Meno tasse su lavoro e privatizzazioni
Se il governo c'è ancora, si faccia sentire
Quattro cose da fare subito per provare a salvare l'esecutivo Letta.di Enrico Cisnetto - 04 agosto 2013
Da “indispensabile ma deludente” a “indispensabile e soddisfacente”. Ecco la metamorfosi, praticabile solo sul terreno dell’economia, che il governo Letta dovrebbe (doveva?) fare per evitare che le vicende personali di Berlusconi lo travolgano (travolgessero?). Francamente, non so se Letta sia ancora in tempo, ma ci sono alcune cose simbolo da fare all’insegna di una logica emergenziale, pezzi di una più complessa manovra economica stile “piano Marshall”, che darebbero il senso di una indispensabilità non solo politica – che rimane: in queste condizioni le elezioni porteranno solo al caos, anche perché è probabile che siano precedute dalle dimissioni di Napolitano – e che quindi indurrebbero la maggioranza dell’opinione pubblica a difendere l’esecutivo e le larghe intese che lo sorreggono, scoraggiando le pulsioni più radicali di rottura della maggioranza e di conseguente voto anticipato.
Tra le tante cose che si potrebbero e dovrebbero fare, personalmente ne sceglierei tre “casalinghe” e una europea. La prima è già stata praticata ma un po’ sprecata: il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni. Si poteva fare tutto (120 miliardi) e subito, con modalità dirette tra chi eroga (per conto dei debitori) e i creditori, e quindi in tempi rapidissimi. Si è scelto invece una via gradualista e burocratica. Ora, con un colpo di reni, si può provare a imboccare la corsia d’emergenza. La seconda cosa da fare è decidere una mega operazione sul patrimonio pubblico. Non gli interventi minimalisti di cui si parla (3,5 miliardi, bazzecole), ma una grande operazione di valorizzazione del patrimonio mobiliare e immobiliare senza che questo significhi né la cessione delle società strategiche (Eni, Enel, Finmeccanica e sue partecipate), né la svendita degli immobili. Ci sono molte proposte in proposito, il governo ne scelga una e lo annunci solennemente. So che l’attuazione avrebbe tempi non brevi, ma l’impegno al cospetto dei mercati avrebbe una forza d’impatto eccezionale. La terza cosa è intervenire sul prelievo fiscale con due modalità: un taglio delle imposte sulle imprese e sul lavoro per una cinquantina di miliardi, cioè pari a 6-7 punti di spesa pubblica in meno; un’inversione di tendenza nella modalità con cui si combatte l’evasione fiscale, abolendo redditometro (sì, proprio quello appena inaugurato) e studi di settore, strumenti che presuppongono che ogni cittadino sia un criminale. Nel primo caso, il taglio alla spesa corrente non può derivare dalla spending review (se fosse stato possibile sarebbe già successo) ma da alcune riforme strutturali, tra cui la radicale semplificazione del decentramento (sei macro regioni, niente province, comuni solo sopra i 5 mila abitanti) e il ri-trasferimento della sanità in capo allo Stato. Nel secondo caso, il ripristino di un rapporto di fiducia tra Stato e cittadini vale molto di più (anche in termini di entrate) della manciata di miliardi che oggi vengono effettivamente recuperati con la “linea dura”. Infine, in sede Ue l’Italia si deve fare promotrice di un’iniziativa che porti in tempi rapidi ad un’effettiva unione bancaria europea.
Troppo e troppo difficile in tempi che si contano in ore? Probabile. D’altra parte, l’ho detto subito che erano cose cui occorreva metter mano fin dal primo giorno. Ma in tutti i casi: cadere per cadere, non è meglio che capiti con i ministri convocati per approvare tutto questo? (twitter @ecisnetto)
Tra le tante cose che si potrebbero e dovrebbero fare, personalmente ne sceglierei tre “casalinghe” e una europea. La prima è già stata praticata ma un po’ sprecata: il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni. Si poteva fare tutto (120 miliardi) e subito, con modalità dirette tra chi eroga (per conto dei debitori) e i creditori, e quindi in tempi rapidissimi. Si è scelto invece una via gradualista e burocratica. Ora, con un colpo di reni, si può provare a imboccare la corsia d’emergenza. La seconda cosa da fare è decidere una mega operazione sul patrimonio pubblico. Non gli interventi minimalisti di cui si parla (3,5 miliardi, bazzecole), ma una grande operazione di valorizzazione del patrimonio mobiliare e immobiliare senza che questo significhi né la cessione delle società strategiche (Eni, Enel, Finmeccanica e sue partecipate), né la svendita degli immobili. Ci sono molte proposte in proposito, il governo ne scelga una e lo annunci solennemente. So che l’attuazione avrebbe tempi non brevi, ma l’impegno al cospetto dei mercati avrebbe una forza d’impatto eccezionale. La terza cosa è intervenire sul prelievo fiscale con due modalità: un taglio delle imposte sulle imprese e sul lavoro per una cinquantina di miliardi, cioè pari a 6-7 punti di spesa pubblica in meno; un’inversione di tendenza nella modalità con cui si combatte l’evasione fiscale, abolendo redditometro (sì, proprio quello appena inaugurato) e studi di settore, strumenti che presuppongono che ogni cittadino sia un criminale. Nel primo caso, il taglio alla spesa corrente non può derivare dalla spending review (se fosse stato possibile sarebbe già successo) ma da alcune riforme strutturali, tra cui la radicale semplificazione del decentramento (sei macro regioni, niente province, comuni solo sopra i 5 mila abitanti) e il ri-trasferimento della sanità in capo allo Stato. Nel secondo caso, il ripristino di un rapporto di fiducia tra Stato e cittadini vale molto di più (anche in termini di entrate) della manciata di miliardi che oggi vengono effettivamente recuperati con la “linea dura”. Infine, in sede Ue l’Italia si deve fare promotrice di un’iniziativa che porti in tempi rapidi ad un’effettiva unione bancaria europea.
Troppo e troppo difficile in tempi che si contano in ore? Probabile. D’altra parte, l’ho detto subito che erano cose cui occorreva metter mano fin dal primo giorno. Ma in tutti i casi: cadere per cadere, non è meglio che capiti con i ministri convocati per approvare tutto questo? (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.