Aspettando il G8 made in Italy
Sarà un successo?
L’unico vertice che veramente conterà per l’Italia, lo potremmo chiamare, “C-I”di Enrico Cisnetto - 07 luglio 2009
Domani si apre il G8 made in Italy, e non a caso l’agenda prevede che il primo dei temi affrontati sarà la crisi economica. Ma di “G” ce ne sono molti. C’è appunto quello a otto, e che tutti patriotticamente ci auguriamo sia un successo, soprattutto dal punto di vista logistico. Poi ci sono i vari “G ristretti” e “allargati”, fino al “G20” e oltre, necessari per meglio affrontare le questioni globali. Tutte occasioni importantissime, ma dalle quali difficilmente è uscito nel passato e uscirà ora qualcosa di diverso da comunicati congiunti contenenti nobili proclami.
L’unico vertice che veramente conterà per l’Italia, lo potremmo chiamare, invece, “C-I”. Un bilaterale dove “C” sta per Cina. Infatti, 300 sono i businessmen guidati dal Presidente della Repubblica popolare Hu Jintao e dal ministro del Commercio Chen Deming giunti a Roma con una “mission possible”: firmare quanti più contratti possibili con l’Italia, come hanno già fatto in analoghe missioni, avendo investito più di 15 miliardi di dollari tra Germania, Svezia, Inghilterra e Gran Bretagna dall’inizio del 2009. Ma “quella in Italia sarà la missione più strategica”, ha detto nei giorni scorsi il ministro Deming. E le notizie arrivate ieri lo confermano: due miliardi di dollari di contratti firmati da imprese italiane con controparti cinesi, ha annunciato il ministro Scajola.
E tra queste, spiccano la joint venture da 400 milioni di euro tra Fiat e Gac (Guangzhou automobile group) per la costruzione di un nuovo modernissimo impianto asiatico. E il “deal” siglato da Generali per l’acquisizione del 30% di Guotai Amc, società cinese di gestione del risparmio.
Un’operazione da 100 milioni di euro, che apre le porte a un mercato potenziale di 220 milioni di clienti. Una boccata d’ossigeno nel quadro recessivo che colpisce le imprese italiane, che conferma come allargare gli scambi con una delle poche potenze, se non l’unica, che sono già uscite dalla crisi – o che non ci sono mai entrate – sia la principale nostra priorità. Il pil cinese, del resto, salirà del 7,5% nel 2009 e addirittura dell’8,5% nel 2010.
Numeri che ben simboleggiano quale sia la strada da seguire per noi: sul breve periodo, aumentare l’interscambio, che peraltro va già a gonfie vele, essendo cresciuto dal 2001 al 2008 da 7,8 a 28,3 miliardi di dollari, mentre nei primi 5 mesi del 2009 la Cina è l’unico mercato in cui l’Italia ha aumentato il suo export (+18% anno su anno). Sul lungo, creare le condizioni per aumentare ancora questo flusso. Come? Riconvertendo, anche tramite una intelligente politica di stimoli fiscali, il nostro tessuto produttivo verso linee e filiere hi-tech e ad alta intensità di conoscenza.
Esportando know how ed importando produzioni “labour intensive” sulle quali noi non possiamo più competere sui costi. Questa è la grande scommessa dei prossimi anni. Certo, c’è il problema dei diritti umani, come dimostrano gli ultimi fatti. E ci sono le altre vicende pur importanti, a cominciare dalla questione Iran. Ma di fronte alla crisi devastante che sta pesando sulle imprese italiane, passano indubitabilmente in secondo piano.
L’unico vertice che veramente conterà per l’Italia, lo potremmo chiamare, invece, “C-I”. Un bilaterale dove “C” sta per Cina. Infatti, 300 sono i businessmen guidati dal Presidente della Repubblica popolare Hu Jintao e dal ministro del Commercio Chen Deming giunti a Roma con una “mission possible”: firmare quanti più contratti possibili con l’Italia, come hanno già fatto in analoghe missioni, avendo investito più di 15 miliardi di dollari tra Germania, Svezia, Inghilterra e Gran Bretagna dall’inizio del 2009. Ma “quella in Italia sarà la missione più strategica”, ha detto nei giorni scorsi il ministro Deming. E le notizie arrivate ieri lo confermano: due miliardi di dollari di contratti firmati da imprese italiane con controparti cinesi, ha annunciato il ministro Scajola.
E tra queste, spiccano la joint venture da 400 milioni di euro tra Fiat e Gac (Guangzhou automobile group) per la costruzione di un nuovo modernissimo impianto asiatico. E il “deal” siglato da Generali per l’acquisizione del 30% di Guotai Amc, società cinese di gestione del risparmio.
Un’operazione da 100 milioni di euro, che apre le porte a un mercato potenziale di 220 milioni di clienti. Una boccata d’ossigeno nel quadro recessivo che colpisce le imprese italiane, che conferma come allargare gli scambi con una delle poche potenze, se non l’unica, che sono già uscite dalla crisi – o che non ci sono mai entrate – sia la principale nostra priorità. Il pil cinese, del resto, salirà del 7,5% nel 2009 e addirittura dell’8,5% nel 2010.
Numeri che ben simboleggiano quale sia la strada da seguire per noi: sul breve periodo, aumentare l’interscambio, che peraltro va già a gonfie vele, essendo cresciuto dal 2001 al 2008 da 7,8 a 28,3 miliardi di dollari, mentre nei primi 5 mesi del 2009 la Cina è l’unico mercato in cui l’Italia ha aumentato il suo export (+18% anno su anno). Sul lungo, creare le condizioni per aumentare ancora questo flusso. Come? Riconvertendo, anche tramite una intelligente politica di stimoli fiscali, il nostro tessuto produttivo verso linee e filiere hi-tech e ad alta intensità di conoscenza.
Esportando know how ed importando produzioni “labour intensive” sulle quali noi non possiamo più competere sui costi. Questa è la grande scommessa dei prossimi anni. Certo, c’è il problema dei diritti umani, come dimostrano gli ultimi fatti. E ci sono le altre vicende pur importanti, a cominciare dalla questione Iran. Ma di fronte alla crisi devastante che sta pesando sulle imprese italiane, passano indubitabilmente in secondo piano.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.