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L’intervento di Enrico Cisnetto

Se l’Italia fosse come la Germania

L’iniziativa: “Una moderna democrazia europea. L’Italia e la sfida delle riforme isituzionali”

di Enrico Cisnetto - 18 luglio 2008

Sono lieto di confermare la piena adesione di Società Aperta all’iniziativa che per comodità abbiamo definito “a favore del sistema tedesco”, e il suo ruolo di co-promotore dell’incontro, insieme alle altre 14 associazioni e fondazioni che hanno voluto condividere il documento base su cui stiamo incentrando la discussione.

L’adesione nasce ovviamente dalla piena condivisione del paper, dei suoi contenuti (anche se devo dire che sarebbe bastato ascoltare questa mattina le critiche che ad esso ha rivolto il prof. Ceccanti per sottoscriverlo anche senza leggerlo). Ma soprattutto nasce dalla storia di un movimento d’opinione come Società Aperta che da tempo – e in tempi non sospetti – invoca la Terza Repubblica, e nel farlo ha sempre guardato all’esperienza tedesca, fino ad invocare un’Assemblea Costituente che potesse suggellare nel più alto dei modi questa opzione.

La scelta “tedesca” è basata sulla convinzione che l’insieme di
• una legge elettorale proporzionale con sbarramento (non inferiore al 5%)
• un’organizzazione dello Stato basata sull’asse tra l’amministrazione centrale e macro-regioni
• una forma di governo basata sul cancellierato
• un bicameralismo differenziato nelle funzioni
• l’istituto della sfiducia costruttiva
• il ruolo forte e regolato dei partiti, che generano un multipartitismo semplificato
• nessuna concessione al leaderismo
• l’equilibrio tra il sistema parlamentare e la capacità di decidere dei governi
determini un assetto politico-istituzionale efficace (la sperimentazione di questi anni ha prodotto risultati eccellenti per il sistema-Germania), adatto alle peculiarità italiane e funzionale al momento storico che stiamo vivendo.

Ma c’è un altro e più importante motivo che giustifica la nostra preferenza per il sistema tedesco: l’estrema preoccupazione che ci anima per il declino economico, il degrado socio-ambientale, la condizione di default della giustizia (civile e penale) e il più complessivo stato di decadenza del Paese. E l’idea che l’esperienza tedesca sia la più adatta, tra quelle maturate in Europa, per fronteggiare e rimontare questa drammatica condizione.

In particolare, guardare alla Germania ci deve servire per:
• difendere l’unità nazionale, oggi minata dalla progressiva perdita di sovranità al Sud e dalle troppo alimentate pulsioni autonomistiche del Nord;
• far uscire la giustizia italiana dalla condizione fallimentare in cui si trova, della quale non si preoccupano né i giustizialisti (di piazza e non), né quelli che estrapolano i fatti loro dai problemi più generali e si occupano solo di quelli;
• affrontare la strutturalità della nostra crisi economica, che risente ovviamente del ciclo internazionale ma prescinde dalla congiuntura, considerato che negli ultimi 15 anni (gli anni della Seconda Repubblica) abbiamo accumulato un gap misurabile in un punto di pil all’anno rispetto alla media Ue e di 2,3 punti annui rispetto all’andamento dell’economia americana.

A questo proposito, voglio qui richiamare lo straordinario turnaround compiuto dall’economia e dal capitalismo tedesco, oggi tornati ad essere la locomotiva d’Europa (e non solo) per il semplice fatto che la Germania è l’unico paese continentale che ha capito la globalizzazione e l’ha affrontata nel modo giusto. C’è riuscita grazie ad una politica economica che concilia mercato, libertà di iniziativa e meritocrazia da un lato, e la responsabilità, direi il diritto-dovere di indirizzo strategico della politica nelle grandi scelte economiche, dall’altro. Equilibrio, questo, che rappresenta l’unica risposta pragmaticamente positiva e praticabile al vecchio dilemma – che per la verità si mantiene vivo solo in Italia – tra statalismo e liberismo mercatista.

Ma questi risultati conseguiti in Germania e che vorremmo tanto poter ripetere anche noi, negli ultimi anni non avrebbero potuto esserci se il sistema politico tedesco – a parità di legge elettorale e di assetti istituzionali – non avesse scelto di usare lo strumento della “grande coalizione”. Strumento che riteniamo indispensabile importare anche in Italia – magari solo temporaneamente, ma indispensabile – per affrontare con qualche speranza di successo declino e decadenza.

Ma la Grosse Koalition cui noi guardiamo come unica risposta possibile al “caso italiano”, è cosa tutta diversa – sia chiaro – sia dal bipolarismo armato e straccione di ieri che dal bipartitismo schizofrenico (ora dialogante fino all’inciucio, ora frontale fino alla scontro) di oggi. O almeno quello che sta nella testa di Berlusconi e Veltroni.

Noi siamo convinti che non esista un organigramma istituzionale, una legge elettorale e un sistema politico né ideologicamente né tecnicamente migliori di altri. Essi variano a seconda del dna dei paesi e delle circostanze storiche che si vivono: oggi l’impianto tedesco, capace di produrre una grande coalizione perchè necessaria e fintanto che sarà necessaria, è esattamente quello che ci vuole per l’Italia. Ridisegniamo la geografia dei partiti e la mappa delle loro alleanze sulla base di questa linea discriminante: chi parla tedesco e chi vuole continuare con la babele delle lingue con cui ci siamo espressi in questi lunghi, maledetti anni di Seconda Repubblica.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.