tabula rasa di quanto fatto dai governi precedenti ( se no che bipolarismo sarebbe?) o da improbabili pigli riformisti che, con un colpo di spugna, vorrebbero azzerare le conseguenze di annosi problemi che si sono accumulati nell"indifferenza e nell"inazione generali.
Vuol dire questo che la politica debba rinunciare ad intervenire? No sicuramente. Ma che senso ha mettere in piedi ancora una volta una polemica “generalista” sull"inefficienza dell"impiego pubblico, che riguarda ( sembra) tre milioni e mezzo di salariati, compresi militari ed insegnanti, auspicando che finalmente si arrivi ad una mobilità del lavoro che, se non concordata con i sindacati, non può essere certo imposta dall"alto?
Si può ancora giocare con la scommessa se il centrosinistra ( compresa Rifondazione e Comunisti italiani) avrà mai più coraggio liberalizzatore rispetto al centrodestra, anche con riguardo ai pubblici dipendenti, fino ad arrivare al loro possibile licenziamento?
Nella guerra delle aspettative alimentate dai due Poli in competizione nelle recenti elezioni politiche c"è stato più spazio più per la demagogia che per i problemi reali che sono lì irrisolti o solo parzialmente risolti, come quello delle pensioni.
Un"inversione di tendenza rispetto agli ultimi anni - che sono stati di declino per il nostro Paese almeno a far fede delle cifre riportate nell"intervista di Bini Smaghi- è ovviamente indispensabile. Purchè si cominci con scelte serie e possibili, non dettate da intenti propagandistici. Le costrizioni del quadro economico sono quelle che sono, ma che almeno la politica sia all"altezza di quel tanto o di quel poco ( almeno secondo Tremonti) che può fare.
Intanto, per far fronte ai problemi contingenti, si pensa di finanziare le spese della spedizione militare italiana in Libano, valutate in 219 milioni di euro, facendo ricorso alle maggiori entrate fiscali non previste, lasciate in eredità dal governo di centro-destra della scorsa legislatura.
Come succede ormai da anni a tutti i governi per ogni Legge Finanziaria, anche il governo Prodi è costretto ad arrabattarsi per conciliare i vari interessi corporativi che temono di essere penalizzati da riforme sempre annunciate e mai realizzate. Ma l"economista Bini Smaghi ci richiama alla realtà rilevando che “il reddito medio dell"italiano nel 2006 è sceso sotto la media dell"area euro, mentre nel 2000 era superiore del 4%”. E" lecito allora domandarsi cosa ha fatto negli ultimi anni la politica per evitare una tale decadenza, se non vogliamo chiamarlo declino, e cosa avrebbe potuto fare per ridurre il danno.
Oppure dovremo arrenderci alla sconsolata constatazione dell"ex Ministro Giulio Tremonti , liberista e colbertista a corrente alternata, quando dice che la politica può fare ben poco rispetto a processi di trasformazione economica e sociale sovrastanti che riguardano tutti i Paesi a sviluppo avanzato alle prese con il quadro mutato dei mercati globalizzati. Per non parlare dei condizionamenti specifici derivanti all"Italia ed agli altri Paesi Europei dall"obbligata osservanza dei famosi parametri di Maastricht. Dove sta la verità tra chi mette avanti le inesorabili cifre del declino invitando i politici a prenderne atto e chi invece crede che la politica economico-sociale può ancora far qualcosa per rivitalizzare il Paese e magari per attuare una migliore distribuzione del reddito individuale e familiare?
Se sono attendibili i dati dei rapporti Mediobanca sui bilanci delle imprese rielaborati da Massimo Mucchetti per il periodo 1974-1996 – e mancano gli ultimi dieci anni, periodo nel quale gli effetti della globalizzazione si sono fatti più pesanti - il lavoro salariato ha perso peso in tutto l" Occidente rispetto alle rendite finanziarie e in particolare in Italia, dove la ricchezza-valore aggiunto destinata ai salari è scesa dal 70 al 48%, mentre quella riservata agli azionisti è salita dal 2 al 16%. Ne è derivata per l"Italia una crescita della disuguaglianza, simile a quella registrata negli ultimi anni negli USA e in Gran Bretagna, con la differenza sostanziale che da noi non si sono attivati a compenso nuovi strumenti di mercato che creassero mobilità o dischiudessero rinnovate opportunità di lavoro al passo con i tempi.
Al di là di qualche mutamento di facciata né i governi di centrosinistra, né quelli di centrodestra hanno avuto il coraggio di smantellare in Italia le rendite di posizione e di premiare ( o iniziare a farlo) l"innovazione e la meritocrazia.
Ne è derivato un torpore inconcludente che viene interrotto a tratti con annunci demagogici di un"impossibile tabula rasa di quanto fatto dai governi precedenti ( se no che bipolarismo sarebbe?) o da improbabili pigli riformisti che, con un colpo di spugna, vorrebbero azzerare le conseguenze di annosi problemi che si sono accumulati nell"indifferenza e nell"inazione generali.
Vuol dire questo che la politica debba rinunciare ad intervenire? No sicuramente. Ma che senso ha mettere in piedi ancora una volta una polemica “generalista” sull"inefficienza dell"impiego pubblico, che riguarda ( sembra) tre milioni e mezzo di salariati, compresi militari ed insegnanti, auspicando che finalmente si arrivi ad una mobilità del lavoro che, se non concordata con i sindacati, non può essere certo imposta dall"alto?
Si può ancora giocare con la scommessa se il centrosinistra ( compresa Rifondazione e Comunisti italiani) avrà mai più coraggio liberalizzatore rispetto al centrodestra, anche con riguardo ai pubblici dipendenti, fino ad arrivare al loro possibile licenziamento?
Nella guerra delle aspettative alimentate dai due Poli in competizione nelle recenti elezioni politiche c"è stato più spazio più per la demagogia che per i problemi reali che sono lì irrisolti o solo parzialmente risolti, come quello delle pensioni.
Un"inversione di tendenza rispetto agli ultimi anni - che sono stati di declino per il nostro Paese almeno a far fede delle cifre riportate nell"intervista di Bini Smaghi- è ovviamente indispensabile. Purchè si cominci con scelte serie e possibili, non dettate da intenti propagandistici. Le costrizioni del quadro economico sono quelle che sono, ma che almeno la politica sia all"altezza di quel tanto o di quel poco ( almeno secondo Tremonti) che può fare.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.