Caso Mills: l’ennesima sentenza all’italiana
Scampato pericolo per il Cavaliere
Malagiustizia non svanisce. Questo è il tempo d’agire, prima che la giostra ricomincidi Davide Giacalone - 26 febbraio 2010
La partita conclusa ieri, in Cassazione, porta il nome apparente di David Mills, ma diversa era la posta reale: Silvio Berlusconi. La sentenza delude quelli che speravano di condannare il secondo, per il tramite del primo, lascia aperto un procedimento penale destinato ad autodistruggersi e impone una nuova agenda politica, in tema di giustizia. L’avvocato Mills la sfanga, salvo dover risarcire la parte civile, che, per ironia della storia, è quella presidenza del Consiglio oggi abitata dal suo cliente di un tempo. Ma chiusa una partita se ne apre un’altra, tocca al governo dare le carte, e c’è da sperare che giochi con la testa, senza il solito appellarsi alla fortuna o all’isteria.
Oggi in molti scriveranno che la Cassazione ha considerato Mills copevole, ma prescritto il reato, sicché deve ritenersi colpevole anche Berlusconi, che, però, non era parte in causa. La situazione è ancora più grottesca di quel che sembra: per effetto (perverso) del lodo Alfano, ovvero della sospensione del procedimento contro Berlusconi, e quale conseguenza della successiva sentenza d’incostituzionalità, il presunto corrotto e il presunto corruttore hanno avuto due processi diversi, di cui uno, quello a Mills, appena concluso, e l’altro, quello a Berlusconi, appena iniziato.
Non occorre essere giuristi per rendersi conto che è una situazione da manicomio, che si sarebbe potuta evitare se la legge fosse stata fatta in modo meno superficiale, talché, oltre a renderla costituzionale, si fosse provveduto a sospendere anche i procedimenti a carico dei coimputati. E non occorre essere studiosi, bastando il buon senso, per aver chiaro che non è ragionevole vedersi condannare in un processo nel quale neanche si è imputati, quindi non ci si è difesi. Questo, però, è quel che stava succedendo.
La Cassazione fischia la scadenza del tempo: datando il reato al novembre del 1999 si constata l’intervenuta prescrizione. Se è vero per il corrotto, lo è anche per il corruttore. Anziché condannato, Berlusconi è prescritto per interposto Mills. E’ vero, non c’è, per Mills, l’assoluzione nel merito. Ma così come non si può essere un po’ incinte, neanche si può essere un po’ colpevoli. O lo si è, o non lo si è: senza sentenza di condanna, vale l’innocenza. (Si tenga a mente questo principio, lo tenga a mente il governo, cui oggi fa comodo, perché torneremo a parlare di mafia, e vedremo che le cose non sono poi così chiare).
Adesso, però, non c’è più bisogno di correre per evitare che il presidente del Consiglio sia condannato con una sentenza copia e incolla. L’anno in più che rimane (dato dalla sospensione ottenuta) non basta certo a chiudere tre gradi di giudizio. Le vie delle procure sono infinite, ma l’immediatezza del pericolo è venuta meno. Non ci sono alibi, non ci sono scuse: ora la riforma della giustizia. Ora, subito, perché dovrà essere discussa, perché coinvolge profili costituzionali e, quindi, quel che manca alla fine della legislatura è poco più del tempo necessario.
Le direzioni di marcia le abbiamo tante volte indicate e dettagliate: separazione delle carriere e avanzamento per merito, abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale, certezza dei tempi, sveltimento delle procedure (con la digitalizzazione si possono fare miracoli), pene da non elevare ma da far divenire certe, depenalizzazione e decarcerazione delle pene. Questa è la partita vera, che va giocata nell’interesse di tutti, dei cittadini come del mercato, senza piegarsi davanti alle pressioni corporative, senza avere tremori politici. Queste sono riforme serie, sulle quali chiamare alla collaborazione la sinistra in grado di starci, vale a dire capace di rendersi indipendente dal giustizialismo fascistoide che l’affligge.
Guai, invece, a giocare ancora tante piccole partite di cortile, che hanno incenerito troppe energie, massacrando la giustizia e rendendola quel colabrodo che ogni anno si offre al pubblico ludibrio. Le polemiche sulla sentenza di ieri evaporeranno entro la fine di marzo, ma la malagiustizia non svanisce e la lasciamo in eredità ai posteri. Questo è il tempo d’agire, prima che la giostra ricominci.
Pubblicato da Libero
Oggi in molti scriveranno che la Cassazione ha considerato Mills copevole, ma prescritto il reato, sicché deve ritenersi colpevole anche Berlusconi, che, però, non era parte in causa. La situazione è ancora più grottesca di quel che sembra: per effetto (perverso) del lodo Alfano, ovvero della sospensione del procedimento contro Berlusconi, e quale conseguenza della successiva sentenza d’incostituzionalità, il presunto corrotto e il presunto corruttore hanno avuto due processi diversi, di cui uno, quello a Mills, appena concluso, e l’altro, quello a Berlusconi, appena iniziato.
Non occorre essere giuristi per rendersi conto che è una situazione da manicomio, che si sarebbe potuta evitare se la legge fosse stata fatta in modo meno superficiale, talché, oltre a renderla costituzionale, si fosse provveduto a sospendere anche i procedimenti a carico dei coimputati. E non occorre essere studiosi, bastando il buon senso, per aver chiaro che non è ragionevole vedersi condannare in un processo nel quale neanche si è imputati, quindi non ci si è difesi. Questo, però, è quel che stava succedendo.
La Cassazione fischia la scadenza del tempo: datando il reato al novembre del 1999 si constata l’intervenuta prescrizione. Se è vero per il corrotto, lo è anche per il corruttore. Anziché condannato, Berlusconi è prescritto per interposto Mills. E’ vero, non c’è, per Mills, l’assoluzione nel merito. Ma così come non si può essere un po’ incinte, neanche si può essere un po’ colpevoli. O lo si è, o non lo si è: senza sentenza di condanna, vale l’innocenza. (Si tenga a mente questo principio, lo tenga a mente il governo, cui oggi fa comodo, perché torneremo a parlare di mafia, e vedremo che le cose non sono poi così chiare).
Adesso, però, non c’è più bisogno di correre per evitare che il presidente del Consiglio sia condannato con una sentenza copia e incolla. L’anno in più che rimane (dato dalla sospensione ottenuta) non basta certo a chiudere tre gradi di giudizio. Le vie delle procure sono infinite, ma l’immediatezza del pericolo è venuta meno. Non ci sono alibi, non ci sono scuse: ora la riforma della giustizia. Ora, subito, perché dovrà essere discussa, perché coinvolge profili costituzionali e, quindi, quel che manca alla fine della legislatura è poco più del tempo necessario.
Le direzioni di marcia le abbiamo tante volte indicate e dettagliate: separazione delle carriere e avanzamento per merito, abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale, certezza dei tempi, sveltimento delle procedure (con la digitalizzazione si possono fare miracoli), pene da non elevare ma da far divenire certe, depenalizzazione e decarcerazione delle pene. Questa è la partita vera, che va giocata nell’interesse di tutti, dei cittadini come del mercato, senza piegarsi davanti alle pressioni corporative, senza avere tremori politici. Queste sono riforme serie, sulle quali chiamare alla collaborazione la sinistra in grado di starci, vale a dire capace di rendersi indipendente dal giustizialismo fascistoide che l’affligge.
Guai, invece, a giocare ancora tante piccole partite di cortile, che hanno incenerito troppe energie, massacrando la giustizia e rendendola quel colabrodo che ogni anno si offre al pubblico ludibrio. Le polemiche sulla sentenza di ieri evaporeranno entro la fine di marzo, ma la malagiustizia non svanisce e la lasciamo in eredità ai posteri. Questo è il tempo d’agire, prima che la giostra ricominci.
Pubblicato da Libero
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.