La riforma delle legge elettorale
Rutelli e una fine annunciata
Le disfunzioni di Mattarellum e Porcellum sono ben chiare al governo. Che però tacedi Davide Giacalone - 02 marzo 2007
Francesco Rutelli ha ragione a citare i precedenti di De Gregorio, in questa legislatura, e dei senatori (non transfughi, però) che nel 1994 assicurarono la maggioranza, al Senato, per Berlusconi, come oggi Follini l’assicura per Prodi. Serve a dire che sono inutili le lezioncine morali, ma serve anche a sottolineare l’incapacità politica di porre rimedio al male: se al Senato la maggioranza è ancora in bilico, dopo tredici anni, è segno che il difetto è nei sistemi elettorali. In particolare nel fatto che il Senato era stato concepito come la Camera meno proporzionalista, ed ha finito con il divenire la meno maggioritaria. Dice Rutelli: si ponga mano alla legge elettorale. Lui sa bene che questo riporta dritti alla crisi di governo e non fa nulla per nasconderlo. E’ il segnale che la ri-fine è ricominciata.
Egli riconosce che, in questi anni, “il collante che ha tenuto insieme il centrosinistra è stato l’antiberlusconismo”. Negli stessi anni lo scrivevamo ed argomentavamo, senza trovare alcuna attenzione in una sinistra che fingeva di credere ai propri prolissi ed inutili programmi. Poi constata che “l’Italia è l’unico paese europeo dove la sinistra massimalista è al governo”. Vero, ed è il governo di cui lui è vicepresidente, posizione dalla quale invita quella sinistra ad essere moderata e ragionevole. Ovvero a non essere massimalista, pertanto a sciogliersi, diluirsi, sparire. Non accadrà, anzi, quei massimalisti dovranno fare i conti con i loro compagni che non deflettono, che votano secondo quel che dicono nei comizi ed ai cortei e che, con questo, li delegittimano. Dapprima li espelleranno, poi li inseguiranno. E addio governo.
Agitare il rimedio della riforma elettorale è come sventolare la muleta davanti agli occhi annebbiati del toro ferito. Perché o si torna al proporzionale ed i governi si fanno in Parlamento (ma Rutelli, e non solo lui, lo esclude) o si procede verso un compiuto maggioritario, il che comporta anche riforme costituzionali che per quella sinistra stanno al pari del golpe. In ogni caso, anche senza riforme presidenzialiste, tagliare le ali ed i partitini, azzerare il loro potere di ricatto (altrimenti che maggioritario sarebbe?), è un attentato all’integrità d’entrambe le coalizioni. E addio governo. Ho sostenuto che il riProdi toglie ossigeno ai volenterosi ed al partito democratico. Rutelli è convinto, invece, che il partito unico ne trarrà nuova linfa. Legittimo, staremo a vedere. Però, non prendiamoci in giro, se il partito democratico vorrà essere la prefigurazione di una sinistra moderna, occidentale e di governo (magari così fosse!), se vuole avere programmi che somiglino a quelli di Blair ed una politica estera che non sia il peggiore avanzo di cattocomunismo, la sua nascita sposterebbe l’asse della maggioranza, escludendo ancor più i massimalisti. Ed addio governo.
Le colpe, poi, mica sono solo dei massimalisti, comunisti fuori tempo massimo. Si guardi a quel che succede circa i rapporti con gli Stati Uniti: il ministro Mastella, competente per materia, tiene ferma sul tavolo un’insensata richiesta per l’estradizione di agenti segreti statunitensi, proposta da una magistratura che oramai ha perso la bussola del diritto e della ragionevolezza (come sul caso Calipari), ma il suo collega Di Pietro si scaglia contro gli americani, che annunciano chiaramente di non avere la minima intenzione di estradare nessuno. Non sono due sfumature, sono due linee politiche incompatibili all’interno dello stesso governo.
E che dire dei dico? Rutelli, come Prodi, se ne lava le mani: la faccenda è di competenza parlamentare. Ma si sbagliano, alla grande: la faccenda sarebbe stata di competenza parlamentare, e magari con questo i Dico avrebbero anche avuto una maggioranza, se il governo non avesse presentato un proprio disegno di legge che, per sua natura (articolo 95 della Costituzione, secondo comma), impegna e corresponsabilizza l’intero Consiglio dei ministri. Quindi s’impone, su questi ed altri temi, una scelta di campo. E addio governo. Le parole di Rutelli sono interessanti, offrono materia su cui riflettere. E sono chiare nel dire che il governo Prodi è l’unico e ultimo governo politico di questa legislatura. Adesso, però, o costringono Rutelli a rimangiarsi tutto, oppure egli ha dato un’ulteriore spinta per far rutellare verso la fine il governo. Ed anche la legislatura.
www.davidegiacalone.it
Egli riconosce che, in questi anni, “il collante che ha tenuto insieme il centrosinistra è stato l’antiberlusconismo”. Negli stessi anni lo scrivevamo ed argomentavamo, senza trovare alcuna attenzione in una sinistra che fingeva di credere ai propri prolissi ed inutili programmi. Poi constata che “l’Italia è l’unico paese europeo dove la sinistra massimalista è al governo”. Vero, ed è il governo di cui lui è vicepresidente, posizione dalla quale invita quella sinistra ad essere moderata e ragionevole. Ovvero a non essere massimalista, pertanto a sciogliersi, diluirsi, sparire. Non accadrà, anzi, quei massimalisti dovranno fare i conti con i loro compagni che non deflettono, che votano secondo quel che dicono nei comizi ed ai cortei e che, con questo, li delegittimano. Dapprima li espelleranno, poi li inseguiranno. E addio governo.
Agitare il rimedio della riforma elettorale è come sventolare la muleta davanti agli occhi annebbiati del toro ferito. Perché o si torna al proporzionale ed i governi si fanno in Parlamento (ma Rutelli, e non solo lui, lo esclude) o si procede verso un compiuto maggioritario, il che comporta anche riforme costituzionali che per quella sinistra stanno al pari del golpe. In ogni caso, anche senza riforme presidenzialiste, tagliare le ali ed i partitini, azzerare il loro potere di ricatto (altrimenti che maggioritario sarebbe?), è un attentato all’integrità d’entrambe le coalizioni. E addio governo. Ho sostenuto che il riProdi toglie ossigeno ai volenterosi ed al partito democratico. Rutelli è convinto, invece, che il partito unico ne trarrà nuova linfa. Legittimo, staremo a vedere. Però, non prendiamoci in giro, se il partito democratico vorrà essere la prefigurazione di una sinistra moderna, occidentale e di governo (magari così fosse!), se vuole avere programmi che somiglino a quelli di Blair ed una politica estera che non sia il peggiore avanzo di cattocomunismo, la sua nascita sposterebbe l’asse della maggioranza, escludendo ancor più i massimalisti. Ed addio governo.
Le colpe, poi, mica sono solo dei massimalisti, comunisti fuori tempo massimo. Si guardi a quel che succede circa i rapporti con gli Stati Uniti: il ministro Mastella, competente per materia, tiene ferma sul tavolo un’insensata richiesta per l’estradizione di agenti segreti statunitensi, proposta da una magistratura che oramai ha perso la bussola del diritto e della ragionevolezza (come sul caso Calipari), ma il suo collega Di Pietro si scaglia contro gli americani, che annunciano chiaramente di non avere la minima intenzione di estradare nessuno. Non sono due sfumature, sono due linee politiche incompatibili all’interno dello stesso governo.
E che dire dei dico? Rutelli, come Prodi, se ne lava le mani: la faccenda è di competenza parlamentare. Ma si sbagliano, alla grande: la faccenda sarebbe stata di competenza parlamentare, e magari con questo i Dico avrebbero anche avuto una maggioranza, se il governo non avesse presentato un proprio disegno di legge che, per sua natura (articolo 95 della Costituzione, secondo comma), impegna e corresponsabilizza l’intero Consiglio dei ministri. Quindi s’impone, su questi ed altri temi, una scelta di campo. E addio governo. Le parole di Rutelli sono interessanti, offrono materia su cui riflettere. E sono chiare nel dire che il governo Prodi è l’unico e ultimo governo politico di questa legislatura. Adesso, però, o costringono Rutelli a rimangiarsi tutto, oppure egli ha dato un’ulteriore spinta per far rutellare verso la fine il governo. Ed anche la legislatura.
www.davidegiacalone.it
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.