La difficoltà di ragionare con freddezza
Saddam: una punizione adeguata
L'impiccagione mina una situazione già drammatica. Meglio l’ergastolo alloradi Davide Giacalone - 06 novembre 2006
Quando si parla di Iraq c’è un sacco di gente che smarrisce non solo la coerenza, ma anche la logica. S’affannano a dire che dall’Iraq si deve andare via, che le truppe grazie alle quali è stato abbattuto il regime di Saddam devono sgomberare il campo, che le faccende irachene devono essere lasciate agli iracheni. Poi, alla prima decisione significativa di un tribunale iracheno, quando un presidente curdo comunica a Saddam che sarà impiccato, gli stessi si sbracciano a dire: fermate il boia, s’impedisca la vendetta, s’intervenga sugli iracheni.
Io sono contrario alla pena di morte, sempre e comunque. Nei casi di persone come Saddam, poi, non la trovo neanche proporzionata, perché si dovrebbe ammazzarli qualche centinaio di volte. Penso che agli iracheni si potrebbe spiegare la convenienza dell’ergastolo, anche se credo se la spiegheranno da soli, dopo la seconda condanna in appello, quando saranno le autorità politiche a ragionare politicamente. Trovo, però, che sarebbe singolare farne un tema di civiltà, dato che la liberazione dell’Iraq si deve, prima di tutto, alla decisione di una grande democrazia, gli Usa, dove la pena di morte e dolorosamente ed anacronisticamente praticata.
Sarebbe più opportuno, appunto, ragionare politicamente, con freddezza, ed approfittando della fortunata circostanza che vede le truppe occidentali ancora presenti in quel Paese. E ragionerei sulla felicità con cui la popolazione irachena, di parte sciita, ha accolto la notizia della futura impiccagione. Cui ha fatto riscontro un altrettanto sentito disagio della parte sunnita. Gli sciiti che festeggiavano in Iraq avevano dei colleghi oltre il confine, dove tutto l’Iran, sciita, festeggiava. Gioivano gli iraniani, nel mentre Saddam gridava che il tribunale era al servizio degli americani, e nel mentre il New York Times notava che la sentenza di morte arriva a poche ore dal voto statunitense, dando così ragione al grido saddamita. I conti non tornano. E ci dicono quello che noi scriviamo fin dal primo momento: non si può processare la storia, anche perché i tempi del processo si accavallano con quelli della storia stessa, producendo incredibili contraddizioni.
Un Saddam morto con una palla in fronte non sarebbe stato pianto neanche dai suoi familiari. Un Saddam impiccato tra i festeggiamenti iraniani e riscatenando la contropposizione interna fra sciiti e sunniti è masochismo. Provveda il presidente iracheno, o provvedano le truppe ancora presenti: quell’uomo deve crepare in carcere.
www.davidegiacalone.it
Io sono contrario alla pena di morte, sempre e comunque. Nei casi di persone come Saddam, poi, non la trovo neanche proporzionata, perché si dovrebbe ammazzarli qualche centinaio di volte. Penso che agli iracheni si potrebbe spiegare la convenienza dell’ergastolo, anche se credo se la spiegheranno da soli, dopo la seconda condanna in appello, quando saranno le autorità politiche a ragionare politicamente. Trovo, però, che sarebbe singolare farne un tema di civiltà, dato che la liberazione dell’Iraq si deve, prima di tutto, alla decisione di una grande democrazia, gli Usa, dove la pena di morte e dolorosamente ed anacronisticamente praticata.
Sarebbe più opportuno, appunto, ragionare politicamente, con freddezza, ed approfittando della fortunata circostanza che vede le truppe occidentali ancora presenti in quel Paese. E ragionerei sulla felicità con cui la popolazione irachena, di parte sciita, ha accolto la notizia della futura impiccagione. Cui ha fatto riscontro un altrettanto sentito disagio della parte sunnita. Gli sciiti che festeggiavano in Iraq avevano dei colleghi oltre il confine, dove tutto l’Iran, sciita, festeggiava. Gioivano gli iraniani, nel mentre Saddam gridava che il tribunale era al servizio degli americani, e nel mentre il New York Times notava che la sentenza di morte arriva a poche ore dal voto statunitense, dando così ragione al grido saddamita. I conti non tornano. E ci dicono quello che noi scriviamo fin dal primo momento: non si può processare la storia, anche perché i tempi del processo si accavallano con quelli della storia stessa, producendo incredibili contraddizioni.
Un Saddam morto con una palla in fronte non sarebbe stato pianto neanche dai suoi familiari. Un Saddam impiccato tra i festeggiamenti iraniani e riscatenando la contropposizione interna fra sciiti e sunniti è masochismo. Provveda il presidente iracheno, o provvedano le truppe ancora presenti: quell’uomo deve crepare in carcere.
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L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.